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Coastal squeeze: come l’urbanizzazione minaccia le coste e gli ecosistemi marini

Coastal squeeze: acqua che erode la roccia
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Il fenomeno del coastal squeeze, che definiamo in italiano come compressione costiera, è causato dalla massiccia presenza di infrastrutture antropiche presso spiagge e litorali. L’esistenza di tali edificazioni impedisce la naturale migrazione degli animali appartenenti agli ecosistemi marini locali e l’adattamento delle coste al cambiamento climatico. Il problema è piuttosto serio e si ricollega a quello, simile ma non sovrapponibile, dell’erosione costiera, già noto da tempo e rilevante, nel nostro Paese.

Cos’è il coastal squeeze?

Il fenomeno del coastal squeeze si verifica quando le aree costiere, come zone umide e/o paludi salmastre, finiscono compresse tra l’innalzamento del livello del mare e le barriere artificiali. Argini, muri o altre infrastrutture di origine prettamente antropica possono essere considerate come tali. Questo restringimento dello spazio disponibile porta alla perdita di habitat costieri, oltre che alla loro trasformazione. Inevitabilmente, questo processo influenza in maniera profonda la biodiversità. La mette a serio rischio di distruzione e scomparsa. Spiagge, paludi, dune, praterie e barriere sottomarine sono in pericolo.

Le cause del fenomeno

In Italia, il fenomeno è in crescita. Particolarmente a rischio sono le coste adriatiche e del Tirreno settentrionale. Lo squeeze evidenzia fin troppo bene la complessità delle interazioni tra ambiente naturale e attività umane. Le principali cause del restringimento sono le seguenti:

  • innalzamento del livello del mare. Esso è spesso legato al cambiamento climatico. L’acqua, salendo, spinge le zone umide e le spiagge verso l’interno. Ciò riduce la loro estensione e causa la perdita di habitat;
  • edificazione forsennata. La costruzione di barriere, dighe, strade e altre strutture lungo la costa impedisce la migrazione dagli habitat costieri verso l’entroterra, che per molte specie è naturale, al variare delle stagioni. Il cemento crea una morsa e questa comprime, è il caso di dirlo, la libertà di vita delle creature marittime o di quelle che vivono in simbiosi con il mare. Urbanizzazione, sviluppo costiero non sostenibile e altre attività umane alterano gli equilibri naturali e rendono la costa più suscettibile;
  • subsidenza del terreno. In alcune aree, il terreno sta sprofondando, per cause naturali o, più frequentemente, antropiche. Ad esempio, l’estrazione di acqua o gas. Ciò aggrava gli effetti dell’innalzamento del livello del mare e accelera la compressione;
  • deficienza di sedimenti. La mancanza di apporto di sedimenti, figlia anch’essa della costruzione di dighe e dell’eccessivo sfruttamento di suolo, priva le coste della capacità di adattarsi all’innalzamento del livello del mare. Questo le rende, inevitabilmente, più vulnerabili al coastal squeeze;
  • eventi meteorologici estremi. L’aumento della frequenza e dell’intensità di tempeste e mareggiate, altra controindicazione del cambiamento climatico, contribuisce alla perdita di habitat costieri, oltre che alla loro erosione.

Ecosistemi intrappolati: cosa rischiamo di perdere

Non sottovalutiamo i rischi connessi al depauperamento costiero e alla perdita di habitat. Distruggere questi microambienti significa impoverire la biodiversità, oltre che creare cornici naturali fragili e vulnerabili a inondazioni ed erosione. Svariate specie marine corrono il rischio di perdere zone elette ad aree di riproduzione e foraggiamento. Un ecosistema indebolito, perché intrappolato, non è in grado di sequestrare la stessa quantità di carbonio trattenuta da uno sano. Insomma, stiamo correndo il rischio di perdere alleati fidati per la vita e la convivenza su questo pianeta.

Coastal squeeze: mare che sta erodendo una spiaggia
Il coastal squeeze mette a rischio gli habitat marini e impoverisce la biodiversità

Esempi reali: dove sta accadendo in Europa e in Italia

Nel nostro Paese, il coastal squeeze sta diventando un incubo sui litorali particolarmente frequentati. Sulla riviera romagnola, nel Lazio e in Versilia, le continue edificazioni e ristrutturazioni di hotel, stabilimenti balneari, lungomare e attività per lo svago chiedono un conto molto salato alla costa. L’attuale modello economico di turismo non tiene conto della preservazione ambientale. I costanti ampliamenti e riqualificazioni di aree attrezzate per la balneazione, strade e parcheggi impattano enormemente su spiaggia e arenile.

Prendendo in considerazione una prospettiva europea, circa due terzi delle zone umide continentali sono andati perduti, dall’inizio del XX secolo a oggi. Gran parte di queste aree era situata presso la costa. Le superfici artificiali lungo le zone costiere si compongono principalmente di strade e costruzioni. Queste sono aumentate in quasi tutti i paesi europei. Lo sviluppo più rapido è stato registrato in Portogallo, ove abbiamo registrato un aumento del 34 % in dieci anni, Irlanda (27 %), Spagna (18 %) e poi Francia, Italia e Grecia. La linea costiera maggiormente colpita è quella del Mediterraneo occidentale.

I dati ISPRA risalenti ad aprile 2023 ci restituiscono un quadro preoccupante per l’Italia. Tra i 644 comuni localizzati sulla costa, ben 54 hanno perso oltre il 50% del loro tratto di litorale, negli ultimi decenni. 7 di questi hanno fatto registrare una percentuale di arretramento compresa tra l’80 e il 90%.

Conseguenze ecologiche e urbanistiche

Il coastal squeeze comporta conseguenze a dir poco nefaste, sul medio e lungo termine. Abbiamo già scritto dell’impatto ambientale, che può essere letale per flora e fauna, ma dobbiamo tenere in considerazione anche che cosa implichi per l’urbanistica. Il restringimento aggrava l’erosione, poiché la forza del mare avrà meno spiaggia ad arginarla, e agirà con più violenza. Questo andrà a impattare direttamente sui costi di manutenzione dei litorali, destinati a lievitare. E per quanto riguarda i residenti? Sempre più persone prediligono stabilirsi lungo la costa, dato il maggior numero di opportunità, andando magari a vivere in abitazioni minacciate dalle mareggiate.

La scelta di stipulare assicurazioni contro gli eventi meteorologici è sempre più comune, tanto per il domicilio quanto per l’automobile. Gli incidenti legati al cambiamento climatico di entità considerevole, se non seria, sono in aumento e, di conseguenza, salgono anche i costi per assicurazioni di questo tipo. Simili polizze occupavano una nicchia di mercato marginale qualche lustro fa, mentre oggi sono sempre più richieste.

Ecoservizi compromessi

Il coastal squeeze compromette un’ampia gamma di ecoservizi costieri. Indichiamo così quei benefici che le persone traggono dagli ecosistemi marini. È il caso di spiagge, dune, paludi salmastre e/o scogliere. Questi benefici, come li abbiamo definiti, sono sia materiali sia immateriali, oltre che essenziali per il benessere umano. Così come per la sostenibilità ambientale. Il restringimento li mette tutti a rischio.

Dune, mangrovie e scogliere fungono da barriere naturali e proteggono le aree costiere dall’erosione causata dal moto ondoso, dalle maree e dalle tempeste. Zone umide costiere, lagune e praterie marine offrono accoglienti habitat a piante e animali, compresi uccelli migratori, pesci, crostacei e molluschi. Gli ecosistemi marini, specialmente le praterie di fanerogame marine e le barriere coralline, sono importanti aree di riproduzione, nonché nursery per molte specie ittiche commerciali. Ogni zona umida immagazzina grandi quantità di carbonio, contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici. La compressione costiera compromette tutta la catena di azioni e reazioni legata a questi aspetti. 

Strategie di mitigazione: più spazio alla costa

La strategia di adattamento nota come managed realignment (MR) prevede un riallineamento completo, verso terra, delle difese costiere. Proteggere meglio l’arenile significa ricostituire habitat preziosi, a cominciare dalle paludi salate, restituendo una casa a numerose specie di pesci e uccelli seriamente minacciate dallo squeeze. Si tratta di soluzioni naturali per controllare le maree che, spesso, sono invise alla popolazione locale. I residenti, infatti, non vedono di buon occhio la restituzione al mare di terra faticosamente sottratta al bacino idrico, nel corso di decenni, e si fidano di più di soluzioni ingegneristiche che di vie di contenimento naturali.

Chissà che la lettura di articoli come questo non cambi le loro idee. L’arretramento controllato del mare è già in funzione in alcune aree costiere europee, sotto attenta supervisione. La conoscenza scientifica relativa a queste tecniche non è ancora approfondita al punto di applicarle su ampia scala, e ciò giustifica lo scetticismo di alcuni, eppure si tratta di soluzioni piuttosto promettenti, le quali potrebbero rallentare il coastal squeeze e farlo senza nuocere a biomi già minacciati e indeboliti.

Il restringimento costiero è una vera e propria trappola per comunità locali e società intera. Al fine di restituire respiro e ricostituire la costa danneggiata occorre un’urbanistica lungimirante, oltre che la messa in atto di alcune possibili soluzioni, come per esempio le seguenti:

  • de-sealing, ovvero rimozione di tutte le coperture artificiali sul litorale, che rappresentano una barriera ingombrante e impattante sull’ecosistema costiero;
  • ripristino di zone umide retro-costiere, aspetto di cui abbiamo abbondantemente scritto approfondendo la strategia di managed realignment;
  • delocalizzazione delle strutture a rischio, allo scopo di evitare che il mare eroda anche queste, oltre a spiaggia e arenile;
  • uso di barriere vegetali e sabbiose mobili, come dune artificiali e flora dalle radici poco profonde, la quale può facilmente essere piantata dove occorra, poiché cresce in fretta.
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Mattia Mezzetti

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