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End of waste dei rifiuti da costruzione e demolizione: un coro di critiche

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Il Regolamento che disciplina la trasformazione dei rifiuti da costruzione e demolizione in prodotti presentato dal Mite pone degli obblighi di conformità molto restrittivi. Che secondo gli operatori del settore finiscono per penalizzare il mercato e ostacolare la transizione ecologica del settore.

Il 14 marzo di quest’anno il Ministero per la Transizione ecologica (Mite) ha inviato alla Commissione europea lo schema di Regolamento sulla “disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale” finalizzato a definire criteri, procedure e condizioni affinchè i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D) cessino di essere tali, per rientrare a pieno titolo tra i prodotti. Per diventare materie prime seconde, i rifiuti sono sottoposti ad operazioni di trattamento che li trasformano in aggregati riciclati immediatamente utilizzabili nei cantieri, secondo un iter che prevede anche test di cessione, finalizzati a valutare il potenziale rilascio di contaminanti, e analisi sui singoli lotti prodotti. Il Regolamento inviato alla Commissione è in gestazione da quasi dieci anni, data la difficoltà oggettiva nel trovare un punto di incontro tra Mite, Ispra, associazioni di categoria e stakeholder, che temono i contraccolpi di una regolazione farraginosa e costosa.

End of waste: un tassello decisivo nella governance dei rifiuti

Entro il 15 giugno 2022 la Commissione potrà presentare osservazioni in merito, di cui lo Stato dovrà tener conto nella stesura definitiva della regola tecnica. Il decreto fa parte della strategia sui rifiuti definita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che inserisce l’adozione del provvedimento tra le milestone per l’anno in corso. Il Regolamento rappresenta un nodo cruciale per la razionalizzazione della governance dei rifiuti, poiché i rifiuti da costruzione e demolizione rappresentano la fetta più importante di scarti prodotti e circolanti nel nostro Paese. Ogni anno, secondo Ispra, ne produciamo 70 milioni circa di tonnellate, quasi la metà del totale dei rifiuti prodotti. Non a caso, rappresentano un flusso oggetto di attento monitoraggio da parte della Commissione europea, che ha fissato – all’articolo 11 della Direttiva 2008/98/CE sui rifiuti – l’obiettivo al 2020 del 70% di preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materia. Entro il 31 dicembre 2024, la Commissione valuterà l’introduzione di obiettivi analoghi per i rifiuti da costruzione e demolizione.

Gli aggregati recuperati dai rifiuti: quando possono essere utilizzati

Il Regolamento stabilisce che gli aggregati recuperati dai rifiuti C&D possano essere utilizzati per:

  • la realizzazione del corpo dei rilevati di opere in terra dell’ingegneria civile;
  • la realizzazione di sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali e di piazzali civili ed industriali;
  • la realizzazione di strati di fondazione delle infrastrutture di trasporto e di piazzali civili ed industriali;
  • la realizzazione di recuperi ambientali, riempimenti e colmate;
  • la realizzazione di strati accessori aventi funzione anticapillare, antigelo, drenante ecc;
  • il confezionamento di calcestruzzi e miscele legate con leganti idraulici (misti cementati, miscele betonabili, ecc).

I requisiti di conformità degli aggregati riciclati

Il rispetto dei criteri di cessazione della qualifica di rifiuto deve essere attestato tramite una specifica dichiarazione di conformità, redatta per ciascun lotto di aggregato recuperato prodotto e inviata all’autorità competente e all’Agenzia di protezione ambientale territoriale. Inoltre, secondo il Regolamento, il produttore di aggregato recuperato deve dotarsi di un sistema di gestione della qualità secondo la norma UNI EN ISO 9001. Tra i requisiti di conformità richiesti per ogni lotto prodotto, c’è il rispetto dei limiti tabellari relativi, tra gli altri, a solventi, fenoli e PCB, idrocarburi aromatici e aromatici policiclici. Sostanze – lamenta l’Associazione nazionale produttori aggregati riciclati (Anpar) – di solito non presenti nei rifiuti da costruzione e demolizione. Doverne verificare la presenza obbliga dunque i produttori a controlli inutili e dispendiosi. Inoltre, ogni lotto deve essere sottoposto all’esecuzione del test di cessione per valutare il rispetto delle concentrazioni limite e il potenziale rilascio di sostanze contaminanti. Tra i parametri da controllare spiccano nitrati, fluoruri, cadmio, cromo, piombo, selenio, cloruri e i fatidici solfati. Questi ultimi, spiegano gli operatori del settore, sono dei costituenti e non degli inquinanti. Peraltro, sempre secondo Anpar, tali limiti sono eccessivamente restrittivi, “determinati come se gli aggregati recuperati dovessero essere impiegati esclusivamente su suoli agricoli o destinati a verde pubblico”. Un utilizzo che oggi rappresenta solo il 5% del complessivo impiego dei materiali ottenuto dal riciclo, a fronte di oltre il 90% di utilizzo in edilizia o nelle opere infrastrutturali.

I rischi, se non si interviene sul Regolamento

Secondo una recente lettera aperta inviata da un network di associazioni capitanate da Anpar ai ministri Roberto Cingolani (Mite), Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e Enrico Giovannini (Infrastrutture), se non si interviene sul testo del Regolamento si rischia non solo la chiusura di tutti, o quasi, i circa 1.800 impianti presenti sul territorio nazionale che ogni anno recuperano oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti C&D, ma l’invio in discarica di gran parte di quelli che si produrranno in futuro, rendendo vano qualsiasi sforzo fatto con le risorse del Pnrr. Anche l’Associazione nazionale dei costruttori (Ance) e la Regione Lombardia – particolarmente sensibile al tema, tanto da avere istituito un market inerti con lo scopo di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di aggregati – temono che con le nuove regole si finirà per conferire in discarica più del 50% degli aggregati riciclati già prodotti. Critico anche il Consiglio di Stato, al quale il testo è stato mandato per le verifiche di congruità normativa. Secondo i giudici, la modalità dei controlli da effettuare sull’aggregato prodotto e i parametri relativi a cloruri e solfati dovrebbero indurre il Mite a valutare appieno “gli effetti concreti dei limiti prudenziali assunti nel regolamento, rispetto all’efficacia del meccanismo di economia circolare che la norma vuole promuovere”. Insomma, l’idea che la bilancia penda ancora troppo dalla parte del principio di precauzione sembra abbastanza condivisa. Il risultato è quello di continuare a guardare ai rifiuti da costruzione e demolizione come un potenziale pericolo invece che un’opportunità verso la transizione ecologica. Scelta che rischia di rivelarsi un boomerang: restringendo i margini del mercato degli aggregati riciclati si finisce inevitabilmente per incrementare i flussi in discarica, opzione economicamente più conveniente, e probabilmente alimentare i circuiti illegali. Che non aspettano altro.

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