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La rigenerazione urbana, a partire dal patrimonio edilizio dismesso

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Espansione, consumo di suolo e ignoranza del tema ambientale hanno caratterizzato lo sviluppo delle nostre città. Adesso la logica sta cambiando, ne parla l’urbanista Alessandro Bianchi

In Italia un’enorme quantità di immobili dismessi versa in stato di progressivo degrado: complessi industriali, caserme, colonie marine, quartieri, stazioni ferroviarie, miniere e cave. Un libro, “Rigenerare il Bel Paese” (Rubbettino Editore), analizza le potenzialità del patrimonio esistente, indicando le possibili ricette per valorizzarlo, puntando sul riuso degli immobili, sulla riduzione del consumo di suolo e sull’innovazione funzionale, con una puntuale attenzione alla sostenibilità. Di rigenerazione urbana abbiamo parlato con uno degli autori di “Rigenerare il Bel Paese”, Alessandro Bianchi, urbanista e direttore della Scuola di Rigenerazione urbana sostenibile “La Fenice Urbana”, ministro dei Trasporti nel secondo Governo Prodi.

Professore, come nasce l’idea del libro?

“Il volume scaturisce dal lavoro di ricerca e didattica che si svolge all’interno della Scuola di Rigenerazione urbana sostenibile e, in particolare, dalla disamina di alcune delle esperienze più significative attuate in materia di rigenerazione. Tema su cui il nostro Paese soffre vistose carenze”.

Preso atto dei problemi esistenti, che contributo può dare la sostenibilità per far “rivivere” gli immobili con un bilancio positivo in termini di costi/rendimento?

“La sostenibilità in campo urbano non può che passare attraverso un radicale cambiamento nel modo di pensare la città che, negli ultimi sessanta anni, ha visto dominare la logica dell’espansione, del consumo di suolo e dell’ignoranza della questione ambientale. Capovolgere questa logica porta a riconsiderare l’enorme patrimonio edilizio dismesso come risorsa da valorizzare secondo i canoni della sostenibilità ambientale, economica e sociale”.

Sul mix tra sviluppo economico e inclusione sociale punta sia il piano di rigenerazione urbana finanziato dal Pnrr, sia il ddl che porta lo stesso nome e punta a ridefinire le competenze relative ai progetti di rilancio delle città. Come giudica queste misure?

“In entrambi i casi l’aspetto positivo sta nell’esplicito riconoscimento della rigenerazione urbana come campo privilegiato di intervento. Il difetto molto grave sta nel fatto che non viene identificato correttamente il suo campo di definizione, che continua a essere confuso con altre tipologie di intervento – la riqualificazione, la ristrutturazione, il risanamento e simili – ugualmente importanti ma che sono altra cosa. Se si vuole fare della rigenerazione urbana l’occasione di una svolta nel governo della città, occorrono regole, risorse finanziarie e strutture tecniche dedicate”.

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