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Le gestioni in economia fanno acqua da tutte le parti

reti idriche
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Il report annuale di Fondazione Utilitas pone l’accento sulla mancanza di investimenti nei Comuni in cui il ciclo idrico è gestito in house. Una situazione che penalizza soprattutto i cittadini del Mezzogiorno

Ci sono due Italie, anche nell’acqua. Secondo quanto rilevato dal “Blue Book” di Fondazione Utilitas, tra il 2017 e il 2021 gli investimenti realizzati in Italia nel settore idrico sono cresciuti del 22%, toccando quota 49 euro per abitante. Un passo avanti, per un Paese abituato a fare i conti con un pesante deficit sul fronte della manutenzione e con i conseguenti problemi di perdite della rete. Che nasconde però una profonda differenza: mentre le gestioni industriali sono caratterizzate da investimenti in crescita, quelle “in economia”, dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico (ben 1.560 con 8,3 milioni di abitanti serviti) si muovono a passo di gambero. Tanto da registrare, lo scorso anno, investimenti di appena 8 euro per abitante.

Differenti gestioni

Quest’anno è il decimo anniversario della riforma della gestione idrica, che ha visto il trasferimento delle competenze di regolazione e controllo all’Agenzia di regolazione per energia reti e ambiente (Arera). “Con un sistema che fissa regole chiare e l’ingresso di operatori industriali che si occupano del ciclo idrico integrato, nel nostro Paese vi è stato un cambio di passo sul versante degli investimenti rispetto al passato, anche se restiamo lontani dalle migliori esperienze europee (la media del Vecchio Continente si aggira intorno ai 100 euro, ndr)”, ha spiegato in proposito Stefano Pareglio, presidente della Fondazione Utilitas, che ha realizzato lo studio in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti e Istat, con il supporto di Utilitalia. “L’assetto infrastrutturale rimane caratterizzato da diverse criticità, che variano in base alle aree territoriali, alla vetustà delle reti acquedottistiche (causa principale delle perdite idriche di rete) e all’adeguamento non ancora completo del sistema fognario e depurativo alla normativa di settore”, scrivono gli analisti. Gli investimenti negli ultimi cinquant’anni sono destinati, in primo luogo, alla riduzione delle perdite idriche (32% delle somme impiegate), quindi a migliorare le condotte fognarie (21%) e gli impianti di depurazione (14%). La stima degli investimenti realizzati dai gestori industriali nel biennio 2020-2021 è pari a 65 euro l’anno per abitante per il Centro, 52 euro annui per il Nord-Ovest e 48 per il Nord-Est. Il Sud si ferma a 35 euro per abitante. E proprio nel Mezzogiorno si trova la stragrande maggioranza dei Comuni con gestione “in economia”.

La chiave di volta del Pnrr

Come invertire la rotta? Al pari di molti altri settori dell’economia nazionale, molte speranze sono riposte nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che alla tutela del territorio e della risorsa idrica destina 4,4 miliardi di investimenti, di cui 3,5 miliardi per le aziende del servizio idrico integrato. Per il raggiungimento degli obiettivi indicati sono già stati finanziati su tutto il territorio nazionale 75 progetti di manutenzione straordinaria e di potenziamento e completamento delle infrastrutture di derivazione, stoccaggio e fornitura primaria, per un totale di 2 miliardi. Per Michela Castelli, presidente di Utilitalia, il Pnrr è un’occasione da non sprecare. “Il Governo sta mettendo in campo un impegno straordinario – commenta – È prevista una mole significativa di investimenti che potrà contribuire, da un lato, a colmare il divario infrastrutturale del Sud, dall’altro lato a rendere le reti più resilienti di fronte agli effetti della crisi climatica”. Anche se non basta spendere. Castelli ricorda l’importanza di agire sul fronte delle riforme, a cominciare dalla governance, “favorendo la presenza di operatori industriali al Sud”. Del resto, l’Unione europea lega ogni concessione di denaro a riforme dettagliate. Il Mezzogiorno è anche l’area nella quale si concentrano i principali problemi nel campo della depurazione e delle fognature (settore a cui ascrivere il 73% delle procedure d’infrazione nazionali). Anche in questo caso gli analisti evidenziano i limiti della gestione comunale.

Le sfide della transizione ecologica

Si tratta di risultati che meritano attenzione in una stagione caratterizzata dalla grande attenzione posta sui temi della transizione ecologica. A questo proposito c’è un altro dato che preoccupa: nel 2018 il consumo pro-capite di acqua, nella Penisola, è arrivato a 215 litri giornalieri per abitante. In miglioramento rispetto al 2015, con un consumo di 220 litri pro-capite. Ma ancora molto lontano dai 125 litri che costituiscono la media europea. Gli interventi per combattere sprechi e dispersioni non sono più rinviabili.

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