Dalla perdita di paesaggi e specie al bisogno di nuovi linguaggi emotivi: il lutto ecologico racconta il nostro legame profondo con la Terra e il desiderio di trasformare il dolore ambientale in azione e rigenerazione.
Negli ultimi anni, sempre più persone stanno sperimentando un dolore profondo e complesso legato alla perdita della natura che ci circonda. Questo sentimento prende il nome di “ecological grief”, o lutto ecologico e rappresenta la sofferenza emotiva provocata dalla scomparsa o dal degrado di habitat naturali, specie animali e vegetali, paesaggi e ambienti a cui siamo affettivamente legati. Non si tratta di un semplice disagio, ma di un vero e proprio lutto collettivo. Questo coinvolge individui e comunità, spesso accomunati dall’amore per la Terra e dalla consapevolezza della sua fragilità.
Tuttavia, il lutto ecologico può diventare anche una forza motrice, un invito a trasformare il dolore in consapevolezza e azione concreta per la tutela del pianeta. Vediamo insieme come.
Che cos’è l’ecological grief

Il termine ecological grief indica una risposta psicologica alla perdita o al degrado degli ecosistemi, dei paesaggi naturali e delle specie viventi. Pensiamo a territori trasformati dalla deforestazione, a specie in via d’estinzione o a paesaggi ormai irriconoscibili a causa del cambiamento climatico e dell’inquinamento. Questi eventi non solo modificano l’ambiente fisico, ma incidono profondamente anche sul benessere psicologico delle persone. Infatti scatenano emozioni come tristezza, rabbia, senso di impotenza e nostalgia.
L’ecological grief è stato introdotto in ambito accademico dal filosofo australiano Glenn Albrecht, che già nei primi anni 2000 aveva coniato il termine solastalgia per descrivere la sofferenza legata ai cambiamenti ambientali. In seguito il tema è stato approfondito da ricercatori come Ashlee Cunsolo, che ha analizzato il fenomeno nelle comunità indigene canadesi colpite dallo scioglimento del permafrost.
Nel Sesto Rapporto IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) si segnala che il cambiamento climatico rappresenta una minaccia crescente non solo alla salute fisica, ma anche al benessere mentale e psicologico. Eventi climatici estremi come ondate di calore, inondazioni, incendi e uragani avrebbero impatti negativi sulla salute mentale, con effetti come ansia, stress post-traumatico e depressione. Inoltre si riconosce l’impatto emotivo e sociale del collasso ambientale, sottolineando come il cambiamento climatico incida direttamente sul benessere psicologico delle persone.
Diversamente dall’ecoansia, che è una paura anticipatoria verso i danni futuri al pianeta, l’ecological grief nasce da una perdita già avvenuta. È un lutto vero e proprio, spesso profondo e duraturo, che può emergere quando un ambiente amato viene distrutto, una specie scompare, o un paesaggio si trasforma irreversibilmente.
Numerose ricerche come quelle riportate dalla National Library of Medicine ne riconoscono oggi la legittimità come forma di dolore strutturata, che merita attenzione anche nei contesti clinici ed educativi. E proprio in questo spazio emotivo sta nascendo una nuova forma di resilienza: trasformare il lutto ecologico in impegno attivo. Questo è diventato un modo per riconnettersi con la Terra, reagire alla paralisi emotiva e costruire percorsi collettivi di speranza. Non a caso, sempre più progetti educativi, terapeutici e comunitari stanno includendo il lutto ecologico tra le dimensioni da affrontare per sostenere la salute mentale nella crisi climatica.
Le tre forme principali di lutto ecologico
Il lutto ecologico può manifestarsi in diverse forme, a seconda del tipo di perdita che si sperimenta. Sono tre le dimensioni principali in cui si articola questa sofferenza ambientale:
- Perdita di paesaggi: è forse la forma più immediata e visibile. Riguarda la trasformazione o la distruzione di ambienti naturali cari, come boschi abbattuti, fiumi prosciugati, coste erose o ghiacciai scomparsi. Per molte persone, questi luoghi non erano semplici sfondi, ma spazi emotivi e affettivi, legati a ricordi, pratiche quotidiane o ritualità. Vederli degradare provoca una sensazione di spaesamento e di lutto simile a quella causata da una perdita familiare.
- Perdita di specie: la scomparsa di animali o piante, spesso simbolici o iconici, produce una ferita emotiva intensa. Che si tratti dell’estinzione di un grande predatore o del declino di insetti impollinatori, la perdita di biodiversità non è solo un danno ecologico: per molti, significa la fine di una relazione. Molti scienziati e ambientalisti raccontano di provare un senso di lutto ogni volta che devono registrare l’estinzione di una nuova specie.
- Perdita di identità ecologica e culturale: in alcune comunità, in particolare tra le popolazioni indigene o rurali, il legame con la natura non è solo emotivo, ma culturale e identitario. Il mutamento del territorio può mettere in crisi pratiche tradizionali, linguaggi, spiritualità e modi di vivere. In questi casi, il lutto ecologico diventa anche un lutto identitario, perché si perde un pezzo della propria storia, della propria cultura e del senso di appartenenza al mondo.
Chi ne soffre e in che modo
Il lutto ecologico può colpire chiunque, ma alcune categorie ne sono particolarmente vulnerabili a causa del loro rapporto diretto, profondo o quotidiano con la natura. Non si tratta solo di una sensibilità personale, ma spesso di una ferita collettiva, radicata in identità culturali, ruoli sociali o scelte professionali.
- Le comunità indigene: per molti popoli nativi e tradizionali, la terra non è semplicemente un territorio, ma una parte viva dell’identità collettiva. I cambiamenti ambientali, come lo scioglimento dei ghiacciai nell’Artico, la perdita di foreste tropicali o la contaminazione delle acque, compromettono non solo l’ecosistema, ma anche pratiche spirituali, saperi ancestrali e legami familiari. In queste comunità, l’ecological grief è spesso profondo e strutturato, poiché la crisi ambientale si traduce anche in una crisi culturale.
- I giovani e gli attivisti climatici: le nuove generazioni crescono in un contesto segnato dalla consapevolezza dell’emergenza climatica. Molti ragazzi e ragazze, specialmente coloro coinvolti nei movimenti per il clima, sperimentano forme di dolore legate alla paura per il futuro, ma anche alla sensazione di assistere a una perdita irreversibile. In loro, il lutto ecologico può intrecciarsi con l’ecoansia, dando luogo a un vissuto complesso, in cui l’impegno militante si alterna a momenti di disillusione, rabbia e sconforto.
- Gli scienziati ambientali e i professionisti del clima: chi lavora ogni giorno a contatto con dati e realtà legate al degrado ambientale è esposto in modo continuativo a notizie difficili da elaborare. Biologi, climatologi, ecologi e tecnici forestali riferiscono spesso un senso di tristezza cronica, frustrazione o impotenza. Specialmente quando il loro lavoro di ricerca o monitoraggio non riesce a invertire la rotta dei danni osservati. In questo caso, il lutto è legato alla percezione di assistere, impotenti, alla scomparsa progressiva di ciò che si cerca di salvare.
Sintomi o manifestazioni dell’ecological grief:
- Tristezza persistente legata a eventi ambientali
Chi soffre di lutto ecologico prova un dolore emotivo duraturo per la distruzione di paesaggi, la perdita di biodiversità o eventi climatici estremi. - Senso di impotenza o rabbia
È frequente sentire di non poter fare abbastanza per contrastare il degrado ambientale. Questo può generare frustrazione, rabbia o senso di colpa. - Distacco emotivo da luoghi un tempo significativi
A volte si prova un rifiuto o una distanza interiore verso territori che sono cambiati troppo, come spiagge erose, boschi disboscati o città inquinate. - Solastalgia: nostalgia per una terra che cambia
Coniato da Glenn Albrecht, il termine descrive il malessere psicologico provocato dai cambiamenti ambientali osservati nel proprio luogo di vita, come se ci si sentisse “esiliati a casa propria”.
Quando il lutto diventa azione: esempi positivi
In molte parti del mondo, il dolore per la perdita ambientale non si traduce solo in sofferenza passiva, ma diventa una forza propulsiva per il cambiamento. Sono sempre più numerosi i progetti che trasformano il lutto ecologico in impegno attivo, coinvolgendo comunità, artisti, ricercatori e cittadini in pratiche collettive di cura e rigenerazione.
In ambito urbano, l’artista e ingegnere ambientale Andreco ha ideato il progetto Aula Verde, realizzato in diverse città italiane, tra cui Roma e Trento. Si tratta di spazi pubblici dedicati all’educazione ambientale, alla socialità e alla coltivazione collettiva, dove il verde diventa strumento di benessere, consapevolezza ecologica e rigenerazione relazionale. Questi orti terapeutici rappresentano una risposta concreta alla perdita di connessione con la natura, attraverso il gesto semplice e simbolico della cura del vivente.
Anche l’arte ambientale si è rivelata una potente alleata nel trasformare il dolore in azione. Sulla scia della Trash Art italiana che utilizza materiali di scarto, oggetti abbandonati e rifiuti per creare opere d’arte, l’opera Arcipelago di Maria Cristina Finucci, esposta al MAXXI di Roma, ha utilizzato milioni di tappi in plastica riciclata per comporre isole galleggianti simboliche, dando forma visiva alla crisi dei rifiuti marini. Iniziative come questa non solo denunciano la devastazione ambientale, ma generano coinvolgimento emotivo e consapevolezza collettiva, trasformando l’impotenza in partecipazione attiva.
A Calcata, nel Lazio, il Museo Opera Bosco integra arte contemporanea e conservazione paesaggistica attraverso installazioni permanenti realizzate esclusivamente con materiali naturali locali. Questo spazio immersivo dimostra come sia possibile abitare la natura con rispetto, ricucendo il rapporto con territori feriti da abbandono o incuria.
In molte città italiane nascono “boschi urbani” o foreste partecipate, come il Bosco di Donna Regina a Napoli o il Bosco Verticale a Milano, dove cittadini, associazioni e istituzioni collaborano per piantare alberi, migliorare la qualità dell’aria e creare spazi di socialità. Questi progetti rispondono al bisogno di riconnettersi con la natura e di ricostruire legami comunitari.
Ecosia, il motore di ricerca che usa i profitti per piantare alberi, supporta progetti in tutto il mondo, coinvolgendo migliaia di persone in azioni concrete di riforestazione. Queste iniziative aprono la strada a una resilienza culturale e creativa, in cui il dolore non viene negato, ma elaborato attraverso l’azione e la bellezza.
Ecoterapia e rielaborazione del trauma ambientale
L’ecoterapia, nota anche come green therapy o nature-based healing, è un insieme di pratiche psicologiche e terapeutiche che utilizzano il contatto diretto con la natura per favorire il benessere mentale ed emotivo. Attraverso attività come passeggiate nei boschi, giardinaggio, meditazione all’aperto o laboratori immersi negli ambienti naturali, queste terapie aiutano a ridurre stress, ansia e depressione, facilitando la rielaborazione di emozioni legate al trauma ambientale.
In particolare, l’ecoterapia si rivela efficace per chi soffre di ecological grief o ecoansia, poiché riconnette le persone con il mondo naturale, promuove la consapevolezza e sostiene un processo di guarigione emotiva legato alla crisi ambientale.
Perché parlarne è importante: il ruolo della narrazione ambientale
Parlare di lutto ecologico significa riconoscere che la crisi ambientale non è solo un problema tecnico o scientifico, ma anche una sfida profondamente umana. La perdita della natura coinvolge il nostro mondo emotivo, la nostra identità e la cultura, chiedendo linguaggi nuovi capaci di raccontare il dolore e l’urgenza con empatia e sensibilità.
La narrazione ambientale, dunque, non è soltanto informazione: è uno strumento per creare connessione emotiva con la Terra e con le comunità colpite, per superare il distacco e la rassegnazione. Raccontare la crisi climatica attraverso storie che coinvolgono cuore e mente favorisce la consapevolezza collettiva e apre la strada a nuove forme di impegno.
Come si dice spesso, “La perdita della natura è anche perdita del nostro specchio emotivo.” Questa frase ci ricorda quanto il mondo naturale rifletta la nostra interiorità e il nostro senso di appartenenza. Allo stesso modo, “Sentire dolore per la terra non è debolezza, è consapevolezza evoluta.” Riconoscere il proprio lutto ecologico non è un segno di fragilità, ma un passo necessario verso un rapporto più maturo e responsabile con l’ambiente.
In questo senso, la narrazione ambientale diventa una pratica di cura collettiva, che aiuta a elaborare il lutto e a trasformarlo in speranza e azione concreta.
In sintesi
Il lutto ecologico è una realtà tangibile e collettiva. Riconoscerlo, comprenderlo e raccontarlo può rappresentare la chiave per rigenerare non solo la Terra, ma anche le relazioni e il tessuto delle nostre comunità.