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Dal permafrost siberiano, scongelato il virus più vecchio del mondo

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Il riscaldamento globale provoca lo scioglimento del permafrost, liberando emissioni di metano e CO2, batteri e virus sconosciuti, persino scorie nucleari intrappolate dalla guerra fredda. Un team di ricercatori dell’Università francese Aix-Marseille ha scongelato il pandoravisrus, vecchio di 48.500 anni.

Se non possiamo scomodare il concetto di resurrezione, poco ci manca nel caso del pandoravirus: il virus più antico di sempre, tirato fuori dal permafrost nel quale era ibernato, da un gruppo di ricercatori dell’Università Aix-Marseille, in Francia. Quando questo virus gironzolava libero sui terreni di quella che oggi è la Siberia, correva l’era geologica del pleistocene: se avesse avuto gli occhi avrebbe visto i mammut, le tigri dai denti a sciabola e l’uomo di Neanderthal. La ricerca dell’Università francese, guidata da Jean-Michel Claverie, è interessante non solo a fini di una maggiore conoscenza di quei tempi lontanissimi e di questi nostri microscopici coinquilini del pianeta Terra, ma anche in previsione di quello che potrebbe accadere a causa della crisi climatica. Il riscaldamento globale sta infatti scongelando parte del permafrost, liberando gas e microrganismi finora sconosciuti a noi uomini moderni.

Dallo scongelamento del permafrost emissioni di metano e CO2, virus, batteri e scorie radioattive

Da tempo si parla di rischio permafrost legato alla crisi climatica. Il permafrost è un terreno perennemente ghiacciato, copre circa 23 milioni di chilometri quadrati nell’emisfero settentrionale del pianeta e quello più antico parrebbe trovarsi in questo stato da un milione di anni, tenendo surgelate al suo interno schegge dell’ecosistema di allora. L’Agenzia statunitense per l’ambiente (EPA) sottolinea che gli impatti dei cambiamenti climatici sul permafrost variano su scala regionale e locale, ma il suo scongelamento è stato osservato in molte località del mondo. Insomma, gli effetti del riscaldamento globale sono evidenti e diffusi, con impatti gravi sulle persone e sull’ambiente. Ad esempio, quando il permafrost si scioglie, spiega l’EPA, può trasformarsi in un impasto fangoso che non sostiene più infrastrutture come strade, edifici e tubature. Non solo. “La materia organica (come i resti delle piante) attualmente congelata nel permafrost inizia a decomporsi quando il terreno si scongela, con conseguente emissione di metano e anidride carbonica nell’atmosfera. Ciò alimenta ulteriormente il cambiamento climatico globale”. Inoltre, una ricerca congiunta ESA-NASA (le agenzie spaziali europea e statunitense) ha rivelato che il rapido scongelamento del permafrost nell’Artico ha il potenziale per rilasciare batteri resistenti agli antibiotici, virus sconosciuti e persino scorie radioattive provenienti dai reattori nucleari e dai sottomarini della Guerra Fredda.

Il pandoravirus ha 48.500 anni

“Il permafrost è un serbatoio di vita microbica scarsamente conosciuta”, metteva in guardia uno studio pubblicato nel 2021 su Nature Climate Change. “Un singolo grammo può contenere da centinaia a migliaia di taxa microbici (le taxa sono unità tassonomiche: raggruppamenti di organismi, ndr), ma la composizione e la funzionalità di queste specie è scarsamente campionata. […] Ad esempio, uno studio recente ha recuperato in Svezia 1.907 popolazioni di virus non caratterizzati in 197 campioni. Oltre il 58% di questi microrganismi sconosciuti era ancora attivo”. Altro tema cruciale: questi organismi microscopici, una volta scongelati tornano alle loro abitudini: mangiare, riprodursi e infettare. Mentre la letteratura scientifica abbonda di descrizioni dei diversi microbiomi (il patrimonio genetico di una popolazione di microrganismi) trovati nel permafrost, a quanto scrivono i ricercatori dell’Università di Marsiglia, nessuno studio recente (dopo due ricerche sul pithovirus, nel 2014, e sul mollivirus, nel 2015) si occupa di virus “zombi”, che tornano attivi dopo migliaia di anni. Lasciando pensare che tali eventi siano rari e questi virus non rappresentino una minaccia per la salute pubblica. Ma le cose non stanno esattamente così, perché il cambiamento climatico renderà più frequenti e probabili quelle che prima erano solo remotissime possibilità: è per questo che i ricercatori francesi hanno descritto 13 nuovi virus, isolati in 7 diversi campioni di permafrost siberiano antico. Questi virus appartengono a 5 diversi gruppi che infettano le amebe, non animali nè piante. Infettano: il presente è d’obbligo. Perché i virus, appena tirati fuori dal freezer siberiano e tornati a contatto con le amebe hanno ripreso a fare quello che facevano nel pleistocene: contagiare questi organismi. Il più anziano tra i virus dormienti è il pandoravirus, un virus gigante, almeno per la sua specie, che può raggiungere 1 micron e ha 48.500 anni. “Si tratta di un record mondiale – ha spiegato a La Repubblica il professor Jean-Michel Claverie – E non sarà facile battere questo record di anzianità. Se, infatti, in teoria è possibile rianimare virus anche più antichi, il metodo che usiamo per misurare la loro età ha un limite: la datazione al radiocarbonio usata per collocare cronologicamente i campioni, infatti, non si spinge più in là di 50.000 anni”.

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