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Decreto End of Waste: a rischio discarica 4 milioni di tonnellate di rifiuti d’asfalto oggi riciclabili

demolizioni stradali
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Le imprese della costruzione e manutenzione stradale lanciano un segnale di allarme sulle conseguenze del Decreto End of Waste, il cui Regolamento è entrato in vigore il 4 novembre scorso, che a loro avviso mette a rischio l’equilibrio tra economia circolare e principio di precauzione.

Quattro milioni di tonnellate di rifiuti d’asfalto, se non addirittura sei, rischiano di finire in discarica invece di essere avviati a riciclo. L’ultimo allarme sul Decreto End of Waste (27 settembre 2022 n. 152) è stato lanciato oggi da Siteb, l’associazione Strade Italiane e bitume, che ha inviato al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica una nota tecnica. Siteb non è la prima a segnalare i rischi insiti nel testo del Regolamento End of Waste per i rifiuti inerti da costruzione e demolizione entrato in vigore il 4 novembre scorso. Già mesi fa, sotto il precedente Governo, l’Associazione nazionale produttori aggregati riciclati (Anpar) e altre associazioni avevano sollecitato gli allora ministri Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e Enrico Giovannini (Infrastrutture) affinché venisse rivisto il Regolamento, che altrimenti avrebbe messo a rischio parte dei 40 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione che ogni anno vengono recuperate nei 1.800 impianti disseminati sul territorio nazionale. Timori condivisi allora anche dall’Associazione nazionale dei costruttori (Ance).

Decreto End of Waste: cosa prevede

Il Decreto End of Waste stabilisce i criteri specifici che i rifiuti inerti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione – e gli altri inerti di origine minerale sottoposti a recupero – devono rispettare per cessare di essere qualificati come rifiuti ed essere considerati materie prime seconde. I rifiuti che, in forza dei requisiti di conformità, cessino di essere considerati tali si chiamano aggregati recuperati. Il termine previsto per adeguarsi alle nuove regole sui rifiuti inerti è il 3 maggio 2023, ma nel frattempo gli operatori del settore continuano a lanciare segnali di allarme, perché a loro avviso si sta mettendo a rischio il difficile e non scontato equilibrio tra economia circolare e principio di precauzione, transizione ecologica e mercato.

I rifiuti d’asfalto: come vengono recuperati

La produzione annuale dei rifiuti provenienti dalla demolizione di pavimentazioni stradali – noto anche come fresato d’asfalto – ammonta secondo le stime di Ispra a oltre 14 milioni di tonnellate. Addirittura 17 milioni, secondo le stime di Siteb; che spiega come questi rifiuti siano riciclati oggi, secondo la normativa vigente prima del Decreto, con impieghi nella produzione di nuovo conglomerato bituminoso a caldo per circa 9 milioni e 600mila tonnellate; nella produzione di nuovo conglomerato bituminoso a freddo per circa 800mila tonnellate e nella produzione di aggregati riciclati per 4 milioni e 100mila tonnellate. Stando all’attuale versione del Decreto però, il recupero nella produzione degli aggregati riciclati, così come avviene oggi, sarebbe impossibile: gli aggregati prodotti con miscele bituminose non sarebbero conformi alle limitazioni di concentrazione di idrocarburi previste. Una quota consistente di conglomerato bituminoso demolito (4milioni 100mila tonnellate, se non addirittura 6 milioni e 600mila secondo le stime Siteb) dovrebbe essere avviata non più a riciclo, ma a smaltimento finale in discarica, “in palese contrasto – scrive l’associazione – con i principi dell’economia circolare, con gli obiettivi di riciclo fissati a livello europeo e, non ultimo, con la necessità di pianificare urgentemente nuove adeguate discariche, pena il blocco delle demolizioni. Con pesanti ricadute anche sull’intero settore delle costruzioni, dal recupero del fresato sino ai cantieri per la realizzazione del piano di opere strategiche previste nel Pnrr”. Secondo il direttore di Siteb Stefano Ravaioli “il riutilizzo del 30% del fresato, dato attualmente registrato in Italia, nella produzione di conglomerato bituminoso, comporta ogni anno il minor impiego di 380mila tonnellate di bitume vergine, con conseguente riduzione del fabbisogno di petrolio, e il recupero di 9milioni 480mila tonnellate di inerti, equivalenti in termini economici ad un risparmio di circa 370-380 milioni di euro di sole materie prime”.

Decreto End of Waste: le richieste di modifica di Siteb

Sono tre le principali osservazioni e richieste sottoposte all’attenzione del Ministero nella nota tecnica inviata da Siteb:

  • rivedere i limiti di concentrazione massima di sostanze legate agli idrocarburi, prescritti nel Decreto, eccessivamente ristrettivi e sproporzionati rispetto ai reali rischi connessi al riciclo di questi materiali;
  • chiarire gli ambiti di sovrapposizione tra questa normativa e quella già esistente sull’End of Waste per il fresato d’asfalto (DM 69/18), con particolare riferimento a quanto previsto per il conglomerato bituminoso demolito;
  • modificare la previsione secondo cui le attività di riciclo del fresato d’asfalto dovranno essere sottoposte a certificazione di qualità ISO9001, oltre alla marcatura CE già oggi obbligatoria e sufficiente a garantire la sicurezza delle procedure di controllo della produzione. Tale nuovo obbligo produrrebbe un impatto burocratico sproporzionato, che rischierebbe di bloccare le attività e favorire il ricorso alla materia prime vergine.

Secondo le stime di Ravaioli, “producendo conglomerato con il 100% del fresato il risparmio economico salirebbe fino a 1.200 milioni di euro all’anno di sole materie prime, senza considerare tutti i vantaggi ambientali dovuti a minori importazioni di petrolio, al minor ricorso alle cave, ai minori trasporti di materie, ai minori costi di lavorazione e alle minori emissioni in atmosfera”.

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