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Fanghi di depurazione: la situazione in Italia

depurazione acque reflue
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Ogni anno quasi 2 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione finisce in discarica. Potrebbero invece essere trasformati in nuove materie o energia, secondo i principi dell’economia circolare. Per far questo sarebbero necessari nuovi impianti e una strategia nazionale di integrazione tra ciclo idrico e dei rifiuti.

I fanghi di depurazione rappresentano una spina al fianco nel sistema di gestione dei rifiuti. Essendo composti da tre quarti d’acqua e un quarto di rifiuti, la loro produzione rappresenta l’esatta intersezione tra il ciclo idrico e quello dei rifiuti. I fanghi sono infatti il prodotto dei trattamenti depurativi in cui si raccolgono gli inquinanti rimossi dalle acque reflue, ovvero una sospensione liquida, più o meno ricca di solidi di natura organica e inorganica, con una percentuale di sostanza secca pari al 20% circa. La loro produzione è legata alla capacità depurativa. Nascono come reflui, con una provenienza legata alla gestione delle risorse idriche, e si trasformano in fanghi, cioè in rifiuti, solo dopo processi di depurazione. Altra spina nel fianco del Paese, vista la mole di procedure d’infrazione europee accumulate per la mancanza di impianti e sistemi di collettamento integrati. Secondo il Commissario straordinario unico per la depurazione (abbiamo avuto bisogno anche di un Commissario per questo genere di intervento, che rappresenta tutt’altro che una emergenza) sono quattro oggi le procedure attive nei confronti dell’Italia in tema di collettamento, fognatura e depurazione. Per tre di queste siamo già alle condanne (C-251/17 – C-85/13 – infrazione 2014/2059), per una in fase istruttoria (2017/2181). Sono quasi 6 milioni gli abitati che vivono nelle aree oggetto di condanna, mentre quasi un milione e mezzo di persone vivono in zone, comunque, non conformi alle normative in tema di depurazione e qualità delle acque. Solo le ultime due procedure sottoposte alla gestione del Commissario prevedono la realizzazione di 606 interventi in 13 Regioni italiane. Siamo in attesa di un provvedimento governativo che assegni le risorse necessarie all’attuazione degli interventi: da quel momento il Commissario svolgerà il ruolo di soggetto attuatore per 306 di questi e di soggetto coordinatore delle realtà locali per la restante parte. L’aspettativa, dunque, con l’auspicata messa in regola di tutto il Paese, è quella di aumentare la capacità depurativa e di produrre quantità sempre maggiori di fanghi. Nonostante ciò, manca ancora una vera strategia nazionale di gestione moderna, secondo i principi dell’economia circolare. La transizione ecologica passa anche da qui.

La produzione dei fanghi di depurazione

Secondo il Rapporto Rifiuti Speciali 2021 di Ispra, l’attività di depurazione dei reflui urbani ha originato nel 2019 più di 3 milioni di tonnellate di fanghi, a cui vanno aggiunte altre 800 mila tonnellate circa provenienti dal trattamento dei reflui industriali, con un incremento di oltre il 7% rispetto all’anno precedente. Non sono compresi i quantitativi destinati all’estero, che nel 2019, per il codice EER 190805 (fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane), risultano pari a circa 100 mila tonnellate. I maggiori quantitativi si producano in Lombardia, che nel 2019 ha toccato la cifra di circa 914 mila tonnellate di fanghi (più del 29% del totale) prevalentemente destinati ad operazioni di recupero (circa 49%). Secondo produttore è l’Emilia-Romagna, con circa 376 mila tonnellate (il 12% del quantitativo nazionale) per lo più inviati a trattamento biologico. Per quanto riguarda la gestione complessiva, il 56% dei rifiuti gestiti viene avviato a smaltimento, il 41% ad operazioni di recupero, un 10% in più rispetto al 2018. Questo significa che, ancora oggi, finiscono in discarica, ogni anno, quasi 2 milioni di tonnellate di fanghi, che al contrario potrebbero essere trasformati in nuove materie o energia (soprattutto con digestione anaerobica).

Il trattamento dei fanghi di depurazione

Soprattutto al Sud e nel Centro Italia mancano gli impianti. Colpa della mancanza di una strategia nazionale e di pianificazioni regionali, ancorate a modelli dove lo smaltimento è ancora prevalente. A complicare le cose, inoltre, l’affiorare di un latente ostruzionismo sociale verso le forme più innovative di recupero, soprattutto energetico da digestione anaerobica. Come ha spiegato analiticamente Ref Ricerche in un recente position paper, la capacità gestionale sul territorio è in negativo per circa 222mila tonnellate di fanghi, che devono essere spedite fuori Regione, considerando anche che i deficit gestionali del Sud (-246 mila tonnellate) e del Centro (-137 mila tonnellate) non vengono compensati dai surplus del Nord (81 mila tonnellate) e delle due Isole maggiori. E la situazione già critica rischia di aggravarsi ulteriormente con la costruzione dei depuratori necessari: la produzione di fanghi schizzerebbe a quasi 4 milioni e mezzo di tonnellate all’anno, ossia 1 milione e 300 mila tonnellate in più da gestire rispetto alle quantità abituali. Attualmente, solo la Lombardia può vantare una capacità impiantistica capace di gestire in un’ottica di recupero, quindi di piena valorizzazione, l’incremento atteso di 239mila tonnellate/anno derivante dal completamento delle fognature e dei depuratori mancanti. Oltre ai danni ambientali e alla perdita di ricchezza, i deficit impiantistici generano delle distorsioni dei flussi, alimentandone la migrazione verso le Regioni dotate di impianti (Veneto e Lombardia su tutte) con aggravi di costi e in un contesto di grave inefficienza. La patologica conseguenza è il ricorso a pratiche illegali; i fanghi rappresentano infatti la stragrande maggioranza degli scarti trafficati illegalmente: più del 45% del totale finisce nelle mani dei trafficanti di rifiuti (fonte Legambiente, 2021).

Come raggiungere la valorizzazione dei fanghi di depurazione

Costruire catene del valore attraverso una pianificazione su scala nazionale, che si rifletta a cascata anche a livello regionale e sub regionale, è il primo passo necessario. E necessaria sarebbe anche la costruzione di un approccio industriale di sistema, dove l’effettiva integrazione tra ciclo idrico e dei rifiuti permetta la completa valorizzazione dei fanghi. Questo gap di governance ha finora prodotto inefficienza e ricorrenti emergenze ambientali. Come alcuni interventi normativi, che hanno reso quasi incomprensibile il quadro regolatorio d’insieme: basti pensare all’art. 41 del cosiddetto Decreto Genova, sui limiti tabellari per l’uso agronomico dei fanghi. Una buona notizia: il nuovo sistema tariffario regolato dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA) è stato pensato proprio per chiudere il ciclo idrico contemplando anche i fanghi, quindi aprendo la strada per l’inserimento in tariffa degli investimenti impiantistici. Anche se ancora in pochi se ne sono accorti.

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