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Gestione rifiuti, dismissione e riutilizzo delle infrastrutture minerarie

giacimenti gas
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Stoccaggio di gas naturale, di CO2 o idrogeno. Sono alcuni degli usi a cui vengono riconvertiti i giacimenti di idrocarburi a fine vita. Il Pitesai recentemente pubblicato dal MiTE dedica una parte a dismissione e riconversione delle infrastrutture minerarie.

Che fine fanno le piattaforme e i pozzi di idrocarburi dismessi? Il Piano che individua le aree in cui è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale (Pitesai) recentemente pubblicato dal ministero della Transizione ecologica, dedica una parte alla dismissione delle strutture minerarie, al loro possibile riutilizzo e alla gestione dei rifiuti che derivano dalle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi.

Le dismissioni degli impianti

Per quanto riguarda le piattaforme, il Pitesai precisa che sono attualmente allo studio della Direzione generale per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi energetici e geominerari delle proposte di modifica dell’iter di dismissione (attualmente regolamentato dalle Linee Guida del decreto ministeriale 15/02/2019). Gli aggiornamenti saranno inseriti in un decreto ministeriale di modifica delle Linee Guida che sarà emanato entro tre mesi dall’adozione del Piano. L’obiettivo è quello di accelerare il processo di decommissioning, riducendo i tempi a quanto strettamente necessario per la predisposizione delle istanze di dismissione o di riutilizzo. Il termine massimo per la conclusione delle attività di dismissione sarà di 5 anni e quello per il completamento delle attività di ripristino dei luoghi di 10. A fine vita di un giacimento o alla scadenza di un titolo minerario, la legge prevede infatti una fase di dismissione, con la chiusura mineraria dei pozzi, lo smantellamento degli impianti e delle infrastrutture (piattaforme, se in ambito marino) e il ripristino ambientale volto a riportare la situazione ante operam. La dismissione non è legata alla fine della concessione, ma deve essere realizzata man mano che le infrastrutture diventano inutilizzabili e l’attività mineraria si avvia alla cessazione. Si parla di chiusura mineraria dei pozzi nel caso di un pozzo sterile o esaurito, o comunque non più in grado di assicurare produzioni in quantità commerciali (da chiudere secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979 n. 886 e dalle indicazioni del Mite). Sempre in materia di decommissioning, la Direzione generale per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi energetici e geominerari ha trasmesso all’Ufficio legislativo del Mite a settembre 2021, per l’inserimento nella legge di bilancio 2022, una specifica proposta di legge “con la quale si conferma l’obbligo e le responsabilità dell’operatore di chiudere e dismettere le infrastrutture una volta cessato il loro uso, anche qualora venisse nominato custode, una volta cessato il titolo minerario; essa inoltre specifica che il rilascio di nuove autorizzazioni sarà condizionato alla presentazione di idonee fideiussioni, a garanzia dei recuperi e ripristini ambientali, imponendo tale obbligo anche ai titoli in corso di vigenza, per i quali non sono previste nuove autorizzazioni”.

La riconversione dei giacimenti

Un giacimento di idrocarburi, raggiunto il fine vita complessivo o di parte delle infrastrutture di produzione, può essere riconvertito ad altro uso. Le Linee Guida sono infatti da considerarsi uno strumento tanto per identificare le migliori tecnologie disponibili per la dismissione mineraria, quanto per valutare eventuali usi alternativi innovativi, in un’ottica di economia circolare e crescita blu. Nel caso del gas naturale, fin dagli anni 70, alcuni giacimenti esauriti in terraferma sono stati utilizzati come siti di stoccaggio di gas naturale: nel nostro Paese sono in operazione e produttive circa una decina di concessioni. Altri possibili utilizzi sono la produzione di energia geotermica oppure, in sperimentazione negli ultimi anni, lo stoccaggio sotterraneo di CO2. All’estero alcuni siti sono già in esercizio: per esempio, i siti di Sleipner nel Mare del Nord, Snohvit nel Mare di Barents, Northern Lights CCS in Norvegia, Weyburn in Canada, In Salah nel Sahara algerino e, su scala minore, con finalità dimostrative, Lacq in Francia, Compostilla in Spagna e Schwarze Pumpe in Germania. Lo stoccaggio geologico dell’idrogeno è un’altra delle opzioni di riutilizzo delle infrastrutture minerarie. Studiate alla luce del ruolo strategico che potrà ricoprire l’H2 nell’ambito della transizione energetica e del raggiungimento degli obiettivi del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec). Ma, precisa il Pitesai “non sono ancora stati ultimati tutti gli studi necessari in Italia e all’estero per l’avvio di casi studio”.

La gestione dei rifiuti

Nel nostro Paese i rifiuti prodotti dalle attività upstream, compresi quelli derivanti dalla dismissione delle installazioni, sono assoggettati alle previsioni specifiche del Piano di gestione dei rifiuti della Regione o della Provincia autonoma in cui insiste la concessione. Possono essere speciali, di tipo pericoloso o non pericoloso e derivano prevalentemente da operazioni di pulizia dell’impianto e di manutenzione delle apparecchiature; si aggiungono i rifiuti urbani quando sono presenti attività civili. Sono prioritariamente da inviare a recupero e da gestire secondo le indicazioni previste nel decreto legislativo sulle “Norme in materia ambientale” (152/2006). In generale, durante la gestione del sito i concessionari sono tenuti ad adottare tutte le precauzioni necessarie riguardo alla consegna e alla ricezione dei rifiuti per evitare o limitare il più possibile gli effetti negativi sull’ambiente; in particolare l’inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonché odori, rumori e rischi diretti per la salute umana.

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