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I danni ambientali della guerra, una tragedia di lungo corso

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A colloquio con Daniele Baldi, geologo e responsabile bonifiche siti contaminati della Società italiana di geologia ambientale (Sigea): “Gli effetti ambientali della guerra si diluiscono nel tempo e possono fare più vittime della guerra stessa”

“Una situazione drammatica, una tragedia che si aggiunge alla tragedia. Se anche smettessero adesso di bombardare e si arrivasse immediatamente ad un negoziato, i danni ambientali, con le conseguenti patologie e decessi, avrebbero effetti negativi per decenni”. Proviamo a raccontare cosa comporta la guerra in Ucraina dal punto di vista ambientale insieme a Daniele Baldi, geologo e responsabile bonifiche siti contaminati della Società italiana di geologia ambientale (Sigea-APS).

L’inquinamento bellico

Baldi spiega, prima di tutto, che dobbiamo distinguere due tipologie di sorgenti di contaminazione: quella bellica, imputabile all’utilizzo delle armi, che comprendono anche i mezzi da combattimento; e quella civile, che di quelle armi è l’obiettivo. “In termini di inquinamento le armi, anche senza considerare quelle nucleari, sono una sorgente di contaminazione sia quando avviene la deflagrazione, sia quando l’arma stessa è colpita: la combustione libera nell’ambiente sostanze nocive e cancerogene, quali metalli pesanti, idrocarburi ed uranio impoverito. Analogamente, quando un mezzo militare, come ad esempio un carro armato, viene colpito, libera queste sostanze a cui si aggiunge anche l’amianto, che normalmente trova largo impiego negli armamenti.”

I danni alle industrie

Se consideriamo poi i danni civili, la situazione non è affatto tranquillizzante. “L’Ucraina è una paese fortemente industrializzato, con industrie petrolchimiche, chimiche, minerarie e siderurgiche, con 4 centrali nucleari e 15 reattori, depositi nucleari…”. Come in tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica, sottolinea Baldi, gli standard ambientali delle industrie sono piuttosto bassi, lontani da quelli europei. “Parliamo dunque di criticità legate al bombardamento di industrie che già di per sé probabilmente erano in uno stato ambientale degradato. Quando ci riferiamo a miniere, petrolchimici, industrie chimiche, sappiamo che nel loro ciclo produttivo sono presenti sostanze tossiche e cancerogene che una volta liberate vanno a diffondersi nell’ambiente: nell’aria, nelle acque superficiali e sotterranee, nella fertile terra nera ucraina usata per coltivare, insomma si inseriscono nella nostra catena alimentare”. Inoltre, riflette ancora Baldi, anche quello che non viene colpito dai missili o dalle cannonate è a rischio. “In una realtà di guerra è evidente che tutti i presidi ambientali per il monitoraggio e contenimento dell’inquinamento vengono meno. Nel Donbass, ad esempio, c’è una rete di miniere di carbone estesissima, con centinaia di chilometri di gallerie che una volta abbandonate si sono riempite di acqua, veicolando di fatto una serie di sostanze inquinanti come piombo, mercurio ed arsenico. L’acqua inquinata confluisce nelle principali falde acquifere della zona, contaminando le risorse idriche della popolazione. Un rapporto dell’UNICEF dello scorso marzo già denunciava la mancanza di acqua pulita per le famiglie dell’Est-Ucraina”.

La distruzione delle città

Passiamo alle città, dove troviamo fonti di contaminazione non trascurabili. Ad esempio, quali sono gli effetti sulla qualità dell’aria dopo il bombardamento di un palazzo? “Vuol dire distruggere un manufatto composto da molteplici materiali: non solo ferro e cemento, ma anche amianto che in Ucraina è stato prodotto ed utilizzato fino al 2020 e quindi verosimilmente molto diffuso e presente anche in costruzioni civili”. Quindi, chiarisce ancora Baldi, “nelle polveri sottili prodotte a seguito del crollo di un palazzo è ragionevole ipotizzare anche la presenza di amianto, e da quello che leggiamo l’esercito russo ha preso di mira proprio le aree residenziali”. Queste polveri se inalate portano a malattie polmonari e, nel caso dell’amianto, “anche al mesotelioma della pleura, un tumore che può presentarsi anche dopo 20-30 anni dall’esposizione. Ecco che gli effetti ambientali della guerra si diluiscono nel tempo e possono fare molte più vittime della guerra stessa. E viene anche da pensare che provocare danni ambientali faccia parte di una specifica strategia degli aggressori”.

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