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L’etica alla base della rigenerazione territoriale e culturale

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La sostenibilità ambientale e le attività di rigenerazione del territorio devono essere guidate dall’etica per essere autentiche. Cinzia Rossi, docente di antropologia organizzativa, spiega come sia necessario superare la visione economicista e recuperare un rapporto profondo con la natura per dare futuro alla specie umana.

È l’etica, la ricerca della ricomposizione degli equilibri, che muove il genere umano verso la sostenibilità ambientale, che ci spinge a recuperare quel rapporto con la natura interrotto da quando l’uomo ha pensato di poter fare affidamento solo sulla razionalità, di poter soggiogare la natura ai propri fini e ai propri desideri. La crisi climatica, quella della biodiversità, la pandemia, nascono da lì, secondo Cinzia Rossi, docente di Antropologia Organizzativa alla facoltà di filosofia della Pontificia Università Antonianum.

Uomo e natura: un rapporto da recuperare

Professoressa Rossi, nella storia l’uomo per sopravvivere si è lasciato ispirare dalla natura. Oggi la crisi climatica, lo sfruttamento eccessivo delle risorse, l’inquinamento e la perdita di biodiversità mettono in discussione le nostre prospettive di sopravvivenza. Come ci dobbiamo riorganizzare?

“Nella sua storia, l’uomo, sintanto che non si è scollegato dalla natura, non ha creato grossi squilibri, mentre quando – con il pensiero positivista – ha voluto dimostrare che poteva fare a meno della natura e poteva appellarsi esclusivamente alla ragione, bandendo qualsiasi relazione con la natura e con la trascendenza, ecco, lì è avvenuto lo iato: uno scollamento che ovviamente ci ha reso molto fragili come specie, molto più vulnerabili. Ne sono prova le grandi catastrofi naturali o le pandemie, fenomeni che sono fuori dal controllo della nostra razionalità.

Ricordiamoci che l’uomo è un soggetto finito, è una finitezza in cerca di essere e – per dirla col premio Nobel Herbert Simon – l’uomo è ‘razionalità limitata’: come tale non è capace di pensare oltre una certa misura, oltre la misura dell’epoca in cui ci troviamo.

Dobbiamo evolvere, dobbiamo crescere, possiamo innovare, possiamo spostare le nostre scoperte in avanti e superare i nostri limiti: lo dobbiamo fare perché la natura può sicuramente renderci sempre più fragili. Ma dobbiamo farlo come comunità, come grande comunità umana, non possiamo farlo singolarmente. L’uomo attraverso la sua cultura, la sua capacità di rigenerarsi, ritrovarsi, reinventarsi, facendo ritorno ad una relazione forte con la natura, può sicuramente aprirsi a potenti dinamiche di speranza. A trasformazioni positive della nostra storia, che ci riportino verso un cambiamento sostenibile, verso un ritorno ad una sana e simbiotica relazione con la fonte primaria dalla quale traiamo vitalità e spunto: la natura.

La natura, dal punto di vista organizzativo, è il miglior laboratorio di ricerca che abbiamo a disposizione, con la sua millenaria esperienza, con la selezione delle specie, delle strutture, dei processi: già solo attingendo da queste esperienze e dalle indicazioni che la natura può darci possiamo trovare soluzioni nuove. Sicuramente dobbiamo ritornare a riconnettere tra loro le scienze, affinché possano interagire”.

E’ possibile ricostruire un rapporto con la natura?

Nei Paesi occidentali la natura di cui siamo circondati è quasi completamente antropizzata: oggi ci rapportiamo con un paesaggio umano. È possibile tornare in relazione con la natura?

“Ben detto: nei Paesi occidentali la natura di cui siamo circondati è quasi antropizzata, ma non è così nel resto del mondo, che rappresenta ancora una grande parte del pianeta. I Paesi non occidentali, quelli non antropizzati, hanno avuto e continuano ad avere un rapporto molto forte con la natura: da lì noi potremmo davvero riscoprire che il nostro processo di colonizzazione non aveva tutte le ragioni, il nostro pensare raziocinante non sempre ci ha portato su vie equilibrate e sensate. C’è una parte del nostro pianeta che ha ancora un rapporto straordinariamente forte con la natura.

E che sta cercando di preservarlo. Lo sta facendo anche per noi occidentali. In Amazzonia, per esempio, a settembre dello scorso anno è avvenuto un importante passaggio culturale: i giudici hanno riconosciuto la cultura delle comunità locali, indigene, che rivendicavano il fatto che la natura non è proprietà privata, sostenendo il “diritto alla terra ancestrale indigena”. Riuscendo così a farsi restituire, inclusi i danni, il possesso e la possibilità di vivere il bene comune che è la terra, la madre terra, come proprietà legale delle comunità (in questo caso come diritti forestali per l’Amazzonia), diffondendo così la tutela dei diritti fondiari comunitari in tutto il mondo, proteggendo quei preziosi ecosistemi e promuovendone la giustizia sociale, riconoscendo i diritti ed il valore della conoscenza ancestrale delle popolazioni indigene e delle comunità tradizionali.

Ci sono davvero fenomeni che possono invertire in modo forte e risolutivo la direzione che abbiamo preso, ma c’è bisogno di fare scelte coraggiose, di ritornare ai fondamentali principi istitutivi della nostra convivenza sul pianeta: come portare rispetto alla natura, come dare valore dal punto di vista naturale e non solo economico.

Sicuramente abbiamo bisogno di un grande sforzo anche dal punto di vista intellettuale, per ritornare a considerare gli indicatori più importanti, per tornare ad un dialogo tra tutte le scienze, dove il dominio non può più essere lasciato alla sola economia, alla finanza, alla tecnocrazia. Dobbiamo invece ritornare ad umanizzare la nostra specie, a naturalizzare la nostra specie in relazione con le altre specie, ad inquadrare la nostra esistenza nelle leggi biologiche e naturali.”

Etica e sostenibilità

In occasione del suo intervento al convegno “Natura e comunità: la rigenerazione del territorio” ha detto che alla base della sostenibilità c’è l’etica. Ci spiega meglio questo concetto?

“Senza entrare nella lunga e articolata trattazione che sarebbe necessaria per rispondere, qui ricordiamo solo che l’etica è una disciplina che indaga sulla bontà e l’adeguatezza del comportamento umano e sui criteri che lo determinano, sia a livello individuale che sociale, in ogni sfera dell’esistenza. In pratica che cosa vuol dire? Che l’etica si occupa di salvaguardare e promuovere la dignità umana, di affermare e prevenire ogni asimmetria di dignità, nelle relazioni sociali tanto quanto nelle relazioni personali.

Laddove c’è asimmetria vuol dire che c’è una carenza di etica, vuol dire che l’etica non sta agendo. Di fatto l’etica ha un centro gravitazionale ineludibile che è la persona con le sue relazioni interpersonali e sociali. L’obiettivo più grande dell’etica è la dignità umana: ogni singola persona è un valore assoluto in sé, indipendentemente dagli atti che compie, nel suo essere vivente, nel suo divenire umano. Essa ha una dignità a prescindere, che va rispettata e tutelata. Da questo principio discendono e trovano legittimazione tutte le dichiarazioni dei diritti e dei doveri degli esseri umani.

L’etica però deve non solo essere una dichiarazione di principio, l’etica deve essere anche una condizione efficace, praticabile. Quindi non bastano le buone intenzioni: deve diventare efficace. Oggi, per la nostra epoca, per il nostro modo di applicare e intendere l’etica, è fondamentale questo connotato, è necessario e costitutivo di un’etica che non sia solo narcisistica. L’etica oggi deve davvero risolvere e prevenire i problemi senza crearne e aggravarne altri. L’etica è efficace quando salvaguarda, realizza, migliora il rispetto della dignità umana senza ledere o diminuire la dignità di altri, né direttamente né indirettamente.

La variabile del tempo è una variabile importante, perché spiega il connotato dell’efficacia. Non possiamo dire che oggi i problemi si possono risolvere a piccoli passi, che abbiamo bisogno di tempo, che abbiamo gettato un semino però i frutti li vedranno le prossime generazioni. Questo non è più un modo plausibile di procedere, di intendere l’etica. Dobbiamo fare in modo che quello che facciamo ricomponga subito le simmetrie, che riporti un equilibrio, che ridia dignità tra gli esseri umani che l’hanno persa, tra le persone che soffrono, tra quelli che non hanno, tra quelli a cui è stata tolta la possibilità di parola, di sopravvivenza. I temi da risolvere oggi sono tanti, ed efficacia vuol dire che dobbiamo dare risposte.

Insomma le buone intenzioni vanno proclamate, la forza della parola è importante, ma l’efficacia dei segni è quello che ci rende evidentemente concreti. È solo l’efficacia dei segni che oggi vivifica la prospettiva dell’etica. Sono i segni dell’etica ad alimentare la speranza. Ed è la speranza che dà forza al cambiamento, che a sua volta contribuisce a realizzare la speranza. Bisogna entrare dentro questo circolo virtuoso per tornare a rispettare i diritti umani, quelli ambientali e la giustizia sociale.

La rigenerazione territoriale e culturale

Lei sostiene che la rigenerazione del territorio è anche una rigenerazione culturale. Può spiegarci perchè?

Rigenerare il territorio vuol dire rigenerare le nostre radici, legate ai luoghi dove abbiamo consolidato il nostro vissuto e il rapporto con le persone. Ma il territorio ti restituisce identità se si ricostruisce e si rigenera una forte dimensione culturale, a partire dall’uomo, dalle esperienze di senso. Questo porta a riscoprire la complessità del territorio dove – secondo una definizione che ci dà Papa Francesco – “tutto è connesso”, tutti dipendiamo da tutti. Una definizione che in realtà è un modo più semplice di raccontare e spiegare la complessità.

Qualsiasi cosa noi facciamo, anche come singola persona, si riverbera sugli altri: se una nostra iniziativa non ha un segno positivo, non è carica di speranza, di sguardo altruistico, non alimenta un cambiamento positivo, a sua volta creerà onde di squilibrio che si riverberano sulla comunità. Dobbiamo tornare a costruire una cultura capace di produrre benessere sociale, capace di ristabilire la dignità umana. Solo allora riusciremo a ritornare a pensare ad una qualità della vita di tutti, ad uno sviluppo economico equilibrato.

La rigenerazione del territorio significa partire dal rispetto e dal riconsiderare come prioritarie le nostre radici, il nostro senso identitario, la nostra appartenenza e soprattutto ritornare a un’essenza della relazione. Viviamo in una società e in un tempo nel quale dobbiamo dedicarci a riscoprire delle relazioni sane, che non possono essere virtuali: devono ritornare a privilegiare fenomeni di prossimità, di incontro, di condivisione, di sensazioni, di sguardi, di intendimenti.

Queste relazioni sono costitutive e riaprono ad una rigenerazione culturale. È un circolo virtuoso: la rigenerazione culturale positiva crea a sua volta la rigenerazione del territorio. Il territorio è la nostra carica identitaria, è lì che c’è la nostra memoria, la nostra storia, dalle quali possiamo muovere i nostri passi verso il futuro”.

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Redazione

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