Tecnologia e futuro: la vetrificazione come chiave per la gestione sicura e sostenibile delle scorie nucleari nel mondo e in Italia.
La gestione delle scorie nucleari ad alta attività è una delle sfide più complesse della transizione energetica, sia per la pericolosità dei materiali coinvolti, sia per i tempi lunghissimi della loro radioattività residua. Tra le soluzioni più promettenti, la vetrificazione rappresenta una tecnica avanzata e altamente efficace: consiste nell’immobilizzazione dei rifiuti nucleari all’interno di una matrice vetrosa, capace di inglobare gli elementi radioattivi e renderli chimicamente stabili.
Questa metodologia si inserisce nel più ampio panorama delle tecnologie di contenimento, progettate per garantire la sicurezza a lungo termine dei depositi, evitando la dispersione delle sostanze pericolose nell’ambiente. Il vetro, per le sue proprietà strutturali e la sua durabilità, diventa così non solo un contenitore, ma un vero e proprio scudo contro le radiazioni. Ma vediamo nel dettaglio cos’è la vetrificazione delle scorie, come funziona e come sfruttarla per un futuro più sicuro.
Cos’è la vetrificazione delle scorie e perché si usa

La vetrificazione è un processo chimico-fisico che consente di trasformare le scorie nucleari ad alta attività in un materiale vetroso stabile e resistente. Il principio alla base della tecnica è semplice ma altamente ingegnerizzato: il materiale radioattivo viene miscelato con vetro borosilicato e portato a temperature elevatissime, intorno ai 1.100-1.200 °C. A queste condizioni, la miscela fonde e una volta raffreddata forma un solido vetroso in cui gli isotopi radioattivi vengono intrappolati all’interno della struttura disordinata del vetro.
Questa tecnologia nasce negli anni ’50 nell’ambito della ricerca nucleare militare e civile: furono in particolare i laboratori nazionali di Oak Ridge (Stati Uniti) a sperimentare per primi la possibilità di incorporare rifiuti radioattivi in materiali vetrosi. Dagli anni ’70 in poi, il processo è stato perfezionato per uso civile, grazie anche al contributo di istituti di ricerca francesi e britannici.
Tra i protagonisti dello sviluppo contemporaneo vi è Ashutosh Goel, scienziato della Rutgers University, che ha contribuito a progettare materiali innovativi in grado di intrappolare anche radionuclidi difficili da gestire, come lo iodio-129, all’interno della struttura vetrosa. I suoi studi hanno aperto nuove prospettive per rendere la vetrificazione ancora più efficace e sicura.
Il risultato è un blocco omogeneo che riduce drasticamente la possibilità di dispersione dei radionuclidi, garantendo un’efficace immobilizzazione dei rifiuti nucleari. Questa forma solida, non solubile in acqua e altamente resistente al deterioramento, si presta bene sia allo stoccaggio geologico profondo, sia al deposito in strutture protette di superficie. Inoltre, la compatibilità con materiali come vetroceramiche e leghe resistenti apre nuove prospettive per il miglioramento delle prestazioni a lungo termine.
La vetrificazione è già una realtà industriale in Francia, Giappone e Russia, dove è adottata nei grandi impianti di trattamento del combustibile nucleare esaurito. Anche in Italia esistono progetti pilota, come quelli sviluppati da ENEA, che studiano l’applicazione di questa tecnologia nella prospettiva di trovare una soluzione anche per il Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi.
Quali scorie si possono vetrificare
La vetrificazione è indicata per i rifiuti radioattivi ad alta attività e lunga emivita, in particolare quelli in forma liquida o semi-liquida derivanti dal riprocessamento del combustibile esausto. Non è invece adatta a materiali solidi compatti o metalli, che non si amalgamano con la matrice vetrosa.
Secondo fonti autorevoli come l’IAEA e la National Academies of Sciences (USA), i radionuclidi che possono essere efficacemente incorporati in vetro borosilicato includono:
- Cesio-137
- Stronzio-90
- Plutonio e attinidi minori (es. americio, curio, neptunio)
Questi isotopi sono altamente radiotossici e caratterizzati da emivite lunghe (fino a decine di migliaia di anni), motivo per cui richiedono un contenimento sicuro e stabile come quello offerto dal vetro. I test di durabilità e stabilità condotti in ambienti simulati confermano che questi elementi, una volta inglobati nella matrice vetrosa, mostrano una drastica riduzione del rischio di rilascio.
Vantaggi della matrice vetrosa per lo stoccaggio nucleare
La matrice vetrosa offre numerosi vantaggi rispetto ai metodi tradizionali:
- Stabilità chimica: i vetri borosilicati resistono alla degradazione, anche in presenza di acqua, grazie ai prodotti di alterazione superficiale che formano gel protettivi.
- Impermeabilità: l’acqua penetra molto lentamente; alcuni test mostrano che meno del 0,6 % del volume vetroso si dissolve dopo migliaia di anni.
- Resistenza alla corrosione: il vetro è inerme all’ossigeno, acqua e soluzioni saline, garantendo protezione a lungo termine.
- Riduzione del volume: la fusione concentra i rifiuti in un blocco compatto, riducendo gli spazi richiesti per lo stoccaggio.
Perché il vetro è preferibile:
- Non reagisce con l’acqua o con l’aria.
- Non libera radiazioni a contatto (la matrice trattiene gli isotopi).
- È stabile per migliaia di anni, sufficiente al decadimento radioattivo.
- Si può modellare in contenitori resistenti, adatti ai depositi geologici o in superficie.
Dove si utilizza nel mondo: esempi attivi
Numerosi Paesi hanno implementato la vetrificazione delle scorie nucleari ad alta attività, in impianti industriali o pilota. Ecco i casi più significativi:
- La Hague (Francia). Impianti R7/T7 gestiti da Orano, operativi dagli anni ’90. Producono circa 1 000 barili all’anno, con oltre 24 000 barili realizzati dal lancio dell’impianto.
- Mayak (Russia). Il programma è iniziato con EP‑500/4 nel 1987 e dal 2015 prosegue con EP‑500/5. Ha vetrificato migliaia di tonnellate di rifiuti liquidi ad alta attività.
- Tokai (Giappone). L’impianto di reprocessing ha gestito circa 241 barili tra il 1994 e il 2007, con una ripresa recente della produzione, prevista fino al 2028.
- EUREX – Saluggia (Italia). È un impianto pilota gestito da ENEA, attivo dagli anni ’70 fino agli anni ’80, dedicato al riprocessamento del combustibile nucleare e alla sperimentazione della vetrificazione delle scorie liquide ad alta attività. L’impianto ha svolto un ruolo importante nella ricerca e sviluppo di tecnologie di contenimento, anche grazie alla collaborazione con il CEA francese. Attualmente, EUREX è in fase di smantellamento e decommissioning, con attività di gestione dei rifiuti radioattivi residue.
Tabella – Impianti di vetrificazione attivi nel mondo
Paese | Sito/Impianto | Stato operativo | Volume trattato annuo |
Francia | La Hague (R7/T7) | Operativo (1992‑oggi) | ≈ 1 000 barili / 1 000 t HLW |
Russia | Mayak (EP‑500/5) | Operativo (dal 2015) | Diverse migliaia di tonnellate |
Giappone | Tokai | Operativo (ripresa) | ≈ 50 barili (2025–2028), tot. 241 |
Italia | Saluggia (EUREX) | Pilota (ricerca) | Ridotto (non dati pubblici) |
Quali sono i limiti e le sfide future
Nonostante i vantaggi indiscussi, la vetrificazione delle scorie nucleari presenta ancora alcune importanti criticità. Innanzitutto, i costi elevati degli impianti e delle tecnologie coinvolte rappresentano una barriera significativa, soprattutto per Paesi con risorse limitate. Inoltre, il processo richiede un notevole consumo energetico per raggiungere le altissime temperature necessarie alla fusione, incidendo sull’impatto ambientale complessivo.
La gestione di grandi volumi di scorie è un’altra sfida rilevante: sebbene la vetrificazione riduca il volume dei rifiuti, le quantità totali da trattare sono ingenti e richiedono infrastrutture estese e sicure. Infine, resta irrisolto il problema del destino finale del vetro radioattivo: seppur stabile, il materiale deve comunque essere confinato in strutture adeguate per migliaia di anni, come il Deposito Geologico Profondo, la cui realizzazione è ancora in fase di pianificazione in molti Paesi, Italia inclusa.
Vetrificazione e Deposito Nazionale: un binomio possibile?
In Italia, il progetto del Deposito Nazionale Unico rappresenta un passaggio cruciale nella gestione dei rifiuti radioattivi. La vetrificazione potrebbe giocare un ruolo fondamentale in questo contesto, fornendo una matrice solida e stabile per le scorie ad alta attività, rendendo più sicuro e sostenibile il loro stoccaggio nel Deposito.
L’integrazione di queste tecnologie avanzate è al centro di studi e sperimentazioni, con l’obiettivo di definire un sistema efficace, che garantisca la sicurezza a lungo termine e la protezione ambientale. Sebbene restino da affrontare aspetti economici e tecnici, il binomio vetrificazione + Deposito Nazionale appare come una delle soluzioni più promettenti per il futuro della gestione nucleare italiana.
In sintesi
La vetrificazione è come “sigillare il fuoco in un blocco di vetro”: una tecnologia che trasforma le scorie nucleari in un materiale solido, stabile e resistente, rendendole più sicure e meno pericolose nel tempo. Nonostante le sfide e i costi, rappresenta una speranza concreta per il confinamento definitivo delle sostanze radioattive, e apre la strada a una gestione responsabile e sostenibile del patrimonio nucleare.