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La criminalità organizzata dietro alla raccolta illegale dei rifiuti tessili

rifiuti tessili
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Secondo l’ultima Relazione della Commissione Ecomafie il traffico illecito di rifiuti tessili è in crescita, con flussi verso l’estero, cassonetti abusivi per la raccolta, rifiuti spacciati per materia prima seconda o abbandonati in capannoni dismessi.

“La presenza di realtà illecite strutturate nel settore della raccolta e recupero degli indumenti usati e dei rifiuti tessili è un fatto conclamato”. Così si aprono le considerazioni conclusive della Relazione finale su rifiuti tessili e indumenti usati approvata dalla Commissione Ecomafie. “L’attenzione della criminalità organizzata verso il potenziale di lucro dato dalla gestione degli indumenti usati – prosegue la Commissione – sarebbe in crescita, anche in vista dei fondi PNRR e delle risorse che verranno allocate dai sistemi di responsabilità estesa del produttore”. La Commissione denuncia lo stoccaggio di balle di rifiuti tessili in capannoni abbandonati o, sempre più spesso, la spedizione all’estero di materiali spacciati come recuperabili, ma che vengono poi smaltiti illecitamente in Africa, Asia e America Latina. Con la complicità della criminalità organizzata. L’Associazione dei Comuni italiani, sulla base di alcune relazioni della Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo, ha riferito alla Commissione in sede di audizione di “un dominio del mercato italiano degli indumenti usati da parte dei clan camorristici e un loro sostanziale controllo dei due distretti economici del settore (Ercolano/Resina e Prato Montemurlo) e della direttrice che li unisce a Tunisi, principale destinazione dell’export italiano”.

La criminalità guadagna con l’esportazione illegale dei rifiuti tessili

Nel caso dell’abbigliamento di seconda mano, la differenza tra un rifiuto e un prodotto che può tornare sul mercato la fanno la selezione e l’igienizzazione. Evitare quest’ultimo, obbligatorio, passaggio è uno dei modi per tagliare i costi e aumentare illecitamente i guadagni. Il Generale della Guardia di Finanza Giuseppe Arbore ha ricordato alla Commissione i casi in cui il materiale viene stoccato e trasportato, senza trattamenti di igienizzazione, accompagnato da falsa documentazione, da fatture false che cercano di dimostrare una destinazione lecita. L’export illegale è un’altra delle forme che la criminalità ha escogitato per lucrare illegalmente sui rifiuti tessili. In una nota consegnata alla Commissione del direttore generale dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli, Marcello Minenna, viene segnalato come il traffico di abiti usati verso India e Pakistan rappresenti, con tutta probabilità, un mezzo per aggirare illegittimamente gli obblighi di legge sullo smaltimento dei rifiuti tessili non recuperabili. Sono sempre più frequenti, infatti, i ritrovamenti all’interno di container di tonnellate di abiti usati “sporchi, maleodoranti, ammassati in balle disordinate” e soprattutto non igienizzati. Si tratta, sottolinea la nota, “di traffico illecito di rifiuti. Tale business è messo in piedi da società che non si occupano del trattamento di rifiuti ma hanno una semplice partita Iva, attiva nel settore dell’abbigliamento, in particolare nella vendita nei mercati”. A volte questi abiti vengono esportati verso l’Africa tramite di persone di origine africana, residenti in Italia, che li dichiarano come effetti personali: sono centinaia i contenitori sequestrati dall’Agenzia, contenenti bustoni di abiti di origine incerta, che si trovano spesso mischiati a Raee, a pezzi di autoveicoli e a rifiuti di vario genere. Anche la Procura della Repubblica di Firenze – Direzione distrettuale antimafia segnala export di rifiuti camuffati come prodotti riutilizzabili, con spedizioni in Sud Africa, in Croazia o in Paesi dell’Est Europa.

La criminalità gestisce la raccolta illegale dei rifiuti

La Procura della Repubblica di Firenze denuncia quello che succede nel distretto pratese, ma che – secondo la Commissione Ecomafie – coinvolge un contesto molto più ampio. Soggetti di nazionalità italiana offrono a imprenditori tessili di origine cinese di gestire i rifiuti della loro attività: raccolta e primo stoccaggio avvengono in Toscana, in impianti formalmente autorizzati al trattamento. Ma il trattamento non avviene: lo status di materia prima seconda, che i rifiuti ottengono transitando in questi impianti, è falsificato. I rifiuti vengono poi trasferiti nel Nord Italia in capannoni non utilizzati o appartenenti a società in difficoltà economiche; se la disponibilità di questi magazzini-discarica non c’è, i rifiuti, sottolinea la Procura, “vengono bellamente abbandonati lungo la via pubblica”. Per lucrare quanto più possibile sugli indumenti usati evitando le prescrizioni di legge, le organizzazioni criminose arrivano a replicare, in modo illegittimo, il sistema di raccolta. Addirittura allocando abusivamente i cassonetti per la raccolta: i beni sfuggono così ad ogni forma di tracciabilità e rendicontazione statistica e ambientale. Pur trattandosi tecnicamente di rifiuti, non vengono gestiti come tali, ma dirottati su mercati paralleli e illegali. Una stima effettuata nel 2014 stimava in circa 4.000 i cassonetti abusivi su tutto il territorio nazionale, anche se il fenomeno è diffuso soprattutto nelle aree del Nord Italia.

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Redazione

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