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L’ultima spiaggia

navi abbandonate
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Lo smaltimento delle navi avviene in modo illegale nella stragrande maggioranza dei casi. Il 90% finisce spiaggiato sulle coste dell’Asia meridionale o rottamato in condizioni devastanti per l’ambiente e le persone.

Il 2021 è stato l’anno record per la demolizione delle navi. La stragrande maggioranza continua a essere rottamata in condizioni devastanti per l’ambiente e per i lavoratori, esposti a rischi immensi. Secondo i dati dell’organizzazione non governativa Shipbreaking Platform (che dal 2009 monitora le pratiche di smaltimento delle navi) nel 2021 sono state vendute ai cantieri di rottamazione 763 navi commerciali oceaniche. Di queste – tra grandi petroliere, portarinfuse, navi da carico e da crociera – 583 sono finite sulle spiagge di Bangladesh, India e Pakistan: circa il 90% del tonnellaggio lordo smantellato a livello globale.

Emirati Arabi Uniti il peggior Paese 2021

Sulle spiagge dell’Asia meridionale lo spiaggiamento e lo smantellamento delle navi provoca ogni anno una marea tossica dalle ripercussioni gravissime su persone ed ecosistemi costieri. L’organizzazione mette nero su bianco l’elenco dei morti sul lavoro: almeno 400 su quelle spiagge, dal 2009. E una lista nera di Paesi e compagnie che violano il diritto internazionale e la legislazione sui rifiuti. Pratiche non estranee agli armatori dell’Unione europea. “Abbiamo assistito a questo scandalo ambientale e dei diritti umani per troppo tempo – dichiara Ingvild Jenssen, direttrice esecutiva e fondatrice di Shipbreaking Platform – Tutti gli armatori conoscono la situazione nei cantieri di spiaggiamento e sono consapevoli che mancano le capacità di gestire in sicurezza i numerosi materiali tossici contenuti nelle navi. Ma la stragrande maggioranza di loro sceglie comunque di rottamare la propria flotta a fine vita in Asia meridionale, con l’aiuto dei rivenditori di rottami, perché è lì che possono realizzare i maggiori profitti”. Nel dettaglio, lo scorso anno sono state rottamate in Bangladesh 254 navi, 210 in India, 119 in Pakistan, 77 in Turchia, 66 nel resto del mondo e 37 all’interno dell’Unione europea. Il primato di peggior Paese 2021 assegnato da Shipbreaking Platform va agli Emirati Arabi Uniti, con 60 navi vendute in Asia meridionale per la demolizione e, per la maggior parte, spiaggiate in Bangladesh e Pakistan. Seguono Singapore, la Grecia e gli Stati Uniti d’America, con oltre 40 navi spiaggiate ognuno. In cima alla lista nera delle aziende c’è invece la società mercantile sudcoreana Sinokor, che ha fatto demolire lo scorso anno ben 12 tra navi e metaniere in Bangladesh e Pakistan. Nell’elenco anche i produttori di frutta fresca Del Monte e Dole, la compagnia malese Bull, Bw Offshore, Knutsen Group, Maersk, International Seaways, Petrobras e Stolt-Nielsen. Tutti, l’anno scorso, si sono disfatti delle proprie navi sulle spiagge dell’Asia meridionale.

Un terzo delle navi rottamate in Asia sono europee

Il trucco più comune è il cambio di bandiera. I diritti e gli obblighi derivanti dal diritto internazionale sono infatti imposti alle navi attraverso la bandiera di appartenenza. E dovrebbe sussistere, come regola generale, un legame reale tra il Paese da cui opera la nave e quello della bandiera sotto la quale naviga. Purtroppo, però, quasi il 73% della flotta mondiale batte bandiera in un Paese diverso da quello della titolarità effettiva delle navi, e c’è un’enorme discrepanza tra Stati in cui hanno sede gli armatori e Stati di bandiera, che esercitano il controllo normativo sulla flotta mondiale. Mentre Grecia, Giappone, Cina, Stati Uniti e Norvegia sono, secondo stime 2018, i primi Paesi proprietari di navi, i primi tre registri di bandiera sono di gran lunga Panama, Isole Marshall e Liberia. Nel 2021, riporta Shipbreaking Platform, quasi la metà delle navi vendute all’Asia meridionale ha sostituito la propria bandiera, poche settimane prima dell’ultimo viaggio verso lo spiaggiamento, con una di quelle che figurano nella lista nera, a cominciare da Comore, Palau e St Kitts & Nevis. Almeno 17 navi (tra cui, per esempio, due unità di proprietà della società italiana Saipem e due di proprietà della società greca European Navigation) sono state cancellate da un registro di bandiera europeo prima dell’ultimo viaggio verso i cantieri di demolizione, al fine di aggirare il Regolamento Ue sul riciclaggio delle navi, che richiede che le operazioni vengano compiute in una delle 44 strutture approvate dall’Unione europea in Europa, Turchia e Stati Uniti. Inoltre, almeno 19 navi sono state vendute a cantieri di spiaggiamento, in violazione del regolamento Ue sulle spedizioni di rifiuti che vieta tutte le esportazioni di rifiuti pericolosi verso paesi non Ocse. “Gli armatori non dichiarano le navi destinate al riciclaggio. Invece, spesso forniscono alle autorità dei Paesi esportatori false dichiarazioni di ulteriore uso operativo o lavori di riparazione, al fine di evitare di essere ritenuti responsabili – spiega Ingvild Jenssen – La Ue ha recentemente riaffermato che la demolizione delle navi è una questione di giustizia ambientale. Tuttavia, le famigerate spiagge di demolizione navale dell’Asia meridionale rimangono la destinazione di demolizione preferita per molte note compagnie di navigazione europee. Almeno un terzo del tonnellaggio rottamato in Asia meridionale è europeo. La decisione di demolire queste navi a condizioni che non sono consentite nella Ue viene presa in uffici di Amburgo, Atene, Anversa, Copenaghen e altri hub marittimi dell’Unione. A fronte di questa realtà è necessaria l’introduzione e l’applicazione di misure che attribuiscano le responsabilità ai veri proprietari delle navi, indipendentemente dalle bandiere utilizzate o dai porti di partenza”.

Lavoratori a rischio

Tra i 44 siti riconosciuti dalla Ue come operanti in modo sicuro e rispettoso dell’ambiente non figura nessun cantiere dell’Asia meridionale, per l’incapacità di gestire e smaltire in sicurezza i materiali pericolosi e l’assenza di infrastrutture in grado di rispondere alle emergenze. Nel 2021 hanno perso la vita in operazioni di smantellamento sulla spiaggia di Chattogram in Bangladesh almeno 14 lavoratori e altri 34 sono rimasti gravemente feriti. Fonti locali hanno riferito, inoltre, di due morti ad Alang in India e di altri due a Gadani in Pakistan. Alcuni di questi incidenti hanno avuto luogo a bordo di navi di proprietà di note compagnie di navigazione, come Berge Bulk, Nathalin Co, Polaris Shipping e Winson Oil. Ma, l’anno scorso, hanno perso la vita anche cinque lavoratori nei cantieri turchi di riciclaggio delle navi ad Aliağa.

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