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Ridurre l’impronta idrica contro il rischio siccità

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L’Italia nel 2023 è ancora a rischio siccità, e la situazione potrebbe essere peggiore di quella dell’anno passato. Per questo è necessario iniziare a ragionare in termini di impronta idrica e mettere in campo le azioni per ridurla.

La siccità nel nostro Paese, nel 2023, potrebbe essere maggiore di quella del 2022. E l’anno appena concluso è stato un anno davvero difficile, la peggiore siccità dal dopoguerra. L’allarme arriva dall’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi), il cui Osservatorio sulle risorse idrica certifica che pioggia e neve non riescono più a sanare il deficit idrico dell’Italia. “Come qualsiasi bilancio a lungo in deficit – osserva Francesco Vincenzi, presidente Anbi – anche quello idrologico è ormai pregiudicato e il riequilibrio non può prescindere da importanti interventi esterni”. L’esempio più evidente secondo l’associazione sono i grandi laghi del nord, la più grande riserva idrica del Paese: tutti sotto il livello medio stagionale e con percentuali di riempimento inferiori a quelle del gennaio 2022, che fu preludio ad una straordinaria stagione siccitosa. Anche il Po è ancora in sofferenza: ridotto, lungo tutto il percorso piemontese, a circa un terzo della portata del 2021.

Cosa è l’impronta idrica

In questo contesto è necessario ragionare in termini di impronta idrica e lavorare alla sua riduzione. L’impronta idrica è un concetto sviluppato nel 2002 da Arien Y. Hoekstra, professore all’Università di Twente, in Olanda, al fine di avere un indicatore economico dell’utilizzo di acqua basato sul consumo finale, che potesse fornire informazioni utili in aggiunta al tradizionale indicatore fondato sul settore produttivo. Un concetto analogo a quello di impronta ecologica. Tradizionalmente, infatti, il consumo di acqua veniva considerato sul fronte della produzione, quantificando il prelievo idrico dei settori domestico, agricolo e industriale; ma in un mondo globalizzato, questo si è rivelato un calcolo insufficiente. L’impronta idrica consente invece di capire come le scelte economiche e i processi impattino sulla disponibilità di acqua, perché prende in considerazione sia l’uso diretto che indiretto di acqua: l’impronta idrica diretta è l’acqua usata direttamente dalle persone, mentre l’impronta idrica indiretta è la somma delle impronte idriche di tutti i prodotti consumati. Può essere calcolata per un qualsiasi gruppo ben definito di consumatori (individui, famiglie, centri abitati, regioni, Paesi) o produttori (organizzazioni pubbliche, imprese e settori economici), per un singolo processo, prodotto o servizio. Il consumo è calcolato come volume di acqua evaporata e/o inquinata in una singola unità di tempo.

Quanta acqua si consuma in Italia

Secondo i dati del consumo di acqua in Italia del Water footprint network, nel nostro Paese vengono prelevati circa 130 miliardi di metri cubi di acqua all’anno – uno dei valori più alti d’Europa – che per il 60% sono utilizzati per prodotti importati dall’estero. I dati forniti da Legambiente su prelievi e perdite parlano invece di oltre 26 miliardi di metri cubi di acqua consumati ogni anno, con il 55% circa della domanda proveniente dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile. Consumi che rappresentano poco meno del 78% dei prelievi – che superano i 33 miliardi di metri cubi annui – a causa di perdite pari a circa il 22% del prelievo totale, che si verificano per il 17% nel settore agricolo e per il 40% in quello civile.

Cosa si può fare per ridurre l’impronta idrica

Per iniziare a utilizzare l’acqua in modo sostenibile, l’associazione ambientalista suggerisce innanzitutto l’inserimento dell’impronta idrica tra le norme richieste dai Criteri ambientali minimi (CAM). Cosa altro si può fare:

  • ridurre gli sprechi;
  • individuare le perdite e sistemarle;
  • completare la rete di depurazione e riqualificare gli impianti di depurazione esistenti;
  • rendere obbligatorio il calcolo dell’impronta idrica di enti e imprese;
  • progettare impianti e processi che minimizzino l’utilizzo di acqua;
  • innovare il sistema agroalimentare con finanziamenti orientati a diffondere colture e sistemi produttivi meno idroesigenti, misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei suoli agrari e della loro capacità di trattenere l’acqua.

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