La Regione Lazio ha annunciato la volontà di sospendere il decreto di perimetrazione del Sin Valle del Sacco del 2014, con l’obiettivo di favorire gli investimenti industriali. Cittadini e associazioni ambientaliste protestano: si getta la spugna sul risanamento ambientale.
Sta facendo discutere la decisione annunciata dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, in sinergia con il Presidente del Consiglio Mario Draghi e il Ministro per la Transizione ecologia (Mite) Roberto Cingolani, di sospendere il decreto di perimetrazione del Sito di interesse nazionale (Sin) Bacino del fiume Sacco del 2014. I Sin sono aree particolarmente contaminate, la cui bonifica – a differenza dei siti di importanza regionale o locale – è di competenza del Mite, in collaborazione con le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. La decisione della Regione, di natura puramente politico-amministrativa, è giustificata dall’esigenza di consentire all’area di attrarre investimenti e riprendere il cammino industriale interrotto da tempo, nonostante la bonifica sia ancora ferma al palo. Cercando un nuovo equilibro tra tutela dell’ambiente e della salute pubblica e rilancio economico dell’area laziale. Equilibrio mai facile.
Un caso paradigmatico nello scenario delle bonifiche
La notizia della sospensione del decreto è stata data a fine aprile, in occasione della presentazione alla stampa della costituzione del Consorzio Industriale del Lazio, con l’effetto di inasprire ulteriormente il confronto tra istituzioni locali e gran parte del mondo politico, favorevoli a sospendere la perimetrazione, e associazioni ambientaliste e comitati di cittadini, decisamente contrari a questa scelta. Una vicenda paradigmatica a livello nazionale, poiché fa capire dove potrà andare il Paese rispetto alla sfida delle bonifiche. La miccia l’ha innescata l’annuncio dell’azienda multinazionale farmaceutica Catalent di investimenti produttivi per oltre 100 milioni di dollari in provincia di Frosinone, ma – sostengono dai vertici aziendali – Catalent sarebbe stata costretta a ricollocarli altrove (in Gran Bretagna) a causa delle lungaggini burocratiche e dell’incertezza sui tempi autorizzatori, proprio in virtù dei limiti operativi dovuti allo status di Sito di interesse nazionale. La vicenda ha scatenato un vespaio di polemiche sul territorio, che ha portato alla decisione marcatamente politica – non sostenuta, pare, da un’adeguata valutazione tecnico-scientifica – di rivedere l’iter sulla riperimetrazione, a dire il vero ancora in una fase di stallo. Se in passato, sostengono dalla Regione, si è fatto di tutto per allargare generosamente l’area da comprendere all’interno del Sin allo scopo di poter beneficiare delle risorse destinate alle bonifiche, oggi, paradossalmente, questo allargamento sta diventando un cappio al collo per gli investimenti privati, soprattutto considerando che le bonifiche vere e proprie non si vedono ancora. Il rischio, paventato dalla Regione e da buona parte della galassia politica locale, è che dopo il danno arrivi la beffa, con la desertificazione economica del territorio. Secondo le associazioni ambientaliste e alcuni gruppi di cittadini ascoltati, il vero rischio è, all’opposto, che in questo modo si getti la spugna sul risanamento ambientale e che con la scusa degli investimenti e di qualche posto di lavoro in più si nascondano i veleni sotto il tappeto.
Le tappe di una contaminazione storica
Un passo indietro è utile per comprendere la complessità della vicenda. La Valle del Sacco, ovvero l’area un tempo agricola e poi a forte vocazione industriale a sud del Lazio, è tra le più inquinate d’Italia. Per tale ragione dal 2016 è diventata, appunto, Sito di interesse nazionale di bonifica, comprendendo un’area estesa per 7.200 ettari che ingloba ben 19 Comuni tra le province di Roma e Frosinone. Nel 2005, a seguito della grave contaminazione che ha colpito persino gli allevamenti della zona, in particolare con il rilevamento di concentrazioni di beta-esaclorocicloesano (β-HCH) superiori al livello limite di 0.003 mg/kg consentito dalla normativa comunitaria in un campione di latte proveniente da un’azienda bovina situata nel comune di Gavignano, l’allora Governo in carica dichiarò lo stato di emergenza socio-economico-ambientale (D.P.C.M. 19 maggio 2005). Da allora, poco o nulla è stato fatto, se si escludono alcuni studi epidemiologici, in parte ricompresi nell’accordo di programma sottoscritto nel 2019 tra il Ministro dell’Ambiente e il Presidente della Regione Lazio. L’ultimo provvedimento ministeriale risale all’agosto del 2017 (DM n. 370/STA) e riguarda la definizione delle Linee guida sulle procedure operative ed amministrative per la bonifica del Sito in questione. La Valle del Sacco è un esempio paradigmatico degli impatti della prima industrializzazione, maturata senza alcun riguardo per il rispetto delle matrici ambientali e consentita dalle flebili norme di tutela ambientale. Danni oggi persino difficili da quantificare. La nascita delle prime fabbriche risale agli anni 30 del Novecento, soprattutto a fini bellici, con la produzione di tritolo e nitrocellulosa. Alla fine del conflitto mondiale si mette in moto una vera e propria opera di riconversione produttiva, con gli stabilimenti che potenziano il loro collegamento col mercato chimico intensificando le produzioni di anidrite ftalica, meleica e resine di poliestere a uso industriale e la produzione di antiparassitari e insetticidi a uso agricolo.
Regione e ambientalisti su fronti opposti
“La sospensione del decreto di perimetrazione [..] assicurerà una maggiore velocità nel processo di semplificazione delle procedure che stiamo portando avanti – ha affermato Sara Battisti, presidente della Commissione regionale Affari Costituzionali – Come Regione utilizzeremo questa sospensione per ridefinire, in poco tempo, i parametri legati al Sin e, con lo sblocco delle procedure, garantire continuità ad un modello di sviluppo sostenibile anche del punto di vista ambientale. Un lavoro che sarà definito di concerto con amministratori del territorio e con le imprese, per garantire nuova ricchezza e nel contempo adeguate tutele alla Valle del Sacco, che ha pagato troppo in termini di inquinamento”. Secondo un comunicato congiunto delle associazioni ambientaliste (tra cui Associazione Rete per la Tutela della Valle del Sacco, Circolo Legambiente di Anagni e di Frosinone e Associazione Diritto alla Salute), invece, la gravità dell’inquinamento accertato nell’intera area dovrebbe richiedere maggiore prudenza e un supplemento d’indagine. Al contrario, la vicenda del passo indietro della Catelant sta diventando il “cavallo di Troia per rilanciare intenzioni politico economiche di de-perimetrazione nell’aria già da tempo. È chiara, prevaricante e provocatoria l’intenzione di dimenticarsi del passato e di chi, sul territorio, ha sofferto sulla propria salute il massiccio impatto industriale”.