Un green designer progetta prodotti, servizi e sistemi che minimizzano l’impatto ambientale. Il suo lavoro non si limita all’estetica, ma integra analisi dei materiali, processi produttivi, riparabilità e fine vita del prodotto.
Le competenze chiave che contraddistinguono la figura del green designer, sempre più richiesta in un mondo come quello odierno, nel quale la transizione ecologica è sulla bocca di tutti, uniscono creatività, conoscenza dei materiali sostenibili e comprensione dei principi fondamentali dell’economia circolare. I settori che richiedono questa figura sono svariati, e tutti in forte crescita. Può trovare occupazione nella moda, nell’arredamento, nel mondo del packaging, in quello del tech o persino nell’automotive. Questa professione risponde alla crescente domanda dei consumatori per prodotti etici e sostenibili. Secondo recenti analisi di mercato, gli acquirenti che preferiscono acquistare green sarebbero oltre il 65%.
Cosa fa (davvero) un green designer: molto più che scegliere materiali riciclati
Il green designer, che può farsi chiamare anche ecodesigner, non si limita a sostituire la plastica con quella riciclata. Il suo lavoro, va oltre l’incarico di sostituire componenti impattanti con alternative riciclate. L’operazione è comunque parte delle sue competenze, ma questo professionista possiede una visione integrale, olistica, che ripensa l’intero processo di creazione. Se si muovesse secondo un mantra, sarebbe che il rifiuto non esiste.
Questo principio guida è il fondamento della filosofia nota come dalla culla alla culla (in inglese, cradle to cradle). Un simile approccio mira a far sì che tutti i materiali componenti di un prodotto, una volta giunti a fine vita, possano essere reintrodotti all’interno di un ciclo tecnico produttivo o decomposti, in modo sicuro (all’interno del ciclo definito biologico), senza generare scarti né tossicità che vadano a impattare e inquinare l’ambiente.
Il lavoro del green designer si articola in quattro momenti:
- Analisi del ciclo di vita (life cycle assessment, in lingua inglese): il professionista valuta l’impatto ambientale di tutte le fasi e condizioni del prodotto, nel corso della sua esistenza, dall’estrazione delle materie prime fino al trasporto, dall’uso alle operazioni di smaltimento finale.
- Selezione dei materiali: Questa fase è il cuore del lavoro di un green designer. La scelta delle materie prime è rigorosa e l’obiettivo è quello di utilizzare meno materiali vergini possibili e focalizzarsi su riciclato e rinnovabile, servendosi di materia a basso impatto o certificata, privilegiando salubrità e tracciabilità.
- Progettazione per il disassemblaggio. Tutti i prodotti creati dovrebbero essere facili da smontare, riparare o aggiornare. Ciò serve a ridurre l’uso di colle o materiali compositi difficili da separare.
- Pianificazione del fine vita. Il green designer si occupa di dare una definizione chiara di come il prodotto dovrà essere riciclato, riutilizzato o compostato, una volta giunto al termine del suo utilizzo.
Tra i più noti e celebrati prodotti di green design abbiamo la sedia modulare che si smonta completamente, dando così modo all’utilizzatore di sostituire le singole parti, invece di dismetterla e riacquistarne una nuova; il packaging alimentare totalmente compostabile o ancora lo smartphone modulare, con componenti facilmente isolabili e aggiornabili.
I 5 comandamenti dell’ecodesign
L’ecodesign si basa su alcuni principi cardine, fondamentali allo scopo di guidare ogni singola decisione progettuale, indipendentemente dal prodotto di cui si stia parlando. Vediamoli:
- minimo materiale. Principio secondo il quale occorre fare in modo di utilizzare, sempre e comunque, la minor quantità possibile di risorse, allo scopo di raggiungere la funzione desiderata. In questo modo si ottimizzano geometria e struttura del prodotto, impiegando meno materia prima;
- basso impatto. Occorre privilegiare le cosiddette materie prime seconde, dunque riciclate, e verificare che siano rinnovabili, non tossiche e/o provenienti da filiera corta e certificata. Questo serve a ridurre l’impronta di carbonio dei materiali impiegati e del prodotto che andranno a costituire;
- efficienza produttiva. Vanno ricercate possibilità di progettazione di processi che riducano al minimo gli scarti di lavorazione e facciano uso di energie rinnovabili. Due possibili strade da seguire sono quella della stampa 3D o del taglio laser;
- massima durata. Ogni progetto deve contemplare una buona longevità, sia fisica sia percepita. Ciò faciliterà e incentiverà manutenzione, pulizia e riparabilità. Sono le fondamenta del diritto alla riparazione;
- fine vita intelligente. È bene prevedere, fin dall’inizio, un percorso chiuso per il prodotto. il riciclo ad alta qualità, il riuso o, per i materiali organici, il compostaggio industriale o domestico, sono le possibili scelte al termine dell’utilizzo, e non ve ne dovrebbero essere ulteriori.

Le competenze e gli strumenti nel cassetto di un green designer
FASE DEL PROGETTO | FOCUS DESIGNER TRADIZIONALE | FOCUS GREEN DESIGNER |
CONCEPT | Estetica e funzionalità del prodotto. | Estetica e funzionalità, ma anche impatto sul medio e lungo termine. |
MATERIALI | Costi e performance. | Costi, performance, origine, tossicità e riciclabilità. |
PRODUZIONE | Velocità di realizzazione ed economia di scala. | Efficienza energetica e riduzione degli scarti. Attenzione alla filiera etica. |
FINE VITA | Problema del consumatore, non di chi produce. | Disassemblaggio, riciclo e gestione del fine vita sono parte del ciclo di produzione, che non si esaurisce all’uscita dalla fabbrica. |
Nella tabella abbiamo indicato le principali differenze tra un progettista tradizionale, privo di formazione e sensibilità ecologica, e un green designer che, invece, si focalizza sull’impatto dei prodotti che disegna e avvia alla produzione. Le competenze delle due figure sono assimilabili, ma gli strumenti nel cassetto del secondo, e la sua attenzione alla sostenibiltà, sono differenti, molto più al passo con i tempo che corrono.
Come diventare green designer: percorsi di studio e prospettive
Per chi aspira a unire la passione per la creatività alla sostenibilità, e fare della professione di green designer il proprio futuro, esistono percorsi formativi strutturati. I corsi di laurea, e i master attigui, in ecodesign, design strategico o progettazione dei sistemi sono oggi offerti da buona parte delle più importanti università e accademie italiane: dal Politecnico di Milano a quello di Torino, fino agli ISIA (acronimo di istituti superiori per le industrie artistiche).
Non è sufficiente acquisire le basi del design, che pure rappresentano la base di questa professione, ma occorre possedere anche competenze tecniche specifiche. È impensabile non conoscere l’uso di software LCA (per lo studio del life cycle assessment), necessari a misurare l’impatto di un dato materiale, oppure non essere al corrente di certificazioni e standard relativi alle materie prime (come l’FSC, se parliamo di legno, o il GOTS per i tessili).
Le prospettive di carriera sono eccellenti, e in rapida espansione. Il green designer può operare come freelance specializzato in startup innovative. Oppure trovare posto come consulente interno, o esterno, in grandi aziende che devono adeguarsi a normative ambientali più stringenti. Ha anche la possibilità di lavorare in svariati team di ricerca e sviluppo. La sua figura è sempre più centrale, non solo nell’ambito del design di prodotto, bensì anche in quello dei servizi o nella consulenza strategica per l’economia circolare.
Che cos’è la certificazione cradle to cradle?
Abbiamo già scritto del principio cradle to cradle (anche abbreviato in C2C), uno degli standard più rigorosi, e riconosciuti, a livello globale, per il design sostenibile. Esiste una specifica certificazione per i prodotti che rientrano nelle sue linee guida. A differenza di altre etichette, le quali si concentrano sulla singola caratteristica (come potrebbe essere il solo contenuto riciclato, per intenderci), quella C2C valuta ben cinque categorie di sostenibilità:
- salubrità dei materiali. Bisogna verificare che tutte le sostanze chimiche del prodotto siano sicure per la salute umana, così come per quella ambientale;
- riutilizzo. Va valutata la progettazione per l’economia circolare, ovvero la possibilità di rientrare nel ciclo biologico, o alternativamente in quello tecnico, senza perdere qualità;
- energia rinnovabile e gestione del carbonio. La produzione deve essere alimentata a energia pulita e la riduzione delle emissioni di gas serra va dimostrata;
- gestione dell’acqua. Si valuta l’uso responsabile dell’acqua potabile e la qualità dei suoi scarichi in natura;
- equità sociale. Il produttore deve garantire, e dimostrare, il suo impegno per pratiche di lavoro eque e responsabili.
Secondo i dettami del Cradle to Cradle Product Innovations Institute, un prodotto certificato C2C è progettato non solo per essere meno dannoso, bensì anche intrinsecamente rigenerativo, dunque capace di trasformare il design da problema a soluzione.