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Bonifiche: presentato il primo Report sul mercato potenziale

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Il settore delle bonifiche è sempre più importante per realizzare gli obiettivi della transizione ecologica, stimolare l’innovazione e lo sviluppo economico territoriale. Un mercato le cui potenzialità economiche non sono mai state indagate a fondo. Ci prova per la prima volta uno studio di Ref Ricerche presentato a RemTech 2025.

Uno dei momenti più attesi dell’edizione 2025 di RemTech Expo è stata la presentazione del primo Rapporto economico sul mercato delle bonifiche ambientali curato dal Laboratorio Ref Ricerche e realizzato grazie al sostegno di RemTech e un ampio Comitato di operatori industriali. Lo spunto della ricerca, tengono a precisare gli analisti, è la convinzione che le bonifiche si collochino, sempre di più, all’interno di una visione olistica della rigenerazione territoriale, di cui il risanamento rappresenta il primo indispensabile passo.

Quello delle bonifiche è un settore dalle enormi potenzialità economiche, finora mai investigate a fondo. E proprio per colmare questo gap di conoscenza il Report prova per la prima volta a delineare il mercato potenziale del risanamento del territorio in Italia, articolato in 42 Siti di Interesse Nazionale (SIN) – 18 al Nord, 7 al Centro e 17 al Sud e nelle Isole – spalmati su 148 mila ettari a terra e 77 mila ettari a mare (non considerando nel computo il sito dell’Area vasta di Giugliano, in provincia di Napoli, per il quale la perimetrazione non è stata ancora formalmente definita) e quasi 37mila siti da bonificare di competenza regionale e/o comunale (per una superfice stimata di interventi di risanamento di almeno 160 milioni di metri quadrati).

Il mercato potenziale delle bonifiche

Il valore economico del mercato delle bonifiche è rappresentato, nello studio, da un’ampia forbice, compresa tra 43 e 92 miliardi di euro, con ricavi quantificabili in circa 3,5 miliardi all’anno e un valore aggiunto di oltre 1,3 miliardi (circa lo 0,06% del PIL), dando lavoro a circa 23 mila addetti specializzati, impiegati in oltre 1.500 aziende.

Una stima – precisa il Report – che non ha la pretesa di essere esaustiva ma solo un punto di partenza per costruire un quadro sempre più definito. “L’estrema variabilità degli indicatori di costo suggerisce l’opportunità di proseguire con un’attività sistematica di raccolta, aggiornamento e analisi dei dati reali di spesa sostenuta negli interventi di bonifica (a partire dalle fasi di indagine) in modo da creare una banca dati strutturata e solida”. Solo così sarà possibile “monitorare in modo continuativo l’evoluzione del mercato, rilevare le determinanti principali dei costi (tipologia di inquinanti e loro distribuzione, tecnologie utilizzate, volumi trattati, vincoli urbanistici e ambientali, ecc.), e fornire benchmark tecnici ed economici attendibili a supporto della pianificazione pubblica e privata”. Fattori utili, anzi necessari, per garantire investimenti economici e finanziari, anche su tempi medio-lunghi.

Un mercato dinamico di piccole e medie imprese

L’analisi condotta sulle gare, sugli operatori, sulle tecnologie impiegate e sulle dinamiche economico-finanziarie, spiegano i curatori, conferma “la presenza di un mercato dinamico, rappresentato principalmente da imprese medio-piccole”. Gli operatori del settore sono chiamati a svolgere un ruolo sempre più̀ proattivo, non soltanto come esecutori tecnici, ma come soggetti capaci di contribuire alla costruzione di filiere nazionali della bonifica, di attivare reti di collaborazione pubblico-private e di proporsi come interlocutori qualificati nei processi di pianificazione, progettazione e valorizzazione territoriale.

Sotto il profilo tecnico, “molte imprese italiane mostrano già livelli di eccellenza nelle capacità operative e nella gestione di interventi complessi; tuttavia, permane una dipendenza strutturale da brevetti, tecnologie e know-how esteri”. Il settore “sconta alcuni fattori limitanti quali principalmente: discontinuità della domanda, procedure amministrative complesse con assenza di certezza dei tempi di attuazione, difficoltà e limitazioni autorizzative per le attività di recupero dei rifiuti generati e un basso grado di accettabilità mediatica”.

Bonifiche asset cruciale per la transizione ecologica

Le bonifiche ambientali, insomma, appaiono anche da questa prospettiva un asset cruciale per rilanciare l’economia, soprattutto per una sua decarbonizzazione, dando nuovo impulso alla ricerca e all’innovazione, restituendo porzioni di territorio alle comunità coinvolte. Da ciò se ne ricava che “le bonifiche non dovrebbero essere considerate soltanto un segmento tecnico del comparto ambientale sanitario, ma un fattore abilitante per lo sviluppo sostenibile e lo sviluppo economico, soprattutto nelle aree urbane e industriali in transizione”. Esse rappresentano infatti un presupposto fondamentale per la tutela e la valorizzazione del territorio, per lo sviluppo di rigenerazione urbana, riuso del patrimonio esistente e attivazione di filiere circolari e connesse alle innovazioni (data center, fonti di energie rinnovabili) con ricadute dirette ed indirette in termini occupazionali, sanitari e immobiliari.

Bonifiche: non solo eredità del passato ma leva per un futuro migliore

Alla luce delle evidenze raccolte, il rapporto propone quindi di “riattivare politiche industriali di settore, valorizzare le competenze pubbliche e private, rafforzare la programmazione degli interventi e costruire strumenti stabili di finanziamento, anche attraverso sinergie con le politiche per la rigenerazione urbana, il climate change e la coesione territoriale”. Si tratta di investimenti strategici: bisogna infatti ricordare che “l’investimento nelle bonifiche ambientali può generare un elevato valore sociale indotto. Seppur non sia mai stato determinato con specifico riferimento al settore delle bonifiche, è ipotizzabile che il ritorno sociale (SROI) sia stimabile in oltre 2 euro per ogni euro investito, grazie ai benefici generati in termini di salute pubblica, rigenerazione territoriale e coesione sociale”.

Le bonifiche ambientali, conclude il report, “non sono solo un’eredità del passato da gestire passivamente, ma una leva concreta per costruire il futuro di città più sane, territori più resilienti e comunità più coese”.

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