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Perdita record di suolo in Italia nel 2024: i dati del rapporto SNPA e ISPRA

consumo di suolo
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Accelera il consumo di suolo nel nostro Paese, secondo i dati del nuovo rapporto annuale di SNPA e ISPRA, “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. Nonostante il calo demografico, avanzano le superfici artificiali. Ogni ora si perde una porzione di suolo pari a circa 10mila metri quadrati. A fronte di poco più di 5 chilometri quadrati restituiti alla natura in un anno. Siamo lontanissimi dai target fissati dall’Ue a tutela di una risorsa vitale e non rinnovabile.

L’Italia continua a perdere terreno. Il consumo di suolo cresce inesorabilmente. Cresce nei Parchi nazionali e regionali, nelle aree Natura 2000, nelle fasce costiere entro i 300 metri dal mare, nelle aree a rischio dissesto e in quelle a vocazione agricola in prossimità delle città. E anche qui, in barba a progetti green e politiche di resilienza dei centri urbani, vivibilità e salute, il verde si assottiglia sempre di più. Secondo i dati rilevati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) e dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA), nel 2024 sono stati trasformati in aree artificiali quasi 84 chilometri quadrati, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente.

Il ritmo raggiunge i 2,7 metri quadrati al secondo, pari a quasi 230.000 metri quadrati al giorno. Nel Rapporto annuale del SNPA Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, le buone notizie si limitano a qualche chilometro di suolo recuperato: piccole superfici, a dimostrazione che, volendo, è fattibile. Ma la volontà non pare sia stata particolarmente forte se la superficie recuperata nel 2024 è, complessivamente, di 5,2 chilometri quadrati (di cui 1,43 in Emilia-Romagna), addirittura in calo di tre chilometri quadrati rispetto al 2023. Il consumo di suolo netto si attesta sui 78,5 chilometri quadrati, il valore più alto degli ultimi dodici anni.

I costi del consumo di suolo

Un consumo di suolo contro ogni logica di buon senso, se è vero quanto scritto nella sintesi del Rapporto SNPA: “Arrestare il consumo di suolo nel nostro Paese permetterebbe, in definitiva, di fornire un contributo fondamentale per affrontare le grandi sfide poste dai cambiamenti climatici, dal dissesto idrogeologico, dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, dal diffuso degrado del territorio, del paesaggio e dell’ecosistema, dalla perdita di biodiversità”. Lo stop al consumo di suolo è considerato una misura chiave anche per l’adattamento agli eventi estremi, e dovrebbe avvenire sia frenando l’espansione urbana e infrastrutturale, che promuovendo il ripristino ecologico e la resilienza territoriale.

Il rapporto evidenzia la necessità di incentivare il passaggio dalla logica dell’espansione su aree naturali alla logica della rigenerazione, della riqualificazione e del riutilizzo delle aree costruite esistenti, dando la priorità assoluta al riuso delle aree già edificate e urbanizzate, a partire da quelle dismesse o degradate. Rimane da computare quanto le nuove e diverse impermeabilizzazioni possano fruttare in termini di investimento e di oneri di urbanizzazione, sta di fatto che, secondo il Rapporto SNPA, “i costi del consumo di suolo, dovuti alla perdita di servizi ecosistemici, variano da un minimo di 8,66 a un massimo di 10,59 miliardi di euro persi ogni anno a causa del consumo di suolo avvenuto tra il 2006 e il 2024”.

 Sempre meno verde in città

Tra gli impatti, viene, inoltre, messo in evidenza come il consumo di suolo abbia effetti diretti o indiretti su circa due terzi del territorio nazionale, con un conseguenze significative sulla frammentazione ecologica (più del 42% del territorio risulta a frammentazione alta o molto alta) e sul microclima urbano. Le analisi sull’isola di calore urbana mostrano differenze di temperatura tra aree urbane e rurali che superano i 10 gradi centigradi, con picchi di +11,3 gradi centigradi al Nord. La vegetazione urbana si conferma fondamentale: nei quartieri dove la copertura arborea supera il 50%, le temperature sono fino a 2,2 gradi centigradi più basse. Ma il 2024 registra una perdita ulteriore di 3.750 ettari di verde in città.

Lombardia in testa al quadro regionale

Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%) sono le regioni con la maggiore copertura artificiale. Il più alto consumo di suolo del 2024 è avvenuto, invece, in Emilia-Romagna (con circa 1.000 ettari di suolo perduto), ma la stessa regione è anche quella con il valore più alto per gli interventi di recupero, grazie soprattutto alla rinaturalizzazione di cave dismesse e alla chiusura di cantieri legati alla realizzazione di metanodotti e di altre opere. A seguire, per consumo di suolo nel 2024, la Lombardia (834 ettari), la Puglia (818 ettari), la Sicilia (799 ettari) e il Lazio (785 ettari). La Valle d’Aosta si conferma la regione con il minor consumo, ma aggiunge comunque più di 10 ettari alla sua superficie consumata. Tra le altre, solo la Liguria (28 ettari) e il Molise (49 ettari) hanno contenuto il loro consumo al di sotto di 50 ettari.

Per quanto riguarda le province, Monza e Brianza si conferma al primo posto per percentuale di suolo artificiale, con quasi il 41% del territorio provinciale consumato e con un aumento di 47 ettari negli ultimi dodici mesi. Le province che hanno mostrato il maggiore consumo di suolo lo scorso anno sono Viterbo (424 ettari), Sassari (245 ettari) e Lecce (239 ettari).

Nessun nesso diretto tra demografia e infrastrutturazione

Nel nostro Paese, infrastrutture, edifici e coperture artificiali occupano più del 7% del territorio nazionale, a fronte di una media europea del 4,4%. E il consumo di suolo continua ad aumentare anche a fronte della decrescita della popolazione. Il rapporto sottolinea come non ci sia un legame diretto tra la demografia i processi di urbanizzazione e infrastrutturazione: si assiste a una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi di decrescita, della popolazione residente. Anche a causa della flessione demografica, il suolo consumato pro-capite aumenta ancora dal 2023 al 2024 di quasi un metro quadrato per abitante e di 18,3 metri quadrati per abitante dal 2006.

Approvata la prima Direttiva europea sul suolo

L’unica vera buona notizia per il suolo non arriva dal dossier sul quadro annuale della situazione in Italia, ma dal Parlamento europeo, che ha approvato il 23 ottobre in via definitiva la prima direttiva sul suolo (la Soil Monitoring Law), che definisce un quadro comune per monitorarne la salute e contrastarne il degrado. Con l’obiettivo di raggiungere suoli sani in tutta Europa e ridurne il consumo. Ci vorrà parecchio impegno, e una reale volontà politica.

Alle condizioni attuali, appare del tutto irraggiungibile sia l’obiettivo stabilito per tutti gli stati membri dalla Strategia del suolo per il 2030 adottata dalla Commissione europea nel 2021, di non consumare suolo entro il 2050, sia l’azzeramento della perdita netta di aree verdi urbane entro il 2030 previsto dal Regolamento europeo sul ripristino della natura. Si vedrà se il nostro progetto di piano nazionale di ripristino consentirà di risalire la china. I progetti, in ottemperanza al Regolamento, devono essere consegnati a Bruxelles entro il 1° settembre 2026.

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