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Neve artificiale: quanto ci costa imbiancare le Alpi per Natale?

Come generare la neve artificiale: sciatore in pista
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Lo sci, per intere valli alpine, è il motore dell’economia turistica. Al fine di mantenerlo in salute, in barba al surriscaldamento globale, ci si è affidati a un complesso e costoso processo industriale: la produzione di neve artificiale. L’innevamento programmato copre oggi oltre il 90% delle piste italiane. Lo sci non è più un’attività dipendente dalla natura, bensì dalla tecnologia.

Intere regioni montane, specialmente sulle Alpi, si giocano la stagione su un equilibrio precario tra freddo, energia e disponibilità di acqua. Per innevare un ettaro di pista sono necessari, in media, circa 4.000 metri cubi di acqua, spesso prelevati da bacini artificiali, costruiti ad hoc in alta quota. Un simile processo richiede tantissima energia. Occorre infatti pompare acqua e aria compressa assieme. Ciò configura un dilemma etico e ambientale: fino a che punto è sostenibile forzare l’inverno? La necessità di utilizzare la neve artificiale in modo massiccio, anche a basse quote, non finirà per creare danni più seri di quello a cui vuole porre rimedio?

La fabbrica della neve: come funziona la fisica del fiocco?

La neve artificiale, in estrema semplificazione, è acqua atomizzata. In altre parole, si tratta di fluido trasformato in minuscole goccioline, che congela durante la caduta. Per fare in modo che questa tecnica funzioni, non è sufficiente che la temperatura dell’aria sia sotto lo zero.

Se il freddo non basta: il ruolo dell’umidità

La produzione di neve artificiale si deve a quella che viene definita temperatura di bulbo umido. Questa complessa misura combina la temperatura dell’aria con la sua umidità relativa. Si tratta dell’unico parametro che determina la capacità dell’acqua di evaporare e raffreddarsi nell’aria, prima di congelare.

Facciamo un esempio per chiarire il concetto tecnico. Se la temperatura dell’aria è due gradi sotto lo zero, mentre la percentuale di umidità è del 90%, la temperatura di bulbo umido potrebbe essere ancora troppo alta. Si manterrebbe infatti molto vicina agli 0 gradi. In questa condizione, l’acqua atomizzata non ha modo di raffreddarsi a sufficienza tramite evaporazione. Di conseguenza, i cannoni si fermano. Riuscirebbero infatti a produrre solo ghiaccio e acqua, non la neve compatta necessaria allo sci.

Le condizioni ideali sono presenti quando si verifica una contemporaneità tra temperature dell’aria molto basse e scarsa umidità: la cosiddetta aria secca. Questo vincolo rende l’innevamento sempre difficile nelle prime settimane invernali, quando potrebbero mancare ambedue questi elementi.

Differenze di consumo tra cannoni a ventola e aste

I gestori degli impianti funiviari membri della ANEF utilizzano due tecnologie principali, i cannoni a ventola e le aste, dai consumi e dalle rese differenti, per sparare neve artificiale sulle piste non imbiancate o che presentino una coltre poco compatta. Le abbiamo messe a confronto nello specchietto sottostante.

TecnologiaFunzionamentoConsumo EnergeticoResa e Applicazione
Cannoni a VentolaUna turbina spara goccioline d’acqua e aria compressa a lunga distanza.Alto per la ventola, ma basso consumo specifico di aria.Ideale per innevare rapidamente ampie aree e piste larghe; sono piuttosto rumorosi.
Aste (Lanzen)Strutture fisse installate a bordo pista che spruzzano acqua miscelata con aria compressa in alto.Basso consumo energetico per l’asta (non c’è ventola), ma alto consumo specifico di aria.Ideale per piste strette e per l’innevamento a temperature marginali. Bassa rumorosità.

L’impronta idrica: i numeri dell’oro blu in montagna

Diversamente da quanto potremmo pensare, l’aspetto più critico dell’innevamento programmato non è tanto legato all’energia, bensì all’acqua. La pratica sottrae infatti ingenti volumi all’ambiente montano. Come se ciò non fosse già abbastanza grave, lo fa anche nel periodo di maggior crisi, tra l’autunno e l’inizio dell’inverno. In quella stagione, i bacini naturali sono già in sofferenza a causa del recente termine dell’estate e della notevole riduzione delle precipitazioni nevose.

Quanta acqua serve per la neve artificiale?

Se ci basiamo sul dossier Nevediversa di Legambiente, che ha raccolto ed elaborato dati settoriali, il consumo di acqua per la neve artificiale in Italia ammonta a milioni di metri cubi ogni stagione. A seconda della scarsità delle precipitazioni, questi milioni possono essere di più o di meno. Il consumo idrico necessario a innevare un solo chilometro di pista sciabile, per un’intera stagione invernale, può facilmente superare il fabbisogno idrico annuo di una piccola città.

Sebbene si affermi che l’acqua venga restituita al ciclo idrologico con lo scioglimento primaverile, come in effetti accade, il problema risiede nel prelievo concentrato ed eccessivo, oltre che nella sua massiccia sottrazione, per quanto temporanea, a un ecosistema che invece ne avrebbe bisogno, in inverno.

Neve artificiale: una pista innevata
Il costo in termini idrici della neve artificiale è elevatissimo

I bacini di accumulo: laghi artificiali a 2000 metri di quota

Per far fronte a questo enorme fabbisogno idrico concentrato, l’innevamento programmato richiede la costruzione di bacini artificiali in quota. È infatti necessario poter attingere a grandi masse d’acqua in poco tempo. Questi laghi vengono riempiti dall’azione delle piogge o attraverso deviazioni dei torrenti durante i periodi di abbondanza (autunno e primavera), in maniera tale che possano essere usati come riserva nei momenti di bisogno.

La costruzione di invasi di questo tipo, naturalmente, comporta una profonda alterazione dell’idrogeologia del territorio. Richiede una vasta impermeabilizzazione del suolo, che si ottiene attraverso l’impiego di teli plastici o cemento, al fine di evitare la dispersione del fluido. La realizzazione è fortemente impattante e altera, anche profondamente, la morfologia del paesaggio. L’eccessiva artificializzazione del territorio montano, inoltre, può configurare rischi geologici a causa delle grandi masse d’acqua stoccate in attesa di essere trasformate in neve.

Costo energetico e futuro dello sci

Dopo aver affrontato il delicato tema dell’elevatissimo consumo di acqua, esaminiamo ora l’altro grande fattore di costo e impatto ambientale legato alla neve artificiale: l’aspetto energetico.

La bolletta della neve artificiale

L’energia elettrica è indispensabile per ottenere neve artificiale. Essa è necessaria in ambedue le fasi della produzione:

  • nel momento in cui si pompa l’acqua dagli invasi già descritti, facendole affrontare, non di rado, dislivelli dalle pendenze alquanto impegnative;
  • quando si azionano compressori e ventole dei cannoni, per creare quella neve che sarà poi sparata sulle piste.

Questi costi energetici vanno saldati e incidono in modo significativo sui bilanci dei gestori. Essi dovranno rivalersi sullo sciatore, il quale si troverà a fronteggiare una spesa più esosa per l’acquisto di uno skipass. Sebbene la maggior parte degli impianti stia adottando pompe e generatori più efficienti, l’impronta di carbonio della vacanza sciistica rimane ancora enormemente elevata. L’energia necessaria per l’innevamento, sommata a quella di cui necessitano gli impianti di risalita per il loro funzionamento, contribuisce in modo determinante all’elevato consumo energetico del turismo alpino.

Adattamento o accanimento

Secondo una ricerca di Eurac Research, portata avanti assieme a fisici ed esperti di clima alpino, l’aumento delle temperature sta riducendo, drasticamente, il numero di ore in cui sia effettivamente possibile produrre neve artificiale sfruttando la giusta temperatura di bulbo umido. Soprattutto al di sotto dei 1.800 metri.

Forzare l’inverno a quote sempre più basse richiede un dispendio di risorse, come l’acqua e l’energia di cui abbiamo già parlato, ma anche in termini di investimenti in nuove tecnologie, che diventa economicamente insostenibile per molte località. I requisiti per la produzione di neve artificiale sono un esempio di quella che si definisce maladaptation, ovvero un adattamento errato e controproducente a un cambiamento inevitabile, dovuto alla concentrazione di risorse – anche ingenti – su una soluzione tecnologica che, nel lungo periodo, è destinata a fallire. Il riscaldamento globale finirà molto probabilmente con l’aumentare esponenzialmente l’impatto di una pista da sci.

A forza di dedicare danaro, spazi e sforzi al mantenimento di un malato probabilmente terminale come lo sci alpino, stiamo distogliendo fondi da una diversificazione turistica che potrebbe invece darci di modo di proporre e lanciare un nuovo modello di attrazione per le nostre splendide montagne.

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Superare la monocoltura dello sci

La neve artificiale è diventata un male necessario, che tolleriamo al fine di garantire l’economia invernale. Non può però rappresentare una soluzione a lungo termine. La dipendenza estrema da questa tecnologia costosa, energivora e che ha bisogno di enormi quantità d’acqua espone l’intero settore a una vulnerabilità sempre crescente.

Il futuro della montagna risiede nella diversificazione del turismo montano, come sostengono da tempo associazioni come Legambiente. È necessario investire in attività a basso impatto quali escursionismo, cultura, enogastronomia e/o turismo estivo, le quali non siano legate all’insostenibile monocultura dello sci e non richiedano di combattere a suon di metri cubi d’acqua e kilowattora di energia contro l’evidenza del cambiamento climatico. La neve artificiale potrà salvare il Natale sulle piste, ma la vera sostenibilità richiede di accettare i limiti climatici e ripensare l’intero modello economico alpino.

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Mattia Mezzetti

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