Il Climate Change Theatre Action compie dieci anni e sbarca a Torino l’8 novembre. Con uno spettacolo itinerante che mette la crisi climatica al centro della riflessione e della piazza, con aquile e orsi affamati e umani che fanno i conti con la sesta estinzione di massa. Un invito all’azione collettiva e immediata: “Il tempo è adesso”, il tema di questa edizione del festival globale.
C’è un festival di teatro contro il cambiamento climatico. Si chiama Climate Change Theatre Action, celebra quest’anno il suo decennale e arriva a Torino l’8 novembre: con uno spettacolo itinerante, che partirà alle 17.00 dal centro culturale Off Topic del quartiere Vanchiglia per spostarsi poi in altri luoghi. Sarà la terza edizione italiana di questo festival internazionale, che cresce dal basso, aprendosi al mondo e aggregando iniziative diverse, dalle rappresentazioni vere e proprie a letture e performance o anche dibattiti, in spazi più o meno convenzionali.
Nato nel 2015 sulla base di un modello sperimentato per la prima volta dalla NoPassport Theatre Alliance, il Climate Change Theatre Action (CCTA) si è evoluto in una collaborazione tra Stati Uniti e Canada, e con le sue iniziative ha toccato ormai 28 Paesi. Si svolge ogni due anni, in concomitanza con le riunioni della COP delle Nazioni Unite. La Conferenza delle Parti di quest’anno è la trentesima e sarà ospitata dal Brasile dal 10 al 21 novembre.
The time is now, il tema scelto per il decennale
La formula del festival è semplice quanto versatile: vengono messi a disposizione di chi li vuole interpretare 50 testi, scritti ogni due anni da altrettanti drammaturghi professionisti. Opere teatrali di cinque minuti, su un aspetto della crisi climatica, sulla base di un tema prestabilito di volta in volta. Che ogni “organizzatore”, artista, regista può scegliere e proporre al pubblico durante il periodo del festival secondo la formula che preferisce: “gli eventi possono essere letture interne, spettacoli pubblici, programmi radiofonici, podcast, adattamenti cinematografici: le possibilità sono infinite”, spiega il sito del CCTA.
“Gli organizzatori possono progettare il loro evento in modo che rifletta la loro estetica e la loro comunità, e includere materiale aggiuntivo di artisti locali”. Massima libertà, dunque, per raggiungere l’obiettivo: attivare la riflessione sul cambiamento climatico, denunciarne l’urgenza, confrontarsi sulle possibili azioni locali e globali, fare comunità. Non a caso il tema di quest’anno è The time is now, il momento è adesso, un invito all’azione indifferibile e collettiva.
Una settimana di laboratorio intensivo
A portare il Climate Change Theatre Action in Italia è, dal 2021, l’attore e regista Giovanni Enrico Morassutti, che è anche fondatore della residenza internazionale per artisti Art Aia – Creatives In Residence. Insieme a Serena Bavo, attrice, formatrice e direttrice artistica di Tékhné APS, quest’anno ha proposto una settimana di laboratorio intensivo di teatro contro il cambiamento climatico, un laboratorio gratuito di creazione collettiva, di cui la performance dell’8 novembre sarà la restituzione finale. La formazione era rivolta a quattro giovani sotto i 30 anni e due senior di più di 65, che interpreteranno i tre testi scelti dagli organizzatori.
Aquile e orsi affamati e la sesta estinzione di massa per l’evento torinese
Morassutti e Bavo, sui 50 testi disponibili, hanno infatti selezionato tre opere: The Polar Bears, scritto da Nicolas Billon, Homo Sapiens di Chantal Bilodeau, drammaturga canadese tra le fondatrici del festival, e Brackendale di Elaine Avila, “un testo sulle aquile di mare testabianca ridotte a mangiare rifiuti in una discarica e a farsi il nido con la plastica”, racconta Morassutti. Aquile che, in un futuro distopico, rimpiangono il mondo di prima, in cui vivevano in armonia con la natura.
Anche Homo Sapiens ci proietta in un futuro distopico, ai tempi della sesta estinzione di massa. È stato l’homo sapiens a causare la propria estinzione? Oppure si è evoluto in una nuova specie? Un’opera che Morassutti definisce “compassionevole”. Mentre non lo è The Polar Bears, in cui lo scioglimento dei ghiacci mette gli orsi nell’impossibilità di nutrirsi; di nuovo un testo in cui il dramma della febbre del pianeta viene rappresentato attraverso gli animali e la loro difficoltà di sopravvivenza.
Arrivare alle viscere
Siamo in “un mondo malato, che si ammala sempre di più”, che Morassutti ha scelto di gridare, o quanto meno di portare sul palco e in mezzo alla strada per un coinvolgimento diretto del pubblico. “Come artista sento il bisogno di comunicare attraverso un linguaggio catartico ed emotivo. Lavoro sul sentire e non sull’intellettualizzazione dei concetti. Spesso il cambiamento climatico è raccontato attraverso numeri e dati. Penso ci sia bisogno anche del linguaggio dell’arte, viscerale, per cercare di arrivare al pubblico toccando le emozioni. Sento il bisogno di lavorare su questo tema perché è uno dei problemi più grossi del nostro tempo. Anche molto doloroso”. Il momento è adesso.
			




