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Caffaro Brescia: 4 milioni di euro per fermare l’inquinamento

Caffaro
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L’accordo raggiunto tra Caffaro Brescia, Mite, Procura di Brescia e Arpa rappresenta un passo importante nel percorso di risanamento del territorio

È un passo storico, per il territorio bresciano, quello segnato dall’accordo stipulato tra Caffaro Brescia, azienda accusata di disastro ambientale, Procura di Brescia, Ministero della Transizione ecologica e Arpa. La società chimica ha versato 3 milioni di euro per realizzare una barriera idraulica finalizzata a impedire la migrazione degli inquinanti presenti nel terreno verso la falda acquifera e le aree vicine all’impianto, impegnandosi a pagare un ulteriore milione di euro per potenziare le barriere idrauliche già esistenti e rendere operativi entro tre mesi dei nuovi sistemi di trattamento degli inquinanti rilevati nel terreno e nelle acque sotterranee: clorati, cromo, mercurio, policlorobifenili (pcb) e solventi clorurati. L’azienda si occuperà anche di una parte di opere di smantellamento del sito industriale. Un tassello importante, anche se non risolutivo, di un percorso iniziato nel 2001, quando per la prima volta venne lanciato l’allarme inquinamento per la città di Brescia.

Un inquinamento storico

Caffaro ha iniziato le sue attività nel 1906 e all’interno dello stabilimento si sono avvicendate produzioni di vario tipo, che hanno provocato un inquinamento di acque e terreni per lo più legato alla chimica del cloro – mercurio delle celle clorosoda, policlorobifenili (fuorilegge dal 1984), diossine – e che hanno portato all’istituzione del Sito di interesse nazionale Brescia – Caffaro nel 2003. Gli interventi realizzati fino ad oggi sono consistiti nel confinamento del terreno contaminato, per evitare la dispersione degli inquinanti. Ma i monitoraggi realizzati da Arpa fino a gennaio 2021 hanno continuato a rilevarne la presenza con valori superiori ai limiti di legge per decine e centinaia di volte, fino a 20 km di distanza dallo stabilimento, fino ai campi di mais della Bassa bresciana. Caffaro Brescia non è l’azienda che per mezzo secolo ha prodotto i temibili pcb, per poi fallire nel 2009. Ma quella che dieci anni fa ha preso in gestione una parte dello stabilimento per produrre clorito di sodio, usato per potabilizzare gli acquedotti di mezza Italia. L’accordo prevedeva però che Caffaro Brescia emungesse ogni anno 13 miliardi di litri di acque sotterranee per evitare che il livello della falda salisse ed entrasse in contatto con il terreno impregnato di contaminanti. Inoltre, avrebbe dovuto filtrare le acque utilizzate per i cicli produttivi prima di scaricarle nei fossi, cosa che è avvenuta solo per uno dei 7 pozzi interni all’azienda. Perciò a febbraio di quest’anno la Procura di Brescia ha disposto il sequestro di parte dello stabilimento e a giugno il sequestro di 7 milioni di euro dai conti degli attuali vertici di Caffaro Brescia, pari alla cifra che avrebbero dovuto spendere per adeguare gli impianti. La gara di appalto per l’aggiudicazione dei lavori di bonifica si svolgerà a novembre. Ad oggi, tra Brescia e l’hinterland, 2.100 ettari di falda sono ancora avvelenati.

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Redazione

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