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Circolarità e sostenibilità non sono sinonimi

economia circolare
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Tra circolarità e sostenibilità possono esserci significative differenze. Perché i due concetti si avvicinino è necessario valutare l’effettivo ciclo di vita dei processi e dei materiali utilizzati, così come l’esistenza di una filiera strutturata per il riciclo e l’esistenza di mercati di sbocco per gli output del riciclo. 

Circolarità e sostenibilità non sempre coincidono, avendo spesso tratti in comune ma anche significative differenze. Un’ovvietà per gli addetti ai lavori, una doccia fredda per buona parte dell’opinione pubblica, soprattutto per quella meno attenta. A ficcare il bisturi in questa apparente contraddizione è un articolo scientifico dal titolo “Keep circularity meaningful, inclusive and practical: A view into the plastics value chain” firmato, tra gli altri, dalla ricercatrice Lucia Rigamonti del Politecnico di Milano e pubblicato sulla rivista Journal of Waste Management

Il riciclo delle plastiche non sempre è la scelta più sostenibile 

L’analisi prende in considerazione il riciclo delle plastiche. Mai come negli ultimi anni, sono stati adottati provvedimenti normativi e iniziative industriali per ridurre, almeno nell’intento, la dispersione di plastiche e sostenere il loro riciclo. Ma non è detto che gli sforzi indirizzati verso un uso circolare degli imballaggi in plastica (in modo particolare in PET), premino processi sostenibili. Può accadere che l’analisi di sostenibilità si fermi alle percentuali di raccolta differenziata o di riciclo. Che la circolarità sia anche sostenibile va dimostrato. E se il tasso di circolarità è sicuramente aumentato in tutta l’area dell’Unione europea, spesso in modo esponenziale (basti considerare i tassi di riciclo elaborati da Eurostat), non lo stesso si può dire in merito alla sostenibilità delle stesse scelte. Non sempre le raccolte differenziate trovano a valle filiere industriali organizzate ed eco-efficienti, come dimostrano, nel caso italiano, i deficit impiantistici finalizzati al recupero di materia ed energia in molte aree del Paese. Così come mancano mercati di sbocco per le materie prime seconde provenienti dai rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), dalle plastiche miste oppure dalla carta. 

Circolarità e sostenibilità non sono sinonimi 

Secondo i ricercatori il concetto di circolarità ha assunto un significato troppo ampio, privo di un perimetro chiaro e definito, usato sempre più spesso come parola d’ordine per far passare iniziative politiche ed economiche non sempre supportate da evidenze scientifiche. Anzi, per gli autori della ricerca i termini circolarità e sostenibilità non sono sinonimi: sono necessari parametri e criteri chiari per sciogliere le ambiguità. Per valutare se una scelta circolare sia davvero sostenibile occorre, prima di tutto, riuscire a realizzare un valido studio di life cycle assessment, ovvero una misurazione dell’effettivo ciclo di vita dei processi e dei materiali adottati che misuri l’energia dissipata, i materiali degradati, le emissioni. Il primo rischio da evitare, spiegano i ricercatori, è appiattire il concetto di sostenibilità su parametri fallaci come i tassi di raccolta differenziata, i tassi di riciclo oppure il semplice contenuto di materia riciclata, come le percentuali di materiale bio-based. “Avvalersi di tali indicatori per misurare la circolarità – si legge nello studio – non riesce a cogliere le realtà del sistema o gli effetti più ampi, tra cui i potenziali effetti rimbalzo che possono vanificare o addirittura ribaltare i benefici ambientali”. 

Circolarità: un metodo per valutare quanto si avvicina alla sostenibilità 

I ricercatori hanno elaborato una griglia pratica di misurazione della circolarità, nel tentativo di renderla il più vicino possibile al concetto di sostenibilità. La scheda si basa su sette semplici domande che coprono il ciclo di vita di un prodotto: produzione, utilizzo e fine vita, richiamando la gerarchia dei rifiuti e stabilendo un ordine di priorità. Rispetto al singolo prodotto, viene misurato se e come questo possa essere destinato al riuso, che rimane il vertice della gerarchia dei rifiuti, ovvero l’opzione preferibile in un’ottica di prevenzione; così come l’esistenza di una filiera strutturata per il riciclo e di mercati di sbocco per gli output da riciclo. La griglia applicata alla produzione di imballaggi in PET dimostra che è il funzionamento dell’intera filiera a fare la differenza: se manca un anello della catena, come gli impianti per il riciclo oppure per la raccolta, la sostenibilità si allontana. Tale consapevolezza ha spinto i ricercatori a puntualizzare che spesso, nel dibattito pubblico, si enfatizzano aspetti secondari e se ne sottovalutano alcuni determinanti. “Le azioni attualmente volte alla circolarità – affermano i ricercatori – possono focalizzarsi in maniera eccessiva su effetti superficiali e perdere di vista i veri obiettivi dell’economia circolare”. Il ricorso al metodo scientifico dovrebbe alimentare invece una discussione aperta e laica “su come combinare al meglio le conoscenze scientifiche e la ricerca sui flussi di materiali, componenti e prodotti in tutta la società per raggiungere il più ampio obiettivo della sostenibilità, rimanendo al passo con le tempistiche imposte dal ritmo delle decisioni aziendali e politiche”. Arrivare a degli obiettivi di vera circolarità, “per evitare che le decisioni aziendali o politiche contribuiscano involontariamente a consolidare politiche e infrastrutture che non contribuiscono a una reale sostenibilità”. È questo il monito che arriva dallo studio ed è questa la sfida più avvincente dei prossimi anni, che si dovrà giocare sul difficile crinale del metodo scientifico. L’esatto opposto del greenwashing e della facile demagogia.

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