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Dalla Svizzera i prodotti biodegradabili per trattare gli idrocarburi

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Soil Remediation GPT SA punta su prodotti biodegradabili per il trattamento dei suoli contaminati da idrocarburi. Con risultati testati.

Non solo in fase di estrazione, ma anche lungo le infrastrutture per la distribuzione si possono verificare perdite o piccoli sversamenti di idrocarburi, con impatto inquinante per i terreni. Corrosioni o variazioni di pressione delle condotte possono provocare perdite di dimensioni trascurabili in termini economici, ma che a lungo andare impattano sulla salubrità dei suoli. Senza contare i casi di incidenti più eclatanti.

I limiti delle soluzioni tradizionali

Che fare? Le soluzioni ad oggi più diffuse consistono nel trasportare i terreni inquinati in siti specifici e sottoporli a trattamento. Une tecnica è quella dell’incapsulamento, attraverso il quale i terreni inquinati vengono solidificati con malte e sabbia pulita, quindi sotterrati in fosse impermeabilizzate. “Si tratta di amalgamare il terreno contaminato con prodotti chimici e avvolgere l’impasto in un tessuto plastico, che viene sotterrato. Così si congela la situazione, auspicando che non si creino fessure, dalle quali può fuoriuscire il contaminante”, spiega Gian Furio Guslandi, ceo di Soil Remediation GPT SA, azienda svizzera che punta sullo sviluppo di prodotti biodegradabili per il trattamento degli idrocarburi. Ben più dispendiosa l’alternativa del desorbimento termico: tecnologia che consente di distillare il petrolio estratto in una torre, e recuperarne una parte. Quella restante viene smaltita, “anche se spesso si ricorre alla sua bruciatura per risparmiare”, aggiunge Guslandi.

I prodotti biodegradabili

Soil Remediation GPT SA ha messo a punto un processo per la bonifica di terreni inquinati da idrocarburi che si colloca a metà strada tra le due opzioni più in voga, puntando su prodotti interamente biodegradabili. “Iniziamo analizzando un campione di terreno, che può essere anche argilla o sabbia, nel deserto, per capire quali contaminanti contiene e in che misura”, racconta Guslandi. Il secondo step è la messa a punto di una miscela creata ad hoc, in base alle normative del Paese in cui si opera e delle esigenze del cliente. “Utilizziamo solo prodotti naturali, tanto che la miscela può banalmente essere utilizzata anche per lavarsi le mani”. Il passaggio successivo è il trattamento del terreno contaminato in una “lavatrice industriale” con acqua a 40 gradi, che non immette CO2 nell’atmosfera. A questo punto il terreno è stato decontaminato, mentre l’emulsione acquosa contenente idrocarburi e/o metalli pesanti viene sottoposta ad elettrocoagulazione, che utilizza un basso voltaggio (da 4 a 6 V) per scomporre le molecole del contaminante. Così una parte viene fatta flottare (un po’ come si fa con la birra), mentre il resto si deposita in fiocchi sul fondo. Quest’ultimo può essere reimpiegato come combustibile secondario o come inerte per i riempimenti o smaltito, con una proporzione di circa uno a cento rispetto alle dimensioni originarie. “Abbiamo avviato le prime sperimentazioni a Berna, in collaborazione con un ricercatore della locale università, quindi nel polo tecnologico aziendale di Marly (Canton Friburgo) e, infine, su diversi siti inquinati”, spiega ancora Guslandi. “In particolare, nel deserto algerino abbiamo effettuato test per tre anni in collaborazione con Eni e Sonatrach. Queste ultime hanno certificato come il risultato sia una notevole riduzione dell’inquinante dei terreni trattati, ben oltre i limiti di legge”.

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