La pirolisi catalizzata è un trattamento che consente di decomporre il materiale plastico raccolto in mare in olio e gas ricchi di carburanti. In un prossimo futuro, i porti potrebbero essere dotati di impianti che, grazie a questa tecnologia, forniscono carburante alle imbarcazioni.
Tra le immagini che meglio raccontano la crisi globale dell’inquinamento da plastica, forse quelle più efficaci sono le foto del Great Pacific garbage patch o di quei corsi d’acqua in estremo oriente in cui l’acqua quasi non si avverte sotto il fiume di imballaggi. Ma anche in Italia i nostri fiumi e mari non scherzano. Che fare di questi rifiuti, una volta che auspicabilmente li avremo recuperati? Mentre a Nairobi, in Kenya, si sono appena conclusi i lavori del terzo round negoziale per un trattato globale sulla plastica, alcuni ricercatori ENEA, con la collaborazione di Campus Bio-medico e Università La Sapienza di Roma, hanno messo a punto un processo per ottenere carburante e prodotti chimici dal marine litter attraverso la pirolisi. “Nel prossimo futuro, piccoli impianti di pirolisi installati nei porti potrebbero produrre carburante per le imbarcazioni a partire proprio dalla plastica recuperata in mare” dice Riccardo Tuffi, ricercatore del Laboratorio ENEA di Tecnologie per riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali, uno degli autori dello studio pubblicato su ACS Sustainable Chemistry & Engineering, la rivista dell’American Chemical Society.
Che cos’è la pirolisi
La pirolisi è uno dei processi cui si fa riferimento (insieme alla gassificazione o il cracking, ad esempio) quando si parla di riciclo chimico: processo in cui, con l’aiuto di calore, agenti chimici e catalizzatori, si smontano le lunghe catene chimiche dei polimeri per riportarle a prodotti di origine fossile più semplici, come monomeri o idrocarburi, per farne poi nuove sostanze o combustibili. A differenza del riciclo meccanico, quello chimico consente di rimettere in circolo, come nuova materia prima, tipi di polimeri diversi, derivati da plastiche differenti raccolte in modo misto.
Il marine litter può diventare combustibile con la pirolisi
Qualche anno fa – col progetto marGnet (Mapping and recycling of marine litter and ghost nets on the sea-floor), finanziato dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca attraverso l’Agenzia europea per le piccole e media imprese (Easme/Emef) – è stato sperimentato un processo per trasformare, a un costo ragionevole, le componenti plastiche dei rifiuti marini in carburante per imbarcazioni attraverso la pirolisi a bassa temperatura: un processo chimico che decompone i materiali mediante calore e in assenza di ossigeno. Capofila del progetto europeo, che si è concluso a dicembre 2020, è stato l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) di Venezia. Il grande vantaggio di questo processo, spiega il CNR, “è la possibilità di utilizzare il rifiuto marino recuperato dai fondali, senza necessità di particolari pretrattamenti, che di fatto minano la sostenibilità economica delle soluzioni di riciclaggio di tipo meccanico tentate finora a livello internazionale”. Dalla pirolisi sono stati ricavati diversi carburanti, come gasolio marino e carburante leggero di alta qualità, che può essere efficacemente utilizzato anche come materia prima per la produzione di nuovi polimeri vergini. Quanto ai rifiuti prodotti dalla pirolisi, il CNR precisa che “le analisi condotte sulle emissioni di gas prodotte durante il processo non hanno identificato la presenza di alcuna sostanza inquinante”.
Pirolisi, la scelta migliore per il trattamento della plastica marina
Un processo messo a punto più di recente dal team di ricercatori ENEA – grazie ai fondi del progetto europeo interregionale Italia-Croazia NETWAP – consente di riconvertire oltre il 90% della plastica recuperata in mare e sulle spiagge: rifiuti plastici eterogenei, parzialmente invecchiati e non riciclabili meccanicamente. “Abbiamo sottoposto campioni di plastica raccolta in mare a un particolare trattamento termo-chimico (pirolisi) che consente di decomporre – a una temperatura al di sopra dei 400 °C e in assenza di ossigeno – il materiale plastico di partenza in olio e gas ricchi di idrocarburi, potenzialmente sfruttabili per la produzione di nuovi combustibili e prodotti chimici”, spiega Tuffi. Proprio i gas prodotti durante il trattamento si sono dimostrati più che sufficienti a sostenere il fabbisogno di energetico del processo.
Uno dei nodi della ricerca è stata la scelta del catalizzatore, quella sostanza che se aggiunta al processo lo può rendere più efficace. “Nel processo di pirolisi – racconta Tuffi – il catalizzatore rappresenta uno dei costi maggiori. Se si riesce ad ottenerlo da materiali di scarto si raggiungono due obiettivi: da una parte un catalizzatore a basso costo, dall’altra il recupero di materia dagli scarti”, che altrimenti finirebbero in discarica. In questo caso, ad esempio, uno dei catalizzatori impiegati sono state le ceneri di combustione o gassificazione del carbone. “Si tratta di un rifiuto industriale – aggiunge il ricercatore – la cui produzione mondiale annua ammonta a circa 1 miliardo di tonnellate; è considerato una potenziale causa di inquinamento ambientale, mentre il suo utilizzo per la sintesi di catalizzatori potrebbe rappresentare un passo verso la sostenibilità dei processi produttivi”.
Il processo di pirolisi delle plastiche dà in genere tre prodotti: olio, gas e char (un residuo solido carbonioso). I primi due più pregiati, mentre il terzo potrebbe essere considerato un rifiuto. Anche se nel caso dell’esperimento ENEA il char prodotto è pochissimo, perchè “nel nostro caso – puntualizza Tuffi – il mare ha già fatto una selezione: alcune plastiche affondano e vengono perse chissà dove nei fondali, altre plastiche galleggiano, come le poliolefine, e sono quelle che abbiamo campionato sulla spiaggia”. Il campione di rifiuti plastici marini impiegato nell’esperimento è dunque composto principalmente da polietilene e polipropilene, che hanno proprietà fisico-chimiche ideali come alimento per i processi di pirolisi. La scelta del catalizzatore giusto consente inoltre di ridurre la parte catramosa e meno nobile dei prodotti della pirolisi. Mentre il riciclo meccanico del marine litter è una sfida ardua, la pirolisi catalitica può essere considerata una delle opzioni più valide per il trattamento della plastica marina, perché permette di gestire grandi quantità di rifiuti altamente eterogenei e non pretrattati.