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Demolizione navale green, completato a Genova il primo progetto italiano

demolizioni navali Genova
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Nel cantiere genovese di San Giorgio del Porto è stata completata la prima demolizione navale ecologica, con il 98% del materiale recuperato e senza impatti ambientali negativi

La Sentinel, la Theodoros e la Mar Grande sono state fatte a pezzi e smaltite in modo ecologico: recuperando più del 98% del materiale e riciclando quasi 2mila tonnellate e mezzo di ferro e acciaio. Sono le prime tre navi demolite in Italia in attuazione della normativa ship recycling. Un’operazione non scontata, portata avanti dal cantiere navale genovese San Giorgio del Porto. Lo stesso ad aver eseguito il lavoro di smantellamento della Costa Concordia, concluso nel 2017, che aveva anticipato la normativa comunitaria in tema di demolizione controllata. L’unico cantiere italiano iscritto nell’elenco europeo dei cantieri autorizzati a demolire navi superiori a 500 tonnellate di stazza. Il lavoro, che si è concluso all’inizio del mese, era iniziato a fine maggio 2021.

Una demolizione senza impatti negativi

Secondo il bilancio fatto dal cantiere, sono stati necessari 148 giorni e 27mila ore di lavoro, di cui 110 in bacino, per eseguire tutte le attività propedeutiche di alleggerimento, bonifica, taglio e demolizione e, infine, di avvio a recupero dei materiali delle tre motonavi. Una peculiarità del progetto è stata la demolizione simultanea delle tre imbarcazioni, che “ha consentito di abbattere in modo significativo le tempistiche e gli eventuali impatti ambientali”, sottolinea Alberto Pongiglione, shipyard director del cantiere San Giorgio del Porto in una nota. “Per tenere sotto controllo le attività, anche nei confronti dei quartieri a ridosso dell’area delle riparazioni navali – prosegue la nota a proposito di rumore, polveri, fibre di amianto, acque e rifiuti – durante tutto il periodo di demolizione sono stati effettuati costanti monitoraggi, concordati e condivisi con tutti gli enti di competenza, le cui prime elaborazioni confermano l’assenza di impatti negativi ambientali in tutti i campi indagati”. Determinante, nella fase di smantellamento, il ruolo della Capitaneria di porto di Genova che “ha curato, per la prima volta a livello nazionale, l’approvazione dei piani di riciclaggio delle navi entrate in bacino e, successivamente, ha organizzato le attività di controllo sulla tracciabilità dei nuovi rifiuti prodotti dall’attività di demolizione”, aggiunge Alberto Battaglini della stessa Capitaneria.

L’iter delle demolizioni, lungo e complesso

Il vero punto di partenza delle operazioni è stata l’attribuzione alle motonavi della qualifica giuridica di rifiuto, ai sensi della normativa ambientale. E il lavoro sinergico delle amministrazioni coinvolte, che ha permesso il superamento delle difficoltà tecnico amministrative che per anni hanno reso impossibile la demolizione della Sentinel (1.470 tonnellate) e della Theodoros (470 tonnellate), in stato di abbandono all’interno dello scalo ligure. Diversa la storia della ex cementiera Mar Grande (1.850 tonnellate), ceduta al cantiere genovese da Italcementi, per essere avviata a demolizione in conformità alla normativa comunitaria. La Sentinel era giunta nel porto di Genova nel 2004, fermata a seguito del ritrovamento di migranti a bordo. Il Tribunale di Genova la confiscò e ne dispose la consegna all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la successiva demolizione. Otto anni dopo il Ministero dell’Ambiente confermò che l’imbarcazione dovesse essere qualificata come rifiuto. Ma fino al 2018, le procedure di gara per avviarla a demolizione non andarono a buon fine. La progressiva entrata in vigore della normativa di settore, la collaborazione tra Capitaneria di porto di Genova e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli hanno finalmente consentito l’affidamento della Sentinel al cantiere navale San Giorgio del Porto. La Theodoros venne ormeggiata nello stesso porto nel 2006, quando fu posta sotto sequestro dal Tribunale di Genova per i debiti accumulati dalla proprietà. Abbandonata dall’armatore e dall’equipaggio, quindi cancellata dai registri dello Stato di bandiera (ultima bandiera Panama), divenne un bene apolide. Nel 2019, a causa del deterioramento strutturale, iniziò a rappresentare un potenziale pericolo per la sicurezza della navigazione portuale e per l’ambiente. La Capitaneria di Porto di Genova, alla luce degli aggiornamenti normativi sullo ship recycling chiamò quindi in causa l’Avvocatura distrettuale dello Stato, che confermò la tesi secondo cui la nave dovesse essere giuridicamente qualificata come rifiuto e indicò l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale come soggetto competente ad attivare la procedura per la rimozione d’ufficio e la demolizione. Aggiudicata, infine, al cantiere San Giorgio.

Solo una minoranza delle demolizioni navali a norma

La demolizione ecologica delle tre navi è stata favorita dal fatto che le navi si trovassero già nel porto di Genova. E rappresenta un caso di eccellenza nel panorama attuale. Perché la demolizione navale, se eseguita secondo le norme europee e del diritto marittimo internazionale per proteggere l’ambiente, è complessa e costosa. Nel 2009, la Convenzione di Hong Kong per il riciclaggio delle navi è stata ratificata da 63 Paesi e nel 2013 l’Unione europea ha approvato il Regolamento sullo smantellamento e il riciclo delle navi. Nonostante gli armatori di navi battenti bandiera di un Paese dell’Unione siano giuridicamente tenuti a seguirle, queste norme vengono spesso aggirate per motivi economici. Ad oggi, solo una minoranza delle navi a fine vita approda in uno degli impianti di riciclaggio autorizzati dall’Unione; e tra i Paesi terzi a figurare nell’elenco europeo, c’è la Turchia, dove le operazioni vengono condotte a minor costo. I centri di demolizione più importanti del mondo continuano a trovarsi in India, Bangladesh e Pakistan. Sono cantieri a cielo aperto, dove le navi vengono spiaggiate, contaminando il bagnasciuga di sostanze altamente tossiche con cui gli operai vengono a contatto, a gambe e braccia nude.

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