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È arrivato l’inventario dei pozzi di idrocarburi non più attivi degli ultimi 30 anni

pozzi di idrocarburi
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Ora Bruxelles aspetta i monitoraggi delle emissioni e un piano di mitigazione e tappatura permanente. A terra e in mare. Il metano è il secondo gas responsabile del surriscaldamento del pianeta, ridurne le emissioni è una scommessa globale.

Ci sono in Italia 1.614 pozzi di petrolio e gas non più attivi dal punto di vista minerario, chiusi dal 1994. Diversamente chiusi, poiché l’inventario recentemente pubblicato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) li classifica in pozzi inattivi, pozzi tappati temporaneamente e pozzi tappati permanentemente e abbandonati, secondo le definizioni europee. A terra e in mare. Perché fare un inventario dei pozzi dismessi? Per diversi motivi.

Il Regolamento Ue sulle emissioni di metano

Intanto perché lo chiede il Regolamento europeo sulle emissioni di metano nel settore energetico approvato a maggio 2024. Una legge (UE 2024/1787 sulle emissioni di metano) volta a ridurre le emissioni di metano generate dall’energia prodotta e consumata all’interno dell’Ue, ma anche a influenzare i Paesi esterni all’Unione, estendendo la sua portata alla filiera di approvvigionamento dei combustibili fossili per garantire che le stesse norme si applichino a livello globale. Il Regolamento fa parte del pacchetto legislativo Fit for 55, che mira a ridurre le emissioni di gas serra dell’Unione di almeno il 55% entro il 2030.

Il Regolamento impone obblighi precisi di misurazione, monitoraggio e riduzione delle emissioni di metano. La pubblicazione dell’inventario da parte degli Stati membri era il primo passo. Si tratta, ora, di verificare la tenuta dei pozzi e gli eventuali livelli di emissioni, per fare in modo di azzerarle. Un’attività di monitoraggio, che riguarderà anche ISPRA e Agenzie ambientali regionali, non semplicissima dal punto di vista organizzativo e tecnologico, in particolare per i pozzi sottomarini, come ha sottolineato l’associazione ambientalista Amici delle Terra, da tempo impegnata in una campagna di riduzione delle emissioni di metano in Italia.

La tempistica prevista nel Regolamento

C’erano 12 mesi dall’entrata in vigore del Regolamento per produrre l’inventario dei pozzi, ora la tempistica indicata dalla legge prevede che entro 21 mesi (sempre dall’entrata in vigore) tutti gli Stati membri sottomettono un report con le quantificazioni e i monitoraggi delle emissioni di metano rilevate nei pozzi censiti ed entro 24 mesi gli Stati membri o l’ente responsabile elaborino un piano di mitigazione, riparazione e tappatura permanente dei pozzi inattivi. Con eccezioni per gli Stati membri con più di 40.000 pozzi e per i pozzi di petrolio e di gas offshore situati ad alta profondità.

Il Global Methane Pledge

Anche perché il metano è il secondo gas responsabile del surriscaldamento del pianeta, dopo l’anidride carbonica. La sua riduzione, per la lotta al cambiamento climatico, è quindi una priorità alta. Per questo, la Commissione europea e 159 Paesi, tra cui l’Italia, hanno sottoscritto nel 2021 il Global Methane Pledge, un impegno globale che punta a ridurre le emissioni di metano almeno del 30% rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030.

Impegno sfidante, sul quale i Paesi aderenti hanno fatto il punto in occasione dell’ultima Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici, la Cop29 di Baku, e che sarà inevitabilmente oggetto anche della prossima, la Cop30 di Belém a metà novembre. I sostenitori del Global Methane Pledge rappresentano una parte significativa delle emissioni globali di metano. Tra loro, ci sono Canada, Stati Uniti, Unione Europea, Nigeria, Giappone, Germania e gli Stati Federati di Micronesia, noti come i “GMP Champions”, che promuovono un’azione accelerata e l’attuazione degli obiettivi del documento. Lo scorso anno sono entrati a far parte della coalizione anche Azerbaigian, Tagikistan, Guatemala e Madagascar.

L’inventario italiano dei pozzi di petrolio e gas non più attivi dal 1994

Ma torniamo ai numeri e alle specifiche del nostro inventario dei pozzi di petrolio e gas non più attivi. In base alle premesse del Regolamento, il MASE ha considerato come arco temporale significativo per l’inventario gli ultimi 30 anni: si tratta dei pozzi chiusi minerariamente a partire dal 1° gennaio 1994 e che riguardano 346 giacimenti (titoli minerari). L’inventario fornisce il nome di ogni singolo pozzo e quello del relativo giacimento, con il titolare dell’attività, l’ubicazione dei pozzi, latitudine e longitudine, profondità, orientamento del pozzo e anno di perforazione, più altri parametri tecnici. Sul totale dei 1.614 pozzi elencati, 538 si trovano in fondali marini e 1.067 sono a terra, prevalentemente in aree rurali.

I numeri dell’inventario

Ci sono nel documento 866 pozzi inattivi, 123 pozzi tappati temporaneamente e 625 pozzi tappati permanentemente e abbandonati. Come spiega il comunicato ministeriale, per pozzo inattivo si intende “il pozzo petrolifero o di gas per ricerca o coltivazione o il sito del pozzo, onshore o offshore, in cui da almeno un anno non sono effettuate operazioni di ricerca o coltivazione, a eccezione dei pozzi tappati temporaneamente e dei pozzi tappati permanentemente e abbandonati”, per pozzo tappato temporaneamente si intende “il pozzo petrolifero o di gas per ricerca o coltivazione o il sito del pozzo, onshore o offshore, in cui sono state installate barriere per pozzi per isolare temporaneamente il giacimento di produzione e in cui è ancora previsto l’accesso al pozzo”.

Per pozzo tappato permanentemente e abbandonato si intende “il pozzo petrolifero o di gas per ricerca o coltivazione o il sito del pozzo, onshore o offshore, che è stato tappato e al quale non si avrà più possibile accesso, in cui tutte le operazioni sono state interrotte e tutte le installazioni associate al pozzo sono state rimosse conformemente ai requisiti normativi applicabili e per cui può essere fornita una documentazione come stabilito nell’allegato V, parte 1, punto 3”, ossia quello che nello scrivente Stato membro viene definito pozzo “chiuso minerariamente”.

Gli operatori negli scorsi 30 anni sono stati Apennine Energy, Canoel Italia, Energean Italy, Eni, Eni Mediterranea idrocarburi, Gas Plus Italiana, Irminio, Lazzi Gas, Lnenergy, Maurel et Prom Italia, Pentex Italia, Rockhopper Civita, Società Padana Energia, Stogit Italia e Stogit Adriatica.

 Il problema delle emissioni di metano dai pozzi abbandonati

Fatto sta che, tra le fonti di emissioni di metano, i pozzi di idrocarburi dismessi potrebbero essere rilevanti, sebbene la categoria sia stata finora poco considerata. L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha inserito nel 2019 il problema delle emissioni dai pozzi abbandonati nelle sue linee guida; ma la scelta di includere o meno queste emissioni nei propri inventari nazionali delle emissioni di gas serra rimaneva per i diversi paesi facoltativa.

Eppure, scrivono Monia Procesi e Giuseppe Etiope dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) in un capitolo espressamente dedicato ai pozzi di idrocarburi dismessi in un dossier di Legambiente sulle emissioni di metano (2024), “le emissioni di metano dai pozzi di idrocarburi abbandonati rappresentano una significativa minaccia climatica, con potenziali impatti. La ricerca e la quantificazione di queste emissioni sono cruciali per sviluppare strategie di bonifica efficaci e per mitigare il cambiamento climatico”.

I ricercatori dell’INGV spiegano che i pozzi di olio e gas che hanno concluso la loro vita operativa vengono generalmente sigillati, ma che con il tempo, la struttura del pozzo può deteriorarsi, causando fuoruscite del metano ancora presente nel serbatoio, e che esistono casi in cui pozzi abbandonati non sono stati adeguatamente chiusi, o non sono stati chiusi affatto. Proprio l’INGV si è occupato in Italia di questo tema, sviluppando un primo inventario di pozzi onshore abbandonati e mettendo a punto tecniche di misura del flusso di metano.

Alcuni numeri sulle emissioni di metano dai pozzi abbandonati

Procesi ed Etiope riportano inoltre alcuni numeri, utili a definire la potenziale ampiezza del fenomeno. “La quantificazione delle emissioni di metano dai pozzi idrocarburi abbandonati è stata oggetto di studi principalmente negli Stati Uniti e in Canada. L’agenzia ambientale degli Stati Uniti (Environmental Protection Agency, EPA) stima che negli Stati Uniti vi siano circa 3,2 milioni di pozzi di idrocarburi abbandonati, i quali emettono annualmente in atmosfera circa 300000 tonnellate di CH4. Il flusso di metano da questi pozzi varia considerevolmente, con alcuni pozzi, definiti ‘super-emettitori’, che rilasciano oltre 1 tonnellata di metano (CH4) all’anno.

Studi recenti indicano che circa il 65% delle emissioni totali di metano dai pozzi abbandonati negli Stati Uniti deriva da poche decine di super-emettitori. In Europa, alcune ricerche preliminari sono state condotte nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, rilevando emissioni di metano molto inferiori rispetto a quelle derivanti da altre attività antropiche, come l’allevamento di bestiame. Tuttavia, mancano dati per altri paesi che, nel secolo scorso, hanno sviluppato una rilevante industria petrolifera”.

Tra i punti in sospeso, la cattura delle emissioni

Meriterebbero più ampie considerazioni i tempi previsti dal Regolamento sulle emissioni di metano rispetto agli obiettivi fissati dal Global Methane Pledge e a quelli europei di decarbonizzazione. Legambiente sottolinea che non si avrà una piena applicazione del regolamento sul territorio comunitario per tutte le infrastrutture prima del 2030 e che “l’effettiva applicazione di standard sulle importazioni di gas si vedrà verosimilmente solo tra il 2031 e il 2040”. Altre e diverse considerazioni si potrebbero fare, inoltre, sulle eventuali possibilità di cattura delle emissioni di metano e sulle tecnologie per un suo nuovo utilizzo. O sulle emissioni legate alle perdite delle infrastrutture in funzione, ma questo è un altro discorso.

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