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Ecologia cognitiva, dove si incontrano sostenibilità e psicologia

Ecologia cognitiva: un uomo riflette sullo stato dell'ambiente
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Con il nome di ecologia cognitiva si definisce una branca delle scienze ambientali che possiede numerosi punti di contatto con la psicologia. Essa vuole indagare, quanto più a fondo possibile, l’intricata relazione che regola le interazioni e le relazioni tra l’uomo e l’ambiente. In particolar modo, il focus di questa disciplina è su come impatti questo rapporto sulla psiche umana. Questo aspetto ha acquisito notevole importanza negli ultimi tempi, grazie anche alle forzate condizioni di vita cui ci ha costretto il lockdown dovuto alla pandemia tra il 2020 e il 2022. Le domande di fondo da cui muove l’ecologia cognitiva sono le seguenti: come si relaziona l’uomo al cambiamento climatico? Come vive i mutamenti ambientali?

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Il binomio uomo-ambiente nell’ecologia cognitiva

L’ambito dell’ecologia cognitiva riguarda lo studio, sempre più approfondito, della cognizione e la inserisce in un’ottica evoluzionistica. Questa disciplina nasce come punto di unione tra la biologia dell’evoluzione e lo studio della cognizione negli animali, per decadi appannaggio quasi totale della psicologia comparata. Ultimamente, però, si è reso necessario approfondire questo aspetto anche in un’ottica più strettamente legata alla cognizione, dal momento che l’uomo è sempre più attento alla tematica ambientale, oggi attualissima, come ben sappiamo. Data l’attenzione mondiale su questo argomento, la psicologia si è interessata all’osservazione dei meccanismi cognitivi scatenati dalla battaglia ambientale.

Il fatto che le attività antropiche rivestano un ruolo primario nel cambiamento climatico non è in discussione. L’intera comunità scientifica è concorde nel ritenere che non basta convertire l’intero traffico veicolare o acquistare cibi biologici se a queste buone azioni non abbiniamo una riduzione di altri consumi. Ed è probabile che l’umanità continui a non vedere questo nesso, proseguendo con ragionamenti a compartimentazione stagna, per così dire. Il problema principale, infatti, è che nella popolazione mondiale si riscontra una sorta di incapacità – a livello cognitivo – di comprendere la reale portata del cambiamento climatico.

È come se la nostra specie non fosse pienamente conscia di quanto lei stessa sia determinante, in questa battaglia. Questo aspetto era stato portato in luce durante le fasi più calde della pandemia, quando alcuni studi avevano reso noto che lo stop delle attività lavorative e dei trasporti aerei aveva risanato l’intero pianeta. Una volta tornati alla normalità, però, ci siamo ritrovati allo stesso punto di prima.

Una ricerca poco incoraggiante

Nell’ottica dell’ecologia cognitiva, una ricerca particolarmente interessante è quella portata avanti del ricercatore dell’Università di Utrecht Bas J.P. van Bavel. Il suo studio risale al 2019 e mette in luce una contraddizione di fondo non trascurabile. Il dossier Bavel è quanto di più aggiornato possediamo, al momento, relativamente alla cognizione dell’essere umano rispetto alla questione ambientale e mette bene in luce le ragioni per le quali parliamo molto di surriscaldamento globale e transizione energetica ma poi, nei fatti, non agiamo mai con la risolutezza necessaria.

Il risultato più stupefacente della ricerca è che essa evidenzia, di fatto, inconsapevolezza e noncuranza. Come tutti ben sappiamo, esiste un problema ambientale e ne siamo ben consci. Il modo nel quale ci siamo attivati e stiamo trattando il nostro pianeta non è però quello più corretto. Ciononostante, non mettiamo in campo nessun tipo di intervento concreto e pragmatico per migliorare questa situazione. Un uomo comune è sì preoccupato per l’ambiente, e conscio che vadano prese misure, questo senza dubbio. Non farà però granché per risollevare le cose. Di fatto, metterà in pratica tutto il possibile, nel suo piccolo, per contenere la minaccia ma si fermerà lì. Non porrà mai in essere azioni concrete, che gli richiedano ulteriore impegno.

Ecologia cognitiva: un ragazzo seduto in un bosco
L’ecologia cognitiva è insufficiente nel concreto: ci rende consci del fatto che stiamo facendo troppo poco ma non ci sprona ad agire

Ecologia cognitiva ed enattivismo

Quanto scritto non deve stupire. L’ecologia cognitiva sottolinea un marcato enattivismo, da parte della psiche umana, verso l’ambiente. Ciò vale a dire che la cognizione è in grado di analizzare bene quel che accade e valutare correttamente quanto stia succedendo intorno a noi. Non ci sprona però mai a intervenire per modificare le cose. Essa contempla, non mette in azione.

È qui che occorre agire. Se riuscissimo, attraverso l’educazione e l’evoluzione dei nostri piani di pensiero, a modificare il modus operandi della nostra cognizione, sviluppando quella che N. Katherine Hayles definisce ecologia cognitiva planetaria, potremmo cambiare prospettiva e iniziare a realizzare che ognuno di noi può, e deve, farsi motore di cambiamento. Non è sufficiente avere contezza che ci sia bisogno di intervenire per migliorare le cose, occorre anche mettere bene in chiaro che sia necessario essere disposti ad agire, e non soltanto a pensare.

Un’intersezione tra sostenibilità e psicologia può agire da accelerante nella battaglia per il clima. Applicando tecniche di analisi e terapia alla questione ambientale potremmo trovare il modo di stimolare l’azione e spingere gli individui a darsi maggiormente da fare.

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Mattia Mezzetti

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