L’inquinamento atmosferico danneggia in maniera seria il nostro cervello. Abbiamo raccolto alcuni dati che confermano l’impatto dell’anidride carbonica sull’encefalo umano, per illustrare quanto seria sia la questione.
Quando si parla di inquinamento atmosferico, il pensiero corre immediatamente ai danni ai polmoni che può causare, quali asma, bronchite e cancro. Un corpo crescente di evidenze scientifiche, però. sta svelando un ulteriore nemico, ancora più insidioso. Si tratta di un vero e proprio killer silenzioso, il quale prende di mira l’organo più complesso e delicato del nostro corpo: il cervello.
Inquinamento atmosferico e particelle nocive
Le particelle inquinanti ultrasottili (UFP) e il PM2.5 (particolato con diametro inferiore a 2.5 micrometri) non si fermano alla barriera polmonare. Sono talmente piccole da poter entrare nel flusso sanguigno e superare la barriera emato-encefalica, una sorta di muro protettivo del cervello, posizionata appositamente per evitare che le impurità raggiungano quello che è il vero e proprio centro di comando dell’organismo umano. L’esposizione cronica all’aria viziata non ci dà soltanto fastidio, bensì è un fattore di rischio significativo per l’invecchiamento cerebrale precoce e lo sviluppo di malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.
Studi epidemiologici che si stanno portando avanti nelle università e nei centri di ricerca hanno già mostrato una forte correlazione tra alti livelli di inquinamento e aumento dell’incidenza di ansia, depressione e altri disturbi comportamentali. La minaccia è amplificata nei soggetti più giovani. Il cervello dei bambini, infatti, è particolarmente vulnerabile. L’esposizione in età scolare si associa a un più basso quoziente intellettivo, oltre che a un’aumentata incidenza di disturbi dell’attenzione (ADHD).
Il meccanismo biologico principale alla base di questi danni è la neuroinfiammazione. Si tratta di una risposta immunitaria cronica, e persistente, innescata dalle particelle tossiche che penetrano direttamente nel tessuto cerebrale. Quando lo fanno, ne alterano inevitabilmente la funzione.
Il viaggio del killer silenzioso: come le polveri sottili arrivano al cervello
Se dunque l’inquinamento atmosferico può danneggiare il cervello, è il caso di porci subito una domanda: come fanno queste particelle dannose a superare le nostre difese naturali? Ebbene, non si tratta di un singolo percorso, bensì di una complessa strategia di attacco, la quale sfrutta le dimensioni ridotte e l’ubiquità di questi agenti tossici.
Non solo PM2.5: le particelle ultrasottili sono la minaccia più piccola e insidiosa
Quando si parla di smog, l’attenzione è spesso focalizzata su PM 10 o PM2.5. Tuttavia, la minaccia più piccola e insidiosa è rappresentata da un terzo agente: le particelle ultrasottili UFP. Il loro diametro è ancor più fine, tanto da essere inferiore agli 0.1 micrometri. Per intenderci, parliamo di una dimensione mille volte più piccola rispetto a quella di un capello umano europeo. Queste nanoparticelle sono prodotte principalmente dal traffico veicolare, oppure dalle emissioni industriali.
Per quale motivo sono così pericolose? È la loro composizione a renderle tali. Parliamo infatti di un cocktail tossico, per così dire, contenente metalli pesanti, carbone e composti organici. Le loro dimensioni infinitesimali conferiscono un’enorme superficie reattiva per unità di massa, rendendole estremamente efficaci nel penetrare le membrane cellulari. Superata tale linea di difesa, danno avvio alla loro azione causante stress ossidativo e infiammazione.
La doppia via d’accesso: dal sangue e dal naso
Il viaggio delle particelle ultrasottili, in direzione del cervello, si svolge attraverso due percorsi principali.
- Attraverso gli alveoli polmonari. Una volta inalate in profondità nei polmoni, le UFP superano, molto rapidamente, la sottile barriera alveolare. Qui avviene lo scambio gassoso, ed esse si riversano in massa nel flusso sanguigno. Da lì hanno via libera. Circolano liberamente in tutto il corpo e raggiungono la rete vascolare del cervello.
- Attraverso il nervo olfattivo. Questo è un percorso più diretto e, di conseguenza, maggiormente preoccupante. Le particelle possono essere inalate attraverso la cavità nasale. Da qui, invece di fermarsi, risalgono lungo le terminazioni nervose del nervo olfattivo, passando direttamente dalla mucosa nasale al cervello, tramite una corsia preferenziale.
La barriera emato-encefalica: un muro che non è più invalicabile
Ed ecco qua la nota più dolente della melodia, tutt’altro che allegra, suonata nei due precedenti paragrafi. Quella che in anatomia definiamo barriera emato-encefalica è un sofisticato sistema di cellule endoteliali che agisce alla stregua di muro di sicurezza. Il suo ruolo è quello di selezionare rigorosamente ciò che può passare dal sangue al tessuto cerebrale. Lo scopo della sua esistenza è quello di proteggere il cervello da agenti patogeni e tossine circolanti. Tuttavia, quando l’inquinamento innesca una neuroinfiammazione cronica, ne esce irrimediabilmente indebolita.
L’infiammazione persistente compromette l’integrità delle giunzioni strette tra le cellule della BEE, rendendola permeabile e permettendo il passaggio non solo delle UFP stesse, ma anche di altre molecole, egualmente infiammatorie e tossiche, come le PM2.5.
I 4 impatti documentati dell’inquinamento atmosferico sulla nostra salute neurologica e mentale
La bassa qualità dell’aria che respiriamo modella, in peggio, la salute del nostro sistema nervoso centrale. Ecco i quattro impatti più documentati e maggiormente preoccupanti per medicina e ricercatori.
1. Declino cognitivo e demenza: l’invecchiamento cerebrale accelerato.
L’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico accelera l’invecchiamento cerebrale. Gli studi, come quelli pubblicati su JAMA Network, da cui attingono i report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, mostrano una chiara associazione tra l’esposizione a PM2.5 o ossidi di azoto e la riduzione del volume della materia grigia in regioni chiave del cervello. Ancora più allarmante è il legame con l’Alzheimer. L’infiammazione cronica causata dalle nanoparticelle, è un fattore chiave nella formazione delle placche amiloidi e dei grovigli neurofibrillari, i segni distintivi patologici della malattia. La portata del problema è globale.
Uno studio pubblicato su The Lancet ha stimato che quasi il 17% dei casi di demenza, a livello globale, potrebbe essere attribuibile all’inquinamento atmosferico.
2. Ansia e Depressione: quando l’aria che respiriamo influenza il nostro umore
L’aria tossica non colpisce solo le funzioni cognitive. Danneggia anche la nostra salute mentale. L’infiammazione cerebrale indotta dall’inquinamento è in grado di interferire con l’equilibrio delicato dei neurotrasmettitori, sostanze chimiche come serotonina e dopamina che regolano l’umore.
Questa alterazione può aumentare la vulnerabilità a disturbi umorali. È stata riscontrata una correlazione diretta tra picchi di smog e aumento degli accessi al pronto soccorso per disturbi d’ansia. Le conclusioni dei report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sottolineano come l’inquinamento agisca da stressante ambientale continuo ed esacerbi lo stress e infiammazione sistemica.
3. Impatto sullo Sviluppo Neurologico dei Bambini
Il cervello in via di sviluppo è molto più vulnerabile all’assalto delle tossine. Poiché l’encefalo di un bambino continua a crescere, e a formare nuove sinapsi a ritmo elevato, la neuroinfiammazione innescata dall’inquinamento può avere conseguenze permanenti sulla sua architettura e sulle sue funzioni. Diversi studi correlano l’esposizione all’inquinamento durante l’infanzia, specialmente in ambienti come le scuole situate vicino a strade trafficate, con peggiori performance nei test cognitivi. In particolare quelli che misurano la memoria di lavoro e le funzioni esecutive. Parallelamente, aumenta l’incidenza dei deficit di attenzione.
4. Aumento del Rischio di Ictus
L’inquinamento atmosferico non è solo un fattore scatenante per l’asma. Aumenta anche il rischio cardiovascolare e neurologico. In maniera sensibile. L’esposizione a PM2.5 accresce infiammazioni sistemiche e stress ossidativi. I due elementi danneggiano le pareti dei vasi sanguigni. Questo porta a un aumento della rigidità delle arterie, riducendo la loro capacità di espandersi e contrarsi, oltre che a un incremento dell’ipertensione arteriosa. Quest’ultima, è un fattore di rischio primario per l’ictus. Amplificando i meccanismi che portano alla formazione di coaguli, e al blocco del flusso sanguigno al cervello, aumenta significativamente il rischio di subire ictus ischemico o emorragico.
Strategie di difesa: come proteggere il nostro cervello dall’inquinamento atmosferico
Nella tabella che segue, abbiamo indicato alcune azioni specifiche che possiamo intraprendere per arginare gli effetti dell’inquinamento atmosferico sul nostro cervello.
| LIVELLO DI INTERVENTO | AZIONI SPECIFICHE | EFFICACIA E CONSIDERAZIONI |
| INDIVIDUALE (AMBIENTI INTERNI) | Adottare purificatori d’aria domestici dotati di filtri HEPA. Evitare l’apertura delle finestre durante le ore di punta, maggiormente trafficate. | Efficacia elevata per l’ambiente domestico. I filtri HEPA possono trattenere oltre il 99.7% del particolato. |
| INDIVIDUALE (AMBIENTI ESTERNI) | Indossare mascherine FFP2, quelle che abbiamo conosciuto ai tempi del COVID, nei giorni con elevate concentrazioni di inquinanti. Preferire itinerari con minore traffico per attività come camminata veloce o sport. | Moderata efficacia. Le mascherine riducono l’inalazione ma non eliminano completamente l’esposizione. |
| ALIMENTARE | Seguire una dieta ricca di antiossidanti come frutta e verdura, allo scopo di contrastare lo stress ossidativo indotto dall’inquinamento. | Si tratta di una soluzione complementare, non sostitutiva. Fare attenzione a quel che si mangia supporterà la capacità del corpo di contrastare i danni cellulari. |
| COLLETTIVO (POLITICHE URBANE) | Implementare zone a bassa emissione. Incrementare le aree verdi urbane (gli alberi sono fidi alleati: possono ridurre il PM2.5 locale fino al 24%). Potenziare trasporti pubblici e infrastrutture ciclabili. | Altissima. Queste soluzioni strutturali sono in grado di affrontare il problema alla radice, e di farlo per l’intera popolazione. Non è però facile trovare amministrazioni che si impegnino a concretizzarle. |
Il ruolo della dieta mediterranea
Di fronte a un serio problema ambientale come quello di cui stiamo trattando, è naturale chiedersi che cosa si possa fare, a livello individuale. Un buon punto di partenza è adottare la dieta mediterranea. Essa può infatti agire da potente neuroprotettore. Antiossidanti e acidi grassi Omega-3 essenziali, tipici di questo regime alientare, aumentano la resilienza del cervello ai danni indotti dallo stress ossidativo, nonché dalla neuroinfiammazione figlia dell’inquinamento.
Abbiamo a disposizione alimenti che possono contribuire a mitigare l’infiammazione sistemica e cerebrale. Secondo riviste specializzate, come Neurology, l’aderenza a questa dieta è associata a un minor declino cognitivo. Se non è possibile eliminare completamente l’inquinamento, dall’oggi al domani, possiamo, almeno, rafforzare le difese interne del nostro cervello grazie a ciò che mangiamo, trasformando la nostra tavola in un’arma di difesa.
Per assimilare nutrienti che possono aiutarci a difenderci, per quanto possibile, dall’inquinamento atmosferico, consumiamo:
- mirtilli e frutti di bosco ricchi di flavonoidi;
- noci e semi ricchi di vitamina E e Omega-3;
- pesce azzurro come sgombro e sardine, fonti primarie di acido docosaesaenoico (DHA) e acido eicosapentaenoico (EPA), due Omega-3;
- olio d’oliva extra vergine, con polifenoli antinfiammatori.




