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La raccolta differenziata del tessile è diventata obbligatoria

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L’Italia introduce l’obbligo di raccolta differenziata del tessile anticipando di tre anni la Ue. Comuni e gestori avranno il tempo di adeguarsi e possono contare sui fondi stanziati dal Pnrr per il miglioramento della raccolta differenziata e del riciclo.

È scattato in Italia dall’inizio dell’anno l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale del settore attraverso il riciclo e il riuso di capi di vestiario e altri tessuti usati. Come previsto dal Decreto 116 del 2020, che recepisce la Direttiva europea sul pacchetto economia circolare, il nostro Paese anticipa di tre anni la data dell’obbligo europeo e la nuova norma potrebbe segnare un importante punto di partenza per lo sviluppo di una filiera dell’economia circolare che quasi non esiste, né da noi né altrove, nonostante i numeri consistenti e in continua crescita dei rifiuti tessili. Le ultime stime Ispra parlano, per la sola Italia, di 663 mila tonnellate circa di rifiuti tessili all’anno (il 5,7% dei rifiuti indifferenziati) destinate a smaltimento in discarica o nell’inceneritore. A fronte di 143 tonnellate di rifiuti tessili urbani raccolti nel 2020, pari a circa lo 0,8% del totale della raccolta differenziata. In alcuni Comuni la raccolta differenziata del tessile esiste già, ma si tratta ora di estenderla, uniformandola, a tutto il territorio nazionale.

Per Comuni e gestori il tempo di adeguarsi

L’obbligo per amministrazioni e gestori di avviare la nuova raccolta potrebbe tuttavia essere posticipato o ridotto, nella fase iniziale, ai soli abiti usati. L’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci) ha chiesto una proroga di un anno per mancanza di linee guida del Ministero della Transizione ecologica. E si aspettano le misure della strategia europea sull’economia circolare nel tessile che la Commissione dovrebbe comunicare a breve. Tra le principali novità, la strategia europea prevede l’introduzione dell’estensione della responsabilità del produttore (Epr) nel comparto industriale tessile-moda, come strumento per raggiungere gli obiettivi previsti a livello comunitario per rendere concreto il principio del “chi inquina paga”. Ma se davvero si dovesse partire ora, per i Comuni non sono previsti obiettivi da raggiungere, né sanzioni. Con l’obbligatorietà – spiega il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente – i Comuni e i gestori, che non hanno ancora attivato questo servizio di raccolta, dovranno realizzarlo quanto prima e regolamentarlo al meglio, comprendendo sia gli indumenti che altri materiali tessili, come ad esempio tappezzeria, lenzuola, asciugamani e altri prodotti che, per lo più, si trovano nelle nostre abitazioni. Questo comporterà un aumento di frazioni non facilmente valorizzabili, con un possibile aumento dei costi di cernita e smaltimento, che preoccupa non poco gli operatori del settore. Una crescita dei costi prevista anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che stanzia 150 milioni di euro per la costituzione di ‘textile hubs’ innovativi a cui si aggiunge una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo.

L’impatto ambientale del tessile

Secondo il Piano d’azione per l’economia circolare della Commissione Ue, il tessile globale è il quarto settore per maggior impiego di risorse primarie (dopo alimentare, costruzioni e trasporti) e il quinto per emissioni di gas serra (circa il 10%, quindi più della somma delle emissioni di navi e aerei). L’Agenzia europea per l’ambiente ritiene che la produzione tessile sia responsabile del 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile, per l’uso di prodotti chimici nelle operazioni di tintura e finissaggio dei capi; mentre il lavaggio degli abiti sintetici rilascia nei mari mezzo milione di tonnellate di microfibre ogni anno.

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