È stato pubblicato il nuovo Rapporto sulle cave nel nostro paese, tra autorizzazioni in calo e prelievi in crescita, dove si attende ancora una regia nazionale e, soprattutto, regole finalmente uniformi ed eque per i territori e le comunità coinvolte.
Con un cambio di rotta, il settore estrattivo potrebbe giocare un ruolo importante nell’economia circolare, è questo il principale distillato del Rapporto “Cave. La transizione dell’economia circolare nel settore delle costruzioni” (edizione 2025) di Legambiente, scritto in collaborazione con Fassa Bortolo, azienda leader del settore.
Il cambio di rotta proposto nel dossier sarebbe necessario per “ridurre il prelievo di materiali e l’impatto delle cave sul paesaggio, dare nuova vita a quelle dismesse con interventi di ripristino ambientale e favorire il recupero e riciclo degli aggregati, superando normative obsolete, canoni di concessione irrisori e leggi regionali frammentate”. Un cambio che si attende da decenni, visto che rimane ancora un tema poco presidiato dalla politica, relegato ad approcci definiti solo a livello locale, ancora poco orientati verso i necessari criteri di sostenibilità.
I dati del Rapporto
Nel rilevamento effettuato incrociando i dati forniti dalle Regioni (e dalle due Province Autonome) con quelli di Istat in Italia sono 1.678 i Comuni con almeno una cava autorizzata, dove a livello regionale registrano i numeri più alti la Lombardia, il Veneto e la Puglia, con oltre 300 cave autorizzate. Agli ultimi posti per cave in funzione, tutte sotto i 100 siti, si trovano Liguria, Molise, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Basilicata, Marche, Calabria e Valle d’Aosta.
Rispetto al monitoraggio sulla cave dismesse, invece,si registra un lieve aumento (14.640, +3,5% rispetto al 2021), di cui solo una minima parte è destinata a interventi di ripristino ambientale, dove spiccano Lombardia (oltre 3.100), Toscana (2.400), Puglia (2.000) e Piemonte (1.847).
In buona sostanza, dai dati emerge che, anche a seguito della crisi del settore edilizio, si registra comunque un calo delle cave autorizzate (quelle attive e quelle autorizzate ma in assenza di attività estrattiva in corso), scese a 3.378 (-51,3% rispetto alla prima rilevazione del report del 2008 e –20,7% rispetto al report 2021).
Dato, quest’ultimo, che va comunque letto con il contestuale aumento dei prelievi per sabbia e ghiaia: 34,6 i milioni di metri cubi annuali (+18,5% rispetto al 2021). Sempre rispetto alla scorsa edizione del report quasi raddoppiati anche i volumi di calcare estratto (51,6 milioni di metri cubi, +92,5%) mentre sono scesi quelli di pietre ornamentali (5,5 milioni di metri cubi, -11,3%).
Nonostante i quantitativi estratti, i canoni di concessione restano irrisori (in alcune Regioni inferiori a 50 centesimi al metro cubo) e il ritorno economico per le casse pubbliche derivante da sabbia e ghiaia non supera i 20 milioni di euro, mentre imponendo tariffe sui prelievi vicine al 20% del valore di mercato (come in Gran Bretagna) si potrebbero ottenere circa 66 milioni. Dunque, secondo le stime del Cigno Verde, 46,5 milioni di entrate annue mancate. In particolare, in Basilicata e Sardegna non sono praticamente previsti per nessuna tipologia di materiale estratto, mentre in Valle d’Aosta è presente solo per sabbia e ghiaia, considerando pure i canoni più bassi si trovano in Calabria, Lazio, Puglia, Umbria, Valle d’Aosta(< 0,50 €/m³).
Il riciclo degli inerti
Non proprio buone notizie nemmeno sul fronte del riciclo degli inerti, almeno rispetto alla Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi, considerato che la produzione in Italia di aggregati naturali e artificiali utilizzabili al posto di materiali da cava è ancora molto ridotta: “si stimano tra i 2.000 e i 3.000 impianti autorizzati (fissi e mobili) secondo quanto dichiarato da rappresentanti di ANCE nel 2021. Le Regioni con maggiore presenza di impianti di riciclo inerti sono del Centro-Nord: Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Veneto, Trentino e Toscana”.
Il prelievo di aggregati, dunque, continua ad essere particolarmente rilevante, così come rimane alto il dato sulle imprese in Italia che si occupano di produzione di sabbia e ghiaia, seppur con un trend in leggera diminuzione: 1.120 secondo i dati UEPG al 2022 (associazione europea che rappresenta i produttori di aggregati inerti in 24 Paesi), mentre in Germania, nonostante le differenze di popolazione ed estensione del Paese, sono 1.435.
La tendenza nazionale rimane quella di una eccessiva frammentazione della produzione, perché alle 1.120 imprese censite corrispondono 2.800 siti estrattivi di sabbia e ghiaia, mentre, ad esempio, in Francia vi sono 1.735 produttori per 3.012 siti, in Germania 1.435 imprese per 2.728 siti e in Spagna 1.053 aziende con 1.849 aree di cava.
Le tre priorità rilevate dal Rapporto
Per risolvere, almeno in parte, questi paradossi, Legambiente individua 3 priorità per rilanciare il settore in chiave sostenibile:
- Aumentare il recupero e riciclo dei materiali provenienti da demolizione e costruzione trasformandoli in alternative agli aggregati tradizionali, riducendo il conferimento a discarica, garantendo tracciabilità dei materiali, introducendo la demolizione selettiva nelle gare pubbliche, fissando obiettivi di recupero e riciclo e investendo nella formazione degli operatori.
- Introdurre un canone minimo nazionale per i materiali estratti, pari almeno al 20% del valore di mercato, per garantire un uso equo delle risorse e il ripristino di tutti i siti estrattivi, incentivare l’innovazione e il recupero ambientale e l’impiego di materiali riciclati a costi competitivi.
- Rafforzare la tutela dei territori, rendendo obbligatoria l’approvazione e l’aggiornamento dei Piani per le Attività Estrattive (PRAE) – ancora assenti in 6 Regioni e 1 Provincia Autonoma* – regolando i prelievi, l’uso di materiali riciclati, estrazioni sostenibili, garantendo il recupero delle aree e i controlli contro le infiltrazioni criminali.
Le buone pratiche
Ma non sono solo criticità, per fortuna. Nel Rapporto, infatti, si raccolgono alcune buone pratiche di gestione sostenibile delle cave, di recupero e riutilizzo di materiali, e di innovazione in chiave circolare.
Tra questi, la demolizione selettiva dell’Ospedale “Misericordia e Dolce” di Prato, con il recupero del 98% dei materiali, e il progetto “Corti di Medoro” di Ferrara, che ha riciclato oltre il 99% dei rifiuti. Altri casi mostrano come le cave dismesse possano rinascere come spazi verdi e culturali: il Parco delle Cave di Brescia e quello di Marco Vito a Lecce, fino all’Eden Project in Cornovaglia.
Le dichiarazioni
Secondo il Direttore Generale di Legambiente Giorgio Zampetti “È inaccettabile che un settore con forti impatti ambientali ed economici sia ancora regolato da un decreto del 1927, basato su un approccio datato e che trascura le ricadute sui territori (in termini di polveri, risorsa idrica e suolo, rumore e vibrazioni, paesaggio, ecosistemi naturali). Governo e Regioni adottino una visione nuova, capace di favorire innovazione, rilancio dei distretti produttivi e nuovi green jobs nel riciclo dei materiali da costruzione. Le capacità tecnologiche e le esperienze di imprese attive in tal senso non mancano. Serve una legge quadro che preveda il monitoraggio delle cave attive e dismesse, che introduca regole uniformi per tutelare il territorio, Valutazione di Impatto Ambientale obbligatoria, recupero ambientale e divieto di attività in aree sensibili, incentivi all’uso di materiali riciclati rispetto alle materie vergini”.
Per Lorenzo Bernardi di Fassa Bortolo, invece, le attività estrattiva e recupero ambientale non sono viste come fasi distinte, ma un unico processo integrato. “Oltre tre secoli di esperienza ci hanno insegnato che solo investendo a monte su tecnologie innovative, una pianificazione attenta e una gestione responsabile delle risorse è possibile ottenere risultati concreti, capaci di coniugare davvero lo sviluppo umano con la tutela dell’ambiente.”.





