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La tutela dell’ambiente è entrata nella Costituzione

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La riforma appena approvata incorpora la difesa dell’ambiente tra i principi costituzionali, segnando un vero salto etico e culturale. Frutto di un lungo cammino.

L’8 febbraio 2022 diventerà una data simbolo. È il giorno in cui il Parlamento della Repubblica italiana ha lanciato un segnale importante al Paese intero: “la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi” entrano finalmente nella Carta costituzionale, diventando uno dei pilastri del nuovo patto democratico. La proposta di riforma costituzionale, in seconda lettura alla Camera, è passata con 468 voti a favore, un contrario e 6 astenuti. Ancora, l’articolo 1 scolpisce nella pietra costituzionale che la tutela ambientale sarà garantita dalla Carta “anche nell’interesse delle future generazioni”. E tutela costituzionale viene riconosciuta anche al mondo animale, demandando però a una legge ordinaria il compito di disciplinarne modi e forme. Anche questo un salto di qualità, considerato che sino a oggi gli animali sono stati considerati alla stregua di cose, acquisendo rilevanza giuridica solo per problemi di sanità oppure per la lesione del sentimento di pietà e di affezione degli uomini.

Si colma il gap

I tre nuovi articoli stanno appena in una pagina, ma condensano principi che suonano come un salto culturale, giuridico ed etico epocale. Lanciando un segnale di speranza per le generazioni presenti e future. Con questa riforma si completa il lavoro iniziato brillantemente dai Padri costituenti, illustri giuristi e umanisti del calibro di Piero Calamandrei, Giuseppe Dossetti, Arturo Carlo Jemolo e Costantino Mortati, solo per citarne alcuni. Scritta tra il 1946 e il 1947, la Carta aveva altre emergenze, doveva fare posto alle macerie della Grande Guerra e nessuno immaginava di dover trovare spazio anche alla tutela dell’ambiente. Si parlava, genericamente, di paesaggio. Un vuoto normativo diventato oggi intollerabile. Con il voto dell’8 febbraio si colma finalmente il gap.

Il lungo cammino verso la difesa dell’ambiente

Se la portata rivoluzionaria della nostra Costituzione sta innanzitutto nell’art. 1, che sancisce la nascita di una Repubblica democratica fondata sul lavoro, il suo contraltare sono industrializzazione e consumo di massa come modello di sviluppo. Accompagnati, di conseguenza, da una sostanziale deregultation in materia di diritto ambientale. Con risorse ambientali ed ecosistemi sacrificati ad una logica sviluppista, accettata da tutti e messa progressivamente in discussione solo dopo i primi disastri e le prime emergenze, a cominciare dall’incidente di Seveso e quello della centrale nucleare di Chernobyl, nel 1986. Anche il nostro Codice penale, concepito per tutelare vita e beni dei singoli, non prevedeva sostanziale riguardo per le risorse ambientali. Almeno fino alla riforma del 2015, che ha introdotto nel Codice penale il “Titolo VI bis – Delitti contro l’ambiente”, che per la prima volta attribuisce a questa tipologia di reati piena dignità giuridica penale, considerandoli di particolare gravità sociale. Fatto ancora più importante, l’ambiente in quanto tale diventa il vero soggetto tutelato, non più mediato dai danni inferti ai singoli individui. Produzione e consumo hanno garantito negli anni del boom economico un nuovo benessere materiale, elemento di risoluzione di molti conflitti sociali. Forse proprio a questo è dovuta la lentezza con la quale è intervenuta la regolazione in ogni campo, dai rifiuti al rischio idrogeologico, dalla fauna all’inquinamento del suolo e delle acque. Solo con la Riforma del Titolo V del 2001 si apre una piccola breccia nella Costituzione, disponendo che la tutela dell’ambiente diventi una delle competenze dello Stato. Per la cronaca, in quello stesso anno viene introdotto nel sistema normativo ciò che è stato per lungo tempo il primo vero delitto ambientale, l’allora art. 53 bis del decreto Ronchi, poi confluito nel cosiddetto Codice dell’Ambiente (Dlgs 152/2006) all’art. 260 e infine nel Codice penale (art. 452 quaterdecies). Si tratta del delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti. Da quella data i trafficanti di veleni si troveranno di fronte inquirenti dotati di strumenti adeguati per capirne le dinamiche e contrastarle, con la possibilità di utilizzare contro di essi intercettazioni telefoniche e ambientali, rogatorie internazionali, arresti ritardati e tempi di prescrizione più che raddoppiati.

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