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Le opportunità del decommissioning

Piattaforma
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Al largo delle coste abruzzesi, il progetto PLaCE sperimenta soluzioni virtuose per rifunzionalizzare le piattaforme estrattive dismesse, secondo i princìpi dell’economia circolare.

Nel mondo ci sono circa 12.000 piattaforme offshore per l’estrazione di idrocarburi. I mari italiani ne contano appena 124, ma tutte condividono lo stesso destino. In risposta al cambiamento climatico, che incentiva lo sviluppo di soluzioni energetiche sostenibili, il numero delle piattaforme destinate a terminare la produzione crescerà nel prossimo ventennio.

Nuove opportunità di riutilizzo

Rimuovere le piattaforme offshore dall’acqua è incredibilmente costoso e può determinare importanti impatti per l’ecosistema marino. Scienza e Governi si interrogano sulle migliori strategie e il riutilizzo di queste strutture sta creando interessanti opportunità.

Si stima che il mercato globale per lo smantellamento delle piattaforme offshore raggiunga gli 8 miliardi di dollari entro il 2027, con una crescita annua stimata del 7,4%.

Nel mondo si moltiplicano le sperimentazioni per la riconversione delle strutture utilizzate per l’estrazione di idrocarburi dal mare, e nell’ottobre del 2018 è stato avviato anche in Italia un progetto pilota chiamato PLaCE (acronimo di “Conversione di Piattaforme Off Shore per usi multipli eco-sostenibili”; https://bluegrowth-place.eu/), che conta sulla collaborazione di diverse Università ed enti di ricerca italiani. Realizzato come prototipo sulla piattaforma Viviana di proprietà Eni, al largo delle coste abruzzesi, il progetto sperimenta soluzioni che in maniera virtuosa combinano sostenibilità ambientale, processi di decarbonizzazione, rigenerazione dell’ecosistema e produzione di energia sostenibile.

Un esperimento di economia circolare

“Sulla parte emersa della piattaforma sono stati installati sistemi di produzione di energia rinnovabile, mentre nell’area a mare circostante è stato creato un allevamento di natura multi-trofica ecosostenibile, ossia un sistema capace di trasformare i flussi di rifiuti organici degli allevamenti convenzionali in nuovi prodotti” racconta il Professore Antonio Dell’Anno, ecologo e docente di Sostenibilità ambientale all’Università Politecnica delle Marche.

Mitili e ostriche popolano le strutture sospese dell’impianto di allevamento, mentre sul fondale una popolazione di oloturie, note anche come cetrioli di mare, si ciba di sedimento, nutrendosi della materia organica presente e dei prodotti di scarto generati dai mitili e dalle ostriche.

“Nella tradizione di molti Paesi orientali, le oloturie sono un cibo pregiato e su quei mercati raggiungono quotazioni importanti” spiega ancora Dell’Anno. “Nonostante la severa legislazione ne vieti la pesca e la detenzione in Italia, i nostri mari sono oggetto di veri e propri saccheggi. Oltre ad aiutare il ripristino di un ecosistema, allevare le oloturie può rappresentare un volano per le economie locali che vogliano aprirsi a Oriente”.

I principi dell’economia circolare guidano ogni scelta di questa sperimentazione, che non ha sottovalutato alcun aspetto per la riconversione ecosostenibile delle piattaforme. E per ostacolare la fisiologica corrosione delle strutture sommerse, i ricercatori del progetto PLaCE stanno sperimentando una tecnologia di accrescimento minerale. “Due volt di corrente elettrica, fatta passare lungo le strutture metalliche, sono sufficienti per indurre un processo di deposizione di minerali, che lentamente formano una sorta di corazza di carbonato di calcio che proteggerà il metallo dalla corrosione e sarà colonizzata in maniera spontanea da organismi marini, dando origine a una piccola oasi di biodiversità” conclude Dell’Anno.

 

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