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Per far crescere l’economia circolare il riciclo non basta

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L’Europa ha fatto molto per incentivare l’economia circolare. Soprattutto sul fronte della gestione dei rifiuti. Ma riciclo e maggiore efficienza nelle produzioni non bastano per rispettare i planetary boundaries. Parola dell’Agenzia europea per l’ambiente.

L’Europa fa sforzi importanti per passare dal modello lineare di produzione e consumo “prendi-usa-getta” ad un paradigma di economia circolare, che alleggerisca gli impatti del nostro stare al mondo. Ma non basta. A dirlo è l’Agenzia europea per l’ambiente (AEA), con il report Accelerating circular economy in Europe che fa il punto sulle iniziative per l’economia circolare avviate dall’Unione europea e ne pesa i risultati alla luce dei planetary boundaries, i limiti di sopportazione e rigenerazione del pianeta, oltre i quali le nostre azioni diventano ferite per la biosfera. “Nonostante i progressi legislativi compiuti negli ultimi cinque anni – sostiene l’AEA – gli sforzi per trasformare l’economia europea, in gran parte lineare e ‘usa e getta’, in un’economia circolare richiederanno ulteriori azioni coraggiose e una forte attuazione delle misure esistenti”. Un messaggio anche per chi, come il Governo italiano, pensa che il riciclo, in cui siamo forse i più bravi in Europa e nel mondo, possa bastare.

Economia circolare: i risultati raggiunti dall’Europa non sono abbastanza

Negli ultimi anni, l’Unione europea ha registrato progressi positivi verso la circolarità. Ne sono una prova l’aumento dei tassi di riciclo, l’emergere della sharing economy e di altri modelli di business circolari: con un tasso di circolarità che nel 2022 superava l’11%, l’Europa consuma una percentuale di materiali riciclati certamente superiore a quella di altre regioni del mondo. Eppure, è improbabile che si possa raggiungere una riduzione significativa della produzione di rifiuti entro il 2030. Il riciclo è aumentato nel tempo, ma negli ultimi anni i tassi sono rimasti stagnanti. Il consumo totale di materiali, nel 2022, è stato inferiore del 2% rispetto al 2000, mentre il PIL dell’Unione europea è aumentato del 31%; segno di un leggero disaccoppiamento del consumo di risorse dalla crescita economica.

C’è di che gioire, ma senza crogiolarsi: l’AEA ci ricorda che “affidarsi esclusivamente ad aggiustamenti incrementali, correzioni tecnologiche e miglioramenti dell’efficienza all’interno del sistema esistente non sarà sufficiente a ridurre l’uso di materiali e i relativi impatti ambientali a un livello che rispetti i confini planetari”. Non sarà sufficiente, perché in generale “non sono state raggiunte riduzioni assolute delle impronte ambientali. Inoltre, nel tempo, l’aumento dei consumi nelle economie in crescita e gli effetti di rimbalzo possono superare i guadagni di efficienza”. Non tenere conto dei limiti rappresentati dai planetary boundaries è un approccio debole al consumo sostenibile, che non sarà sufficiente a ridurre l’uso assoluto di risorse materiali.

L’economia circolare inizia dal concetto di sufficienza

Oltre all’attuazione delle politiche esistenti, quindi si deve fare di più. Soprattutto, l’economia circolare non si limita alle fasi finali di vita dei beni, quando sono stati già scartati e sono diventati rifiuti. Prima, c’è un mondo fatto di prevenzione, riutilizzo, riparazione. L’AEA sollecita l’introduzione di obiettivi in settori diversi dalla raccolta e dal riciclaggio dei rifiuti, come, in parte, ha fatto il Regolamento imballaggi. Anche se con un relativo disaccoppiamento delle pressioni ambientali dalla crescita economica, l’aumento dei consumi e della produzione continua a portare l’estrazione di risorse a livelli insostenibili, che non possono essere affrontati adeguatamente solo con un aumento del riciclo. AEA sottolinea che è necessario ridurre il consumo di prodotti, ma che le tendenze attuali, nell’Unione europea, vanno purtroppo nella direzione opposta.

La riduzione delle pressioni ambientali derivanti dal consumo sarà ottenuta attraverso azioni che interessano l’intero ciclo del prodotto, ma va comunque data particolare attenzione agli aspetti precedenti al consumo. Si dovrà “consumare meno – sostiene l’AEA – acquistando solo ciò che è necessario e mantenendo i prodotti esistenti in uso più a lungo”. È il concetto di sufficienza: limitare la domanda e l’offerta non necessarie a un livello che non danneggi l’ambiente. Siamo abituati a parlare di efficienza, che riguarda la riduzione degli impatti relativi, cioè l’impatto per prodotto; mentre la sufficienza mira a ridurre il livello assoluto della domanda.

Le misure per aumentare la circolarità dell’economia

L’Agenzia europea per l’ambiente ci dice anche cosa sarebbe utile fare per il necessario scatto di circolarità. Prima di tutto: introdurre obiettivi quantitativi vincolanti per l’economia circolare, in particolare sull’uso delle risorse, come il consumo di materie prime vergini.
Se per la gestione del fine vita dei beni l’Agenzia suggerisce di allargare la responsabilità estesa del produttore ad un maggior numero di prodotti, quanto al riciclo sarà necessario puntare su quello di qualità, sviluppando criteri e una gerarchia. Gli attuali obiettivi di riciclaggio, si concentrano sul peso dei materiali trattati, ma non tengono conto del valore e dell’utilità dei materiali recuperati. Questo può portare a materiali riciclati di bassa qualità, che soddisfano sì gli obiettivi politici attuali, ma che in realtà possono rivelarsi difficili da commercializzare. L’Unione europea dovrebbe introdurre criteri comuni sulla qualità, basati sulle caratteristiche delle materie prime secondarie, sul potenziale di ulteriore riciclo e sull’impatto ambientale del processo di riciclo.  

Un’area critica per la sostenibilità dei beni è la progettazione: stime della Commissione affermano che l’80% di tutti gli impatti ambientali legati ai prodotti sia determinato proprio in questa fase. Sarà allora necessario accelerare l’adozione della progettazione circolare (un primo passo in questa direzione è stato fatto con la direttiva ecodesign). Sono necessari maggiori interventi di sensibilizzazione, educazione e formazione per creare le competenze necessarie per un paradigma economico e sociale circolare. Ma anche per stimolare gli acquisti circolari pubblici e aziendali e sostenere i mercati delle materie prime secondarie.

Un ruolo fondamentale dovrebbe averlo la tassazione: oggi il 52% del gettito fiscale totale nell’Unione europea proviene dalle imposte sul lavoro, mentre le imposte ambientali rappresentano solo il 6%. Un problema con l’invecchiamento della popolazione e la necessità che, sempre più, i prezzi dei prodotti riflettano i loro costi ambientali. Lo spostamento dall’imposta sul reddito verso una maggiore tassazione delle materie prime estratte potrebbe avere effetti positivi. Si dovrà poi lavorare sulla durata dei prodotti, sia dal punto di vista dell’offerta (formazione delle competenze e infrastrutture per il riutilizzo e la riparazione), che della domanda, con incentivi economici e la creazione di condizioni favorevoli per una maggiore condivisione dei prodotti.

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