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Fast fashion: una fonte di microplastiche nell’ambiente

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Ogni anno entrano negli Oceani tra le 200mila e le 500mila tonnellate di microplastiche provenienti dai prodotti tessili. Tra il 16% e il 35%  sono rilasciate dai lavaggi. Un report dell’Agenzia europea dell’ambiente ne studia numeri e misure di prevenzione.

Attenti alla fast fashion. Non solo per lo sfruttamento della mano d’opera a basso costo. Non solo per la quantità di emissioni di anidride carbonica prodotte dal settore della moda speedy o per le sostanze chimiche adoperate per la tintura e il trattamento dei tessuti. E non solo per la rapidità con cui il vestito nuovo si trasforma in rifiuto da smaltire. Ma anche perché le fibre sintetiche sono ormai una fonte acclarata di microplastiche nell’ambiente, con impatti sugli ecosistemi e sulla salute umana ancora in parte da chiarire, e per questo tanto più preoccupanti. L’Agenzia europea dell’ambiente ne sviscera numeri, evidenze e questioni irrisolte nello studio Microplastic pollution from textile consumption in Europe. “Negli ultimi anni – scrive il Centro sull’economia circolare e l’uso delle risorse dell’Agenzia, che ha curato il rapporto – è aumentata la preoccupazione per l’inquinamento da microplastiche nei mari, nella terra e nell’aria. Mentre alcune microplastiche sono prodotte appositamente per applicazioni specifiche, la maggior parte deriva dall’invecchiamento e dal degrado dei prodotti in plastica. Tra le altre fonti, l’uso e il lavaggio di tessuti sintetici è considerato una fonte significativa di microplastiche nell’ambiente, responsabile dello scarico di una quantità di microplastiche negli oceani compresa tra 0,2 e 0,5 milioni di tonnellate all’anno. L’obiettivo di questo rapporto è contribuire a una migliore comprensione del rilascio di microplastiche dai tessuti e dei loro effetti sull’ambiente e sulla salute umana”.

Ogni anno in mare tra 0,2 e 0,5 milioni di tonnellate di microplastiche primarie e secondarie

Misurare le quantità di microplastiche nell’ambiente non è facile, a causa delle numerose fonti primarie e secondarie, della mancanza di metodi di campionamento e di misurazione standardizzati. Le ricerche suggeriscono che sono almeno 14 milioni di tonnellate le microplastiche accumulate sui fondali oceanici e che nei mari entrino ogni anno un milione e mezzo di tonnellate in più. Le microplastiche secondarie sono, per intenderci, quelle che si formano dalla disgregazione nell’ambiente di oggetti di plastica più grandi, come rifiuti di plastica gestiti in modo scorretto o plastica proveniente da discariche a cielo aperto. Le microplastiche primarie, invece, sono rilasciate direttamente nell’ambiente come particelle di plastica. L’Agenzia europea per le sostanze chimiche stima che ogni anno in Europa vengano utilizzate 145.000 tonnellate di microplastiche prodotte deliberatamente per essere aggiunte ad alcuni prodotti, ad esempio come stabilizzatori o glitter nei cosmetici o come materiali granulari nei campi sportivi in erba artificiale. Ma possono anche essere generate da fuoriuscite durante la produzione, dall’usura dei prodotti in plastica durante l’uso, come l’abrasione degli pneumatici delle automobili, dallo sfaldamento di vernici e rivestimenti o dal lavaggio o dall’uso, appunto, di tessuti sintetici. Questi ultimi sono una delle principali fonti di inquinamento da microplastiche, in questo caso definite microfibre in considerazione della loro forma. Ogni anno entrano nell’ambiente marino tra le 200.000 e le 500.000 tonnellate di microplastiche provenienti da prodotti tessili. E una quota compresa tra il 16 e il 35% proviene proprio dal lavaggio di tessuti sintetici. In Europa, dove la maggior parte delle famiglie è collegata a un sistema di trattamento delle acque reflue, si stima che ogni anno vengano rilasciate nelle acque superficiali 13.000 tonnellate di microfibre tessili, pari a 25 grammi per persona: l’8% del totale dei rilasci primari di microplastiche nelle acque. Le microfibre, infatti, non vengono trattenute dalle lavatrici, ma passano nelle acque di scarico. Gli impianti di trattamento delle acque reflue ne filtrano buona parte ma non tutte. E se non esistono sistemi di trattamento adeguati, le microplastiche vengono emesse nell’ambiente acquatico. Sono in corso numerose ricerche per chiarire i parametri di lavaggio che causano lo spargimento di microfibre. Alcuni studi hanno evidenziato che il loro rilascio è particolarmente elevato durante i primi lavaggi dei capi nuovi. Il che significa che la fast fashion, fatta di indumenti che contengono un’alta percentuale di fibre sintetiche, utilizzati per un breve periodo e sostituiti spesso, è responsabile di un rilascio elevato di microfibre.

Produzioni sostenibili, controllo del rilascio e trattamento delle acque

Tra le misure per ridurre al minimo il rilascio di microplastiche dai prodotti tessili, c’è la produzione di lavatrici con filtri in grado di ridurre il rilascio fino all’80%. La Francia, nel 2020, è stata il primo Paese a introdurre l’obbligo di dotare tutte le lavatrici di un filtro dedicato alle microfibre a partire dal gennaio 2025. Le acque reflue sono considerate la via principale per la dispersione nell’ambiente acquatico delle microfibre, ma queste vengono emesse anche durante la produzione tessile, l’utilizzo degli indumenti e il loro smaltimento a fine vita, disperdendosi nell’aria e depositandosi nel suolo. Secondo uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico fino al 65% delle microplastiche può essere emesso nell’ambiente aereo durante l’asciugatura e l’uso degli indumenti. Tra le misure di prevenzione europee allo studio, quella di favorire la produzione di tessuti in fibre naturali. Ipotesi che ha sollevato forti dubbi perché le fibre sintetiche costituiscono attualmente circa il 60% delle fibre tessili utilizzate. Ma l’Unione Europea punta anche sul miglioramento dello smaltimento e del trattamento delle acque reflue. Esistono infatti tecnologie in grado di rimuovere fino al 98% degli effluenti dalle acque, ma solo il 56% delle famiglie europee è collegato a processi di trattamento ad alte prestazioni. Da cui comunque rimangono fuori le particelle più piccole di 0,02 millimetri. La maggior parte delle microplastiche rimosse dalle acque reflue finisce nei fanghi di depurazione, che sono spesso utilizzati come fertilizzanti agricoli in tutta Europa e rappresentano un’importante via di ingresso delle microplastiche negli ecosistemi acquatici e terrestri. È necessario, pertanto, regolamentare il trattamento e l’uso dei fanghi tenendo conto delle microplastiche, per impedirne la diffusione.

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