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A Livorno si sperimenta la riforestazione marina sostenibile

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La riforestazione della poseidonia oceanica è fondamentale nella tutela degli ecosistemi marini. Ispra e Università di Pisa collaborano ad un progetto che utilizza geostuoie in bioplastica, a impatto zero.

Inquinamento delle acque provocato dallo sversamento di sostanze nocive, ancoraggi, pesca a strascico e invasione delle micro-plastiche mettono seriamente a rischio la sopravvivenza della poseidonia oceanica in molte aree del Mediterraneo. Questa pianta marina ha un ruolo fondamentale nella conservazione degli ecosistemi, grazie alla sua azione di cattura della CO2. Senza contare che le sue estese praterie offrono rifugio ai pesci, consolidano il fondale, smorzano le correnti prevenendo l’erosione costiera. La riforestazione sottomarina che a volte si rende necessaria non è facile. Ma qualcuno ci prova. A Livorno un progetto che vede coinvolti il Dipartimento di Ingegneria civile e industriale e quello di Biologia dell’Università di Pisa, Ispra, l’azienda tessile Coatyarn e l’Azienda Servizi Ambiente (ASA) di Livorno ha proprio l’obiettivo di realizzare e validare un dispositivo per il restauro delle praterie di posidonia all’isola d’Elba. La professoressa Maurizia Seggiani, che coordina il gruppo di ricerca del Dipartimento di Ingegneria civile e industriale, ci ha parlato del progetto.

Professoressa Seggiani, da dove siete partiti?

“Da subito uno dei primi problemi che ci siamo posti è stato quello dei supporti da impiegare per la forestazione e il radicamento delle talee, che dovevano essere ecosostenibili, in grado di degradarsi in ambiente marino a velocità controllata. I primi test si stanno svolgendo in una vasca dell’Acquario di Livorno dove è stata posizionata una geo-stuoia, una rete di monofilamenti in bioplastica che si degrada in un tempo di circa due anni, sufficienti per il radicamento delle talee. Una soluzione sostenibile, che evita il problema dell’inquinamento da plastica e quello delle reti abbandonate in cui gli animali rimangono intrappolati”.

Quale materiale avete scelto per le geo-stuoie?

“Si tratta di una bioplastica già presente in commercio, il polibutilene succinato-co-adipato (PBSA), utilizzato in diversi casi in sostituzione alla plastica tradizionale, ma ad oggi mai per applicazioni di restauro marino come questa. I test che stiamo facendo sono finalizzati a verificare come si degrada nel tempo e come procede la crescita delle talee. La collaborazione con il Dipartimento di Biologia è proprio finalizzata a individuare quali microrganismi marini sono coinvolti nella biodegradazione della bio-plastica e verificarne i tempi di azione”.

Oltre alla riforestazione della poseidonia queste geo-stuoie avranno altre applicazioni? 

“A mio avviso le potenzialità di impiego delle reti in bioplastica sono molto ampie: nell’itticoltura, nei cosiddetti orti marini o in ambito terrestre, per esempio per consolidare terreni franosi, in sostituzione delle tradizionali geostuoie contenenti plastica. Avere un materiale in grado di essere biodegradato in ambienti naturali una volta svolta la sua funzione contribuisce a ridurre l’inquinamento da plastica e la dispersione di microplastiche nell’ambiente”.

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Redazione

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