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L’Unione europea punisce la Polonia

Miniera Turow
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Il Paese è stato di recente condannato dalla Corte di Giustizia dell’Unione a versare 500 mila euro al giorno nel bilancio europeo finché non interromperà l’estrazione di lignite nella miniera di Turów, al confine con Germania e Repubblica Ceca

Negli ultimi anni è cresciuto l’impegno da parte dell’Unione europea per raggiungere il traguardo della neutralità carbonica, le cosiddette emissioni zero, entro il 2050. Così da porre fine all’utilizzo di un combustibile altamente inquinante, dannoso per la salute e che rappresenta la prima fonte di emissioni di CO2, principale causa del riscaldamento globale. Non sorprende, dunque, che l’operato degli Stati membri in termini di produzione e uso del carbone sia sotto i riflettori. E’ il caso della Polonia, di recente condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione a versare 500mila euro al giorno nel bilancio europeo finché non interromperà l’estrazione di lignite dalla miniera di Turów, al confine con Germania e Repubblica Ceca. La miniera, le cui attività sono altamente inquinanti anche per i territori dei paesi limitrofi, avrebbe dovuto chiudere i battenti nel 2020; Varsavia ha però deciso di prolungarne lo sfruttamento fino al 2044, senza valutare l’impatto ambientale di questa decisione. Scatenando le ire di Bruxelles e della Repubblica Ceca.

La Polonia pecora nera in Europa

La Polonia ospita il maggior numero di miniere di carbone del Vecchio Continente dopo la Germania. E secondo dati Eurostat, è responsabile, da sola, di oltre il 10% delle emissioni di anidride carbonica in Europa, con più di 50mila morti ogni anno dovuti all’inquinamento ambientale. L’area di Turów è soprannominata il triangolo nero: impiega più di 5mila minatori e i suoi giacimenti carboniferi producono circa 7,5 milioni di tonnellate di lignite all’anno, che forniscono energia a 3,7 milioni di persone. Un’attività che negli ultimi anni ha portato un netto peggioramento della qualità dell’aria, rendendo impossibili agricoltura e allevamento. Le attività del complesso hanno inoltre prosciugato le falde idriche di Frýdlant, cittadina turistica di 30 mila abitanti in Repubblica Ceca. Negli ultimi anni la Polonia è andata in controtendenza rispetto alle decisioni Ue in materia climatica. Si tratta, infatti, dell’unico Paese europeo che continua a progettare nuovi impianti e nuove miniere, in particolare di lignite. Il motivo è presto detto, se si considera che il paese soddisfa l’80% del suo fabbisogno energetico nazionale con le centrali a carbone. Gli attivisti da anni denunciano come in Polonia non esista alcuna strategia per aumentare l’efficienza energetica o migliorare la sostenibilità dei carburanti, mentre le energie rinnovabili vengono addirittura ostacolate. La sanzione comminata dalla Corte di Giustizia europea potrebbe dunque rappresentare la prima di una serie di misure promosse dalla Commissione per spingere la Polonia ad assumersi maggiori responsabilità e mettere in atto azioni più incisive per contrastare il cambiamento climatico.

Un problema europeo

Anche nel resto d’Europa il tema è molto sentito. Il rapporto “Comply or Close”, realizzato dal Centre for Research on Energy and Clean Air, evidenzia ad esempio come le 18 centrali a carbone dei Balcani, da sole, producano due volte e mezza più biossido di zolfo dei 221 impianti analoghi attivi nell’Unione europea, sforando di sei volte i limiti Ue sull’inquinamento atmosferico. Una situazione che ha causato quasi 20mila morti premature negli ultimi tre anni, buona parte delle quali in Paesi confinanti come l’Italia, dove invece il Governo è impegnato nella transizione ecologica. Con il Next Generation EU e prima con il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) procede verso il target net-zero, prevedendo la chiusura di otto centrali elettriche a carbone presenti sul territorio nazionale entro il 2025 e la loro sostituzione con nuove centrali a gas per una capacità complessiva di 14 GW.

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