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Paesaggi commestibili: progettare città che si coltivano e si mangiano

Paesaggi commestibili: una donna tiene in mano una tazza con della terra e un germoglio
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I paesaggi urbani commestibili inglobano, nella loro definizione, uno spettro variegato di
declinazioni. A seconda del contesto sociale, geografico, storico e/o economico, l’accezione del termine può essere leggermente differente ma, in genere, si tratta sempre di produrre cibo entro il perimetro cittadino. L’elemento produttivo è quello che contraddistingue i paesaggi commestibili dagli altri spazi verdi urbani.

Tra i progetti di paesaggio commestibile degni di nota abbiamo quello firmato dagli agricoltori Federico Chierico e Federico Rial. La loro azienda, Paysage à manger, è stata fondata nel 2014. L’idea della commestibilità deriva dalla riproposizione di pratiche agricole, tramandate dalla tradizione delle comunità locali e mai intaccata dal trascorrere del tempo. Un territorio, a detta dei due coltivatori, si può descrivere sulla base di quel che produce. Paysage sorge al confine tra Valle d’Aosta e Francia, nella valle del Lys, con il preciso scopo di riscoprire e tutelare la coltivazione ad alta quota di molteplici varietà di patate antiche. Si tratta di specie un tempo molto diffuse, ma oggi poco remunerative sul mercato.

L’idea di Chierico e Rial è quella di produrre determinate specie di tuberi, all’interno della loro zona d’origine, secondo modalità antiche. Legando a un ambiente un prodotto tradizionale, caratteristico e da sempre figlio di quella terra, si origina un paesaggio commestibile. Geografia e gastronomia unite possono dare origini a città coltivabili, nel segno del rispetto ambientale.

Cosa sono i paesaggi commestibili e qual è la loro importanza?

Iniziative come quella di Paysage à manger, esplicitamente economiche, puntano alla valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici dei vari luoghi di origine. In questo modo, si può disporre di un prodotto esclusivo da lanciare sul mercato. Operare in tal maniera valorizza le produzioni locali e genera assetti economici esclusivi durante un’era di globalizzazione, nella quale è piuttosto difficile mettere in risalto l’unicità. Nonostante queste intenzioni, ad ogni modo, simili iniziative devono poi fare i conti con lo spietato circuito commerciale globale. Grande Distribuzione Organizzata ed e-commerce contribuiscono allo smarrimento dell’aderenza ai luoghi di partenza.

Il ripristino del rapporto tra area produttiva e consumo, oltre che l’incentivazione dell’autoconsumo, ovvero dell’impiattamento di ingredienti locali, rappresenta un percorso ideale per tutelare benessere e unicità. La realizzazione di paesaggi commestibili, che rilancino le specialità alimentari autoctone, può influire sul flusso dei movimenti di merci, in entrata e in uscita. La dimensione paesaggistica e quella enogastronomica sono coniugabili. Il paesaggio commestibile si pone come un incubatore a questo obiettivo. Tanto dal punto di vista turistico, quanto da quello ambientale, è possibile fare leva sulla cucina tipica per offrire un prodotto gradevole all’ecologista, al buongustaio e al visitatore.

Il concetto di edible landscape

In urbanistica si parla ormai da qualche anno di edible landscape. La traduzione letterale di questa espressione inglese è proprio paesaggio commestibile ma, spesso, la si traduce con giardino commestibile. Sposando un’ottica di sostenibilità con una di auto-produzione, è possibile realizzare un giardino ricco di specie vegetali commestibili, che siano anche ornamentali. Le più diffuse tipologie di edible landscapes sono quelle della foresta-bosco, un sistema che imita gli ecosistemi delle macchie boschive e rende il giardino commestibile completamente autosufficiente, o della tecnica delle consociazioni, la quale punta a sfruttare i benefici naturali di specie diverse, poste l’una accanto all’altra.

Questa strategia è generalmente la preferita quando si deve realizzare un giardino commestibile urbano. Le condizioni climatiche cittadine, infatti, possono portare a situazioni di stress per il verde e mettere a rischio la salute di parchi e aiuole. Alternare fiori a piante da frutto si dimostra uno stratagemma davvero funzionale per ovviare a questo rischio. La consociazione favorisce l’impollinazione e si dimostra molto efficace nella tutela di un’area naturalistica nel nucleo urbano. Non solo consente di godere di un appagante effetto visivo ma porta con sé anche un aspetto funzionale positivo e non trascurabile.

Benefici sulla sicurezza alimentare e la coesione sociale

La piantumazione di specie vegetali edibili, a due passi dalle abitazioni delle persone, porta anche vantaggi di tipo meno diretto. Si pensi, per esempio, a che cosa possa comportare la presenza di frutta e verdura ai margini o all’interno di un nucleo urbano.

I residenti potrebbero cogliere con le proprie mani i frutti della terra e gustarli immediatamente, o quasi. Ciò consentirebbe di beneficiare di tutti i vantaggi dell’agricoltura a chilometro zero (qualora la frutta o la verdura colta abbiano avuto modo di crescere e maturare in condizioni ottimali e riconducibili a quelle di un’azienda agricola, naturalmente. Il ragionamento non riguarda i meli posizionati al centro delle rotatorie più affollate delle città ove viviamo), guadagnandone in termini di sicurezza alimentare.

C’è poi da tenere in considerazione cosa possa significare, per una comunità, prendersi cura di un giardino, un orto o un boschetto di alberi da frutto. Collaborare alla maturazione di frutta o verdura significa pazientare assieme, dividersi i compiti e ricoprire di attenzioni e premure altri esseri viventi, per il bene comune. Non sarà soltanto il singolo annaffiatore a godere del suo lavoro, bensì anche i suoi vicini di casa. La coesione sociale non potrà che risentirne positivamente e questo non è certo sottovalutabile in un’epoca di fortissimo individualismo come quella che stiamo vivendo.

Paesaggi commestibili: una coccinella sulle foglie di un orto urbano
Integrare paesaggi commestibili in città è un modo di tutelare la biodiversità e reintrodurre specie che l’inurbazione ha allontanato

Integrazione dell’agricoltura urbana nel contesto cittadino

A molti sembra ancora inusuale integrare rosmarino, pomodoro e altre specie da frutto nel contesto urbano. Non siamo abituati a vedere piante di questo tipo nei giardini che decorano piazze e viali. Ci occorre un cambio di paradigma. Abbiamo sempre pensato che gli spazi verdi urbani debbano essere solo ed esclusivamente decorativi. C’è invece da considerare che si tratta di aree in grado di portare frutto, fornendo cibo e sostegno. Creare nicchie agricole in città, aumentando la superficie coltivabile, può avvicinare il passante al consumo dei frutti della terra, non processati, diffondendo un’alimentazione sana, a filiera cortissima e molto meno impattante sull’ambiente.

Gli esempi virtuosi di orti urbani, giardini condivisi e vertical farming

La pratica dell’autoconsumo comporta un consolidamento del legame tra l’abitante che vive un’area e gli spazi inedificati del suo territorio. Essi non devono necessariamente essere lasciati al solo scopo di decoro urbano. Si possono riconvertire in lotti dedicati a micro-produzioni, com’è il caso dei cosiddetti orti urbani, o insediarci giardini condivisi, più estesi e che abbiano bisogno di essere curati dalla collettività. Anche gli spazi trasformati dall’azione antropica possono ospitare la natura: pensiamo al vertical farming su terrazze e all’interno di coperture protette e coltivate.

Questi tre esempi virtuosi sono chiare rappresentazioni del potenziale dei paesaggi commestibili. Cartoline come queste possono rilanciare la filiera corta, valorizzando le unicità e le eccellenze di ogni territorio. Una diffusione su larga scala degli edible landscapes legherebbe in maniera vigorosa le peculiarità naturalistiche ed enogastronomiche locali e rappresenterebbe un modo di proteggere e rafforzare la biodiversità. È possibile aumentare l’offerta turistica facendo del bene all’ambiente. Questa configurazione urbana ce ne dà la possibilità.

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Mattia Mezzetti

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