Chiudi
Cerca nel sito:

Rischio ecotossicologico: i vantaggi della caratterizzazione multidisciplinare integrata

fiume Tirino
Condividi l'articolo

Valutare la reale pericolosità per gli ecosistemi delle sostanze chimiche presenti nei suoli e nei sedimenti è fondamentale nella progettazione di un intervento di bonifica. Per far questo è necessario adottare un approccio multidisciplinare integrato. 

Le fonti di stress antropogenico sugli ecosistemi acquatici sono aumentate notevolmente negli ultimi decenni, sia in termini di input che di sostanze chimiche coinvolte. L’origine di questa problematica è legata soprattutto agli insediamenti urbani e industriali che, direttamente o indirettamente, causano in alcune aree la contaminazione di suoli e sedimenti, con effetti negativi sugli ecosistemi, sia nelle loro componenti abiotiche che biotiche, causando problemi di protezione ambientale e di sicurezza alimentare.

Il monitoraggio degli inquinanti: il vantaggio della caratterizzazione multidisciplinare integrata 

In uno scenario così complesso, i piani di monitoraggio previsti nelle operazioni di bonifica devono essere tarati con l’obiettivo di valutare la reale pericolosità per gli ecosistemi di suoli e sedimenti considerati inquinati, come anche l’impatto delle attività di dragaggio e smaltimento. Il concetto di monitoraggio, negli ultimi anni, si è evoluto dall’approccio originale, incentrato sulla valutazione delle sostanze chimiche presenti nelle matrici abiotiche, verso una procedura più integrata, che include la valutazione degli effetti degli inquinanti sul biota (ossia il complesso degli organismi che occupano un determinato spazio all’interno dell’ecosistema), a vari livelli di organizzazione biologica. Per comprendere in maniera opportuna la pericolosità delle matrici sedimento e suolo, più che la determinazione dei contaminanti in esse presenti, è infatti fondamentale la valutazione della loro effettiva biodisponibilità, ossia la quantità di contaminante che può essere assorbita dagli organismi viventi presenti in quel determinato comparto ambientale. In quest’ottica quindi, l’ambito delle indagini si è accresciuto in direzione multidisciplinare e in una prima fase le analisi chimico-fisiche sono state affiancate da test ecotossicologici nelle matrici acqua e sedimenti, cioè da valutazioni finalizzate a verificare se un composto potenzialmente tossico o una matrice ambientale causa una risposta biologica rilevante negli organismi utilizzati per il test. 

Caratterizzazione multidisciplinare integrata: l’approccio TRIAD 

Uno dei primi esempi di caratterizzazione multidisciplinare integrata della qualità dei sedimenti è stato l’approccio TRIAD di Chapman, basato su: 

  • analisi della chimica dei sedimenti
  • saggi ecotossicologici
  • studio delle comunità bentoniche elaborate attraverso una serie di prove (WOE, weight of evidence), assegnando un peso diverso alle varie linee di analisi (LOE, line of evidence). 

Il vantaggio rilevante della caratterizzazione integrata proposta da Chapman è rappresentato dal miglioramento delle capacità di interpretare e descrivere le alterazioni dell’ambiente; sebbene la quantificazione dei contaminanti nelle matrici abiotiche (LOE 1) sia una procedura chiave, di per sé non fornisce informazioni sulla biodisponibilità e sugli effetti degli inquinanti negli organismi. Queste informazioni si possono in parte ottenere tramite l’uso di batterie di saggi ecotossicologici (LOE 2), che permettono di quantificare gli effetti biologici acuti sulle specie che hanno una differente posizione nella catena alimentare, esposti al sinergismo delle miscele di sostanze chimiche presenti nel materiale considerato. Il terzo LOE del TRIAD di Chapman ha introdotto la possibilità di ottenere informazioni da livelli superiori della scala ecologica, in modo da valutare i possibili effetti a lungo termine ed ecologicamente rilevanti nei materiali da bonificare, ma anche effetti precoci sugli organismi, ai fini di evitare danni irreversibili sulle popolazioni e sulle comunità ecologiche. Gradualmente, quindi, si è affermato il principio secondo il quale la valutazione dello stato di salute di un ecosistema rappresenta un problema complesso, che non può essere risolto con analisi monodimensionali o che riguardano un solo livello ecologico. Identificare le classi di inquinanti presenti in un determinato ambiente non è infatti sufficiente, occorre valutare gli effetti delle loro interazioni con le componenti biologiche, nel tentativo di fornire risposte dose-dipendenti, valutare cioè la proporzionalità delle risposte osservate rispetto ai livelli di inquinamento dell’ambiente naturale. 

Cos’è l’approccio ecotossicologico integrato 

La sfida nella bonifica dei siti contaminati è legata ad uno dei problemi più importanti da affrontare negli studi di ecotossicologia, che riguarda la valutazione del rischio tossicologico di composti inquinanti sulle comunità naturali. La moderna tossicologia ambientale ha gradualmente introdotto nelle indagini di biomonitoring, basate sulla stima dei livelli di residui negli organismi bioindicatori, un nuovo approccio metodologico basato sulla valutazione delle risposte che un organismo, una popolazione o una comunità può generare, nei confronti di uno stress chimico ambientale. Ciascuna di queste risposte, definite come biomarker, rappresenta un segnale del livello di contaminazione di un’area e costituisce un indicatore del livello di rischio tossicologico a cui una determinata popolazione naturale può essere sottoposta. Lo studio dei biomarker, misurando la subletalità degli effetti biologici, consente una valutazione di allerta precoce al livello molecolare, cellulare e funzionale, evidenziandone le alterazioni e permettendo di sviluppare meccanismi di azione prognostici, per evitare l’insorgenza di eventi avversi a più alti livelli di organizzazione biologica. L’approccio ecotossicologico integrato (AEI) è basato su: 

  • analisi chimico-fisiche sulla colonna d’acqua; 
  • analisi chimico-fisiche e saggi ecotossicologici sui sedimenti superficiali; 
  • studio del bioaccumulo nella fauna ittica; 
  • studio di biomarker di stress e/o di danno. 

Il bioaccumulo di sostanze chimiche negli organismi selvatici o trapiantati fornisce informazioni sulla biodisponibilità dei contaminanti eventualmente presenti. I risultati del bioaccumulo necessitano di una valutazione accurata; l’arricchimento di una sostanza negli organismi viventi è infatti legata a molti fattori:

  • l’età degli organismi considerati, che corrisponde al tempo di esposizione; 
  • la fase del ciclo biologico; 
  • il sesso; 
  • il livello trofico, ossia la posizione nella catena alimentare, che determina livelli diversi di biomagnificazione. 

La valutazione del rischio ecotossicologico nel SIN di Bussi sul Tirino 

L’impiego di un approccio multidisciplinare mediante strategie integrate è oggi raccomandato da diverse agenzie internazionali, come OSPAR, HELCOM, MEDPOL e CIEM, ed è stato fortemente incoraggiato da Direttive Europee come la Direttiva quadro sulla strategia marina (Direttiva 2008/56/CE) e la Direttiva quadro sulle acque (Direttiva 2000/60/CE). Anche la recente normativa italiana sulla classificazione della qualità dei sedimenti (DM 173/2016) ha introdotto l’obbligo legale di integrazione della caratterizzazione chimica ed ecotossicologica dei materiali per definire la migliore opzione di gestione. All’interno del SIN di Bussi sul Tirino è stato proposto uno studio ecotossicologico per il fiume Tirino, con un approccio multidisciplinare che prevede quattro linee di evidenza (LOE), lo studio della chimica dei sedimenti e dell’acqua, il bioaccumulo in alcune specie di pesci, l’utilizzo di batterie di saggi ecotossicologici nei sedimenti, nelle acque interstiziali e nell’elutriato. La valutazione della presenza di diossine e composti diossino-simili verrà effettuata anche mediante lo studio di un biomarker specifico (LOE-4): il bioassay cellulare DR CALUX (Dioxin response chemically activated luciferase gene expression) applicato sui sedimenti e sulla fauna ittica. Le cellule DR CALUX® (linea cellulare di epatoma di ratto, H4IIE), frutto di ingegnerizzazione genetica con specifici recettori che utilizzano la luciferasi (enzima ottenuto dalla lucciola Photinus pyralis), sono in grado di produrre luce in modo reattivo alla dose, quando esposte a specifiche classi di sostanze chimiche. Il contatto delle cellule CALUX® con specifici composti o gruppi di composti che hanno la stessa modalità di azione delle policlorodibenzo(p)diossine (PCDD), policlorodibenzofurani (PCDF) e policlorobifenili diossino-simili (PCB-dl) determina una risposta cellulare specifica, che viene segnalata e quantificata dall’emissione di luce. L’ingegnerizzazione con il gene reporter della luciferasi permette al saggio CALUX® una selettività e una rilevanza biologica che non possono essere eguagliate dalle tecniche analitiche strumentali. In conclusione, la valutazione degli impatti ambientali nei sistemi complessi richiede approcci multidisciplinari e olistici, integrando diverse tipologie di dati che vanno dalla caratterizzazione chimica dei substrati, ai loro effetti a vari livelli di organizzazione biologica. Le aree da bonificare si collocano in quest’ottica e tra i diversi strumenti integrativi oggi disponibili, l’approccio WOE ha ottenuto un consenso rilevante, data l’attendibilità scientifica e la trasparenza del processo che rende possibile comprendere il significato dei dati provenienti dalle diverse tipologie di indagini. La sfida nelle bonifiche è quella di individuare tecniche e metodi che permettano di rimuovere e smaltire i materiali, valutando la reale pericolosità delle matrici ambientali coinvolte, nell’ottica di evitare di compiere azioni negative per l’ecosistema.

Ultime Notizie

Cerca nel sito