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Sedimenti contaminati: quando intervenire

sedimenti inquinati
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Urbanizzazione e industrializzazione hanno provocato in molti casi l’inquinamento di molti tratti costieri e fluviali. Aree di grande complessità perché i sedimenti, a contatto con le acque, possono diventare veicolo di trasmissione della contaminazione. Ecco quali indagini è necessario fare per capire quando e come intervenire.

Con il termine sedimenti si intende la frazione media e fine (dimensione delle particelle minore cioè di 2 mm) del materiale organico e inorganico depositato al fondo di bacini acquatici, usualmente sommerso o comunque a contatto con l’acqua. I materiali depositati in occasioni di piene, ovvero da corsi d’acqua effimeri, non sono considerati sedimenti, perchè soggetti ad alterazioni fisiche, chimiche, biologiche e antropiche. In Italia la fascia costiera e il delta dei fiumi sono stati sottoposti a sfruttamento economico e urbanizzazione e i sedimenti sono diventati in molti casi i recettori finali delle sostanze contaminanti provenienti dalle attività antropiche, soprattutto nei pressi dei porti e delle aree industriali. Si tratta di aree che presentano una grande complessità e diversità, per le quali il campionamento e lo studio dei sedimenti è di fondamentale importanza per effettuare una stima quantitativa e qualitativa dei volumi di sedimenti contaminati e definire eventuali interventi di bonifica.

Sedimenti contaminati o inquinati?

Si considera contaminato quel sedimento nel quale sono presenti sostanze normalmente assenti, o presenti in concentrazioni superiori ai valori di fondo. Mentre il sedimento si considera inquinato quando i contaminati si trovano in misura tale da causare effetti biologici avversi sulle varie componenti dell’ecosistema. La chimica può evidenziare solo lo stato di contaminazione; per determinare lo stato d’inquinamento è necessario attivare molteplici linee di evidenza e attribuire un peso relativo a ciascuna linea. Fermo restando, comunque, che il nesso di causalità tra contaminazione ed effetti non è scontato, perché possono entrare in gioco altri fattori di stress e possibili sinergie fra i contaminanti, che non vengono considerate nelle valutazioni tabellari. Dato che in materia di inquinamento dei sedimenti fluviali manca una normativa organica di riferimento, nel giugno 2009 Ispra ha pubblicato “Proposta per la valutazione dello stato qualitativo dei sedimenti fluviali nel Sito di interesse nazionale Fiumi Saline e Alento”, che introduce i livelli chimici di riferimento (LCR), ossia le concentrazioni di riferimento per ogni singolo contaminante. Analogamente a quanto si verifica per le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) fissate per i suoli dal D.Lgs. 152/06, il valore degli LRC concorre ad individuare i tratti di alveo da sottoporre ad interventi di bonifica. È però opportuno evidenziare come i livelli chimici di riferimento non siano direttamente correlabili con la tossicità del sedimento, per la cui determinazione sono necessarie indagini eco-tossicologiche specifiche per il sito indagato.

Quali indagini effettuare sulla qualità dei sedimenti

Il primo passo da effettuare per analizzare la qualità dei sedimenti è la caratterizzazione, impiegata per:

  • determinare la presenza di uno o più contaminanti in un’area;
  • determinare la baseline, cioè la qualità dei sedimenti di un corpo idrico in un determinato momento, utile per confrontare i monitoraggi futuri;
  • valutare l’andamento, nel tempo, della qualità ambientale di un’area;
  • bonificare i sedimenti contaminati “in situ” o pianificare la loro rimozione.

In caso di alterazioni, spetta alle Regioni l’obbligo di effettuare un monitoraggio almeno annuale dei sedimenti, che includa per i primi 2 anni test eco-tossicologici a breve e a lungo termine, nonché le indagini ritenute utili a valutare eventuali rischi per la salute umana associati al superamento eventualmente riscontrato. Occorre considerare che un sedimento risulta pericoloso nel caso presenti un superamento dei limiti anche di un solo parametro per una sola classe di pericolosità (chimico fisica o tossicologica). Le analisi di pericolosità per composti legati alla presenza di metalli pesanti sono complesse e costose, per cui vengono eseguite solo nel caso in cui venga superato il limite della concentrazione massima ammissibile, che considera come soglia di riferimento quella della specie più pericolosa. Ad esempio, la soglia di pericolosità per il mercurio e il nichel è pari a 600 mg/kg di sostanza secca, mentre per il piombo è pari a 1600 mg/kg di sostanza secca. Nel caso di riscontrata pericolosità è possibile applicare una procedura d’urgenza per la messa in sicurezza della popolazione: in tale situazione il presidente della Regione, quello della provincia o il sindaco possono emettere ordinanze urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela dell’ambiente. In via cautelativa, dunque, i materiali vengono assimilati a rifiuti e il loro deposito considerato come una discarica, per la quale è possibile derogare solo alla normativa sui rifiuti e non quella sulla tutela ambientale. È cioè necessario che il deposito dei materiali movimentati sia tale da non provocare fenomeni di inquinamento delle varie matrici ambientali.

I saggi ecotossicologici

La potenziale tossicità di un materiale (naturale e/o sintetico) può essere accertata utilizzando una batteria di saggi ecotossicologici, poiché nessun singolo modello sperimentale è in grado di garantire in assoluto, da solo, la rappresentatività dei risultati per tutte le possibili tipologie di matrici e/o sostanze. Resta, quindi, il problema di verificare quale batteria di saggi ecotossicologici si riveli più efficace, nel rispetto dei requisiti di scientificità e praticità. In ogni caso la batteria di saggi biologici deve presentare le seguenti caratteristiche:

  • deve essere costituita da almeno 3 specie di organismi;
  • gli stadi vitali delle specie selezionate devono essere ben distinti e appartenere a livelli funzionali diversi, selezionati tra un produttore primario vegetale, un decompositore/saprofita, un detritivoro/filtratore, un consumatore propriamente detto;
  • deve inoltre essere in grado di valutare il maggior numero di forme di inquinamento possibile.

L’uso di organismi viventi come indicatori (bioindicatori) può essere infatti un valido strumento per ottenere dati sia sull’inquinamento che sulla qualità dell’ambiente, in grado di mostrare sia gli effetti combinati di diversi inquinanti sugli esseri viventi, sia le concentrazioni medie degli inquinanti su aree vaste. Questo, grazie alla capacità di alcuni organismi di fungere da “integratori” di dati.

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