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Sfruttamento risorse: metteremo a rischio la vita sulla Terra?

Isola di Pasqua
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Uno sfruttamento delle risorse eccessivo potrebbe mettere e rischio la vita sul pianeta. La scomparsa di intere civiltà nel passato, legata ai cambiamenti ambientali e a uno sviluppo non sostenibile, ci invita a riflettere.

La maggior parte delle persone ritiene che l’uomo non potrà mai danneggiare il pianeta in cui vive in maniera tale da compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare le proprie necessità. Una caratteristica alla base del concetto di sviluppo sostenibile, così come definito nel Rapporto Bruntland (World Commission for Economic Development, 1987): “quello sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare le proprie necessità”.

Le azioni dell’uomo, dunque, potranno mai mettere a rischio il pianeta e, soprattutto, la vita che ospita? Per rispondere a questa domanda proviamo a vedere cosa è successo nel passato, considerando la scomparsa di intere civiltà. Chiunque abbia visto gli edifici abbandonati dei Maya, la cui storia ha inizio intorno al 1500 a.C. nell’area meridionale del Messico e nel Guatemala, o quelli degli Anasazi, un popolo nativo del Nord America vissuto tra il VII secolo e la fine del XIV secolo d.C. si sarà domandato come sono scomparse le società che eressero quelle strutture.

I Maya hanno dominato buona parte dell’America Centrale per due millenni, scomparendo poi intorno al 900 d.C. La loro maggiore espansione demografica è avvenuta fra il 250 e il 750 d.C., con una popolazione che superava i 10 milioni di individui. Qualcosa però interruppe questa espansione e cancellò la civiltà Maya nel giro di pochi decenni. Le loro città, ricche di monumenti come le grandi piramidi, furono progressivamente abbandonate e vennero invase dalla giungla.

Cosa era accaduto? Fra le teorie che cercano di spiegare la loro scomparsa vi è quella della sovrappopolazione, altri mettono l’accento invece sul degrado ambientale causato dall’eccessivo sfruttamento delle risorse. Una ricerca ha ricostruito il clima passato della regione e ha constatato una sostanziale coincidenza fra un lungo periodo di siccità, durato almeno 150 anni, e il declino e la caduta della civiltà Maya. Quindi sovrappopolazione, eccessivo sfruttamento delle risorse, cambiamento climatico. In parole povere, sviluppo non sostenibile e cambiamenti ambientali. E anche nel caso degli Anasazi, i cambiamenti ambientali – in particolare quelli climatici – nei loro territori sembrano essere stati un fattore determinante di regresso.   

Tra le civiltà scomparse, il mistero dell’antica società dell’Isola di Pasqua rimane uno dei più avvincenti, per la vicinanza temporale e per la storia che si interseca con quella dei grandi navigatori europei del ‘700. I primi europei che misero piede sull’isola rimasero colpiti dalle gigantesche statue (moai) poste su altari (ahu, che significa anche sepolcro) lungo le coste dell’isola, con le spalle rivolte verso il mare e la faccia verso l’interno, e dal paesaggio completamente privo di risorse vegetali, in netto contrasto con le favorevoli condizioni climatiche dell’area e la fertilità del suolo di origine vulcanica. Oggi sappiamo che questa non era una caratteristica ancestrale del territorio, ma una conseguenza dello sfruttamento delle sue risorse, perpetrato dalla popolazione dell’isola negli anni di maggiore splendore.

La storia della civiltà dell’Isola di Pasqua

L’isola di Pasqua, nella lingua originale Rapa Nui (grande roccia), veniva chiamata dagli abitanti Te Pito O Te Henua, l’ombelico del mondo. Si trova nell’oceano Pacifico, lontanissima dalle altre terre emerse (3.600 km dalle coste del Cile cui appartiene politicamente e 4.000 dalla Polinesia). Molti studiosi hanno ipotizzato che i primi abitanti giunsero sull’isola dal Sud America; in particolare Thor Heyerdahal, che fece costruire una piroga da artigiani del Titicaca, la Kon Tiki, e con quella raggiunse l’Isola di Pasqua partendo dalle coste del Perù. Recentemente però, l’analisi genetica degli abitanti dell’isola ha svelato la loro origine polinesiana. I primi abitanti dell’isola erano quindi giunti da isole del Pacifico dopo un lungo e difficile viaggio, sfidando l’oceano, trasportati dai venti e dalle correnti, a bordo di imbarcazioni primitive.

Secondo le leggende che vengono tramandate fra la popolazione, i 7 moai che si trovano nella località di Ahu Akivi rappresenterebbero i 7 navigatori eroi che hanno portato qui Hotu Matua e il suo popolo. Questi moai sono disposti verso il mare, in particolare verso le isole Marchesi, unici rispetto a tutti gli altri, che guardano verso l’interno. Sarebbe stato proprio Hotu Matua, un re di un’isola delle Marchesi, il fondatore della civiltà dell’Isola di Pasqua. Il suo sacerdote, che era un veggente, una notte fece un sogno nel quale vide una grande tormenta che avrebbe distrutto l’isola e vide sé stesso camminare sulla spiaggia di un’isola diversa, che avrebbe potuto ospitare la sua gente. Hotu Matua con questi 7 navigatori e le famiglie a lui fedeli iniziò un lungo viaggio che li portò a Rapa Nui. Quando arrivarono sull’isola, questa era ricoperta da una fitta e immensa foresta di palme; le favorevoli condizioni climatiche e la fertilità del suolo di origine vulcanica avevano reso possibile la presenza di almeno 40 specie di piante, 34 delle quali autoctone.

Si ritiene che il primo popolamento dell’isola risalga al IV secolo d.C. Per alcuni secoli, fino al 1200, la popolazione non aumentò in maniera significativa e l’equilibrio tra uomo e ambiente restò relativamente stabile. Quando la loro tradizione religiosa divenne più sofisticata, sopra gli altari cerimoniali, al posto di semplici lastre di roccia, iniziarono ad essere deposti i moai, che venivano costruiti presso le cave e trasportati nei luoghi di deposizione anche per 10 km. Per trasportare i moai sopra gli altari lungo le coste, era necessario usare dei rulli di legno, che venivano ricavati dalle grandi palme presenti sull’isola. A partire da quell’epoca ebbe inizio perciò un disboscamento selvaggio in tutto il territorio. La riduzione della risorsa forestale provocò un inasprimento dei rapporti sociali, che sfociarono talora in violente guerre civili. Tra il 1600 e il 1700, in alternativa al legno divenuto sempre più scarso, gli abitanti iniziano ad utilizzare anche erbe e cespugli come combustibile. Le condizioni di vita divennero proibitive e la popolazione fu decimata dalla fame e dagli scontri interni, senza poter fuggire dall’isola visto che gli alberi erano ormai solo un ricordo e non vi era la possibilità di costruire imbarcazioni. Quando i primi europei giunsero sull’isola trovarono meno di 2.000 abitanti che vivevano in condizione di totale indigenza.

La storia dell’Isola di Pasqua ci dimostra in maniera evidente gli effetti di uno sviluppo incontrollato e non sostenibile su un territorio fertile e apparentemente senza particolari problemi ambientali. Una storia che ci invita a riflettere. Stiamo sfruttando le risorse del pianeta senza preoccuparci delle conseguenze a lungo termine. Gli abitanti di Rapa Nui non sono potuti fuggire, perché imprigionati dall’oceano che non potevano più attraversare a causa delle grandi distanze dalle altre terre; non potevano costruire imbarcazioni per la mancanza di legno, distrutto da loro stessi. Il pianeta Terra che ci accoglie è paragonabile a un’isola nello spazio; le distanze cosmiche che ci separano da altri possibili mondi potrebbero impedirci di fuggire, qualora ce ne fosse l’esigenza.

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