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Siccità: il Piano Laghetti non decolla

Piano Laghetti
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Obiettivo del Piano Laghetti è realizzare 10mila nuovi invasi entro il 2030. Ma diverse associazioni ambientaliste ne contestano l’utilità e la burocrazia frena i progetti già approvati. 

Dopo un inverno tra i meno piovosi della storia, sul fronte della siccità l’Italia si avvia verso uno scenario da allarme rosso, soprattutto se troveranno conferma le previsioni di un’estate torrida. Il Po e gli altri corsi d’acqua del nord Italia si trovano in situazioni critiche, mentre buona parte dei laghi ha quote di riempimento da circa un quinto (Como) a meno del 40% (Maggiore). 

Piano Laghetti: l’obiettivo è realizzare 10mila invasi entro il 2030 

L’Anbi (Associazione nazionale bonifiche irrigazioni miglioramenti fondiari) ricorda che la crisi idrica non riguarda solo l’agricoltura, ma sempre più anche l’acqua per uso potabile. “Per almeno tre milioni e mezzo di italiani, l’acqua dal rubinetto non può più essere data per scontata”, ha sottolineato Francesco Vincenzi, presidente dell’associazione. Pesa anche la carenza di neve: se gennaio si era chiuso con precipitazioni di un terzo inferiori alla media dell’ultimo decennio, febbraio ha visto precipitazioni scarsissime, né sembrano esservi grandi spazi per un recupero fuori stagione. Anbi, in collaborazione con Coldiretti, si è fatta promotrice lo scorso anno del Piano Larghetti, che grandi aspettative ha creato alla luce della prospettiva di realizzare 10mila invasi medio-piccoli e multifunzionali entro il 2030, in zone collinari e di pianura, con l’obiettivo di incrementare di oltre il 60% l’attuale capacità complessiva rispetto ai 114 serbatoi esistenti. Dato che le precipitazioni sono scarse, quanto meno immagazziniamole. I bacini artificiali servirebbero a raccogliere l’acqua piovana da utilizzare nei periodi in cui ce n’è poca, ma possono essere utilizzati anche come superficie su cui installare pannelli solari galleggianti per la produzione di energia. In realtà buona parte dei progetti individuati è rimasta sulla carta, soprattutto per le lungaggini della burocrazia e confini di competenza non proprio chiari tra i Ministeri dell’Economia, delle Politiche agricole, dell’Ambiente e delle Infrastrutture. L’obiettivo iniziale di concludere la fase di progettazione entro il 2025, per poi assegnare gli appalti l’anno successivo è già saltato. Il Governo è intenzionato a nominare un commissario speciale sulla siccità e occorre capire se questa mossa potrà dare un’accelerata al Piano. 

Piano Laghetti: le associazioni che hanno fatto appello al Governo per fermarlo 

Il Piano Laghetti suscita anche qualche perplessità. Vanda Bonardo, presidente della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra) Italia: “è giusto dire tratteniamo l’acqua il più possibile là dove cade, però c’è modo e modo: un conto è tenerla in grandi vasconi, un altro è permettere a vaste superfici del territorio di far sì che quest’acqua venga assorbita e vada stoccata in profondità”. Riserve sono state espresse anche da Wwf, secondo cui “il proliferare di nuovi invasi e programmi d’intervento straordinari, dettati dall’emergenza, rischia di peggiorare la situazione aggravando il bilancio idrico complessivo degli ecosistemi e delle falde”. La stessa posizione è sostenuta dal Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf), secondo cui la costruzione degli invasi compromette gli habitat naturali con effetti negativi per le piante e gli animali. Tra le possibili alternative, si suggerisce di privilegiare coltivazioni che necessitano di poca acqua. Cipra, Cirf e Wwf, con Club Alpino Italiano, Cai, Federazione Nazionale Pro Natura, Free Rivers Italia, Legambiente, Lipu e Mountain Wilderness hanno fatto appello al Governo per fermare il Piano Laghetti, indicando che la priorità è piuttosto dar vita a una regia unica “da parte delle autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere il sistema delle disponibilità, dei consumi reali, della domanda potenziale e definire degli aggiornati bilanci idrici. Nuovi invasi non sono la risposta”. La palla torna in mano all’esecutivo, nella consapevolezza che temporeggiare rischia di esporre il Paese a rischi gravissimi.

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