Pixel di Adform

Chiudi
Cerca nel sito:

SOS pianeta: grido d’allarme anche dagli oceani

Condividi l'articolo

Impietosa la radiografia sullo stato di salute del pianeta secondo il Potsdam Institute, il 2024 sarà ricordato come un anno orribile, considerato il generale peggioramento dei parametri vitali, compreso il superamento del settimo dei novi limiti planetari, cioè della soglia di tollerabilità per l’acidificazione degli oceani

L’allarme arriva questa volta dal Potsdam Institute for Climate Impact Research, che nel nuovo rapporto “Planetary Health Check”, spiega perché il nostro pianeta continua a correre in direzione ostinata e contraria, avendo superato anche il settimo dei limiti planetari (Planetary Boundaries), ovvero i limiti considerati necessari per garantire lo stato di salute della terra, soprattutto in funzione della specie umana.

La nuova tegola, che arriva dall’aggiornamento di una metodologia di ricerca che dura dal 2009 – che si basa su un folto numero di indicatori e banche dati, comprese quelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite –, coordinata da Johan Rockström dello Stockholm Resilience Centre, riguarda i dati sull’acidificazione degli oceani causata dall’eccesso di CO2 emessa per mano dell’uomo.

Sostanza che finisce per essere assorbita dagli oceani, così da ridurre il pH delle acque, quindi mettendo a rischio gli ecosistemi marini, con conseguenze nefaste anche sulla pesca, volendo usare anche in questo caso un punto di vista antropocentrico. Dall’inizio dell’era industriale, il pH superficiale dell’oceano è diminuito di circa 0,1 unità, con un aumento del 30-40% dell’acidità, spingendo gli ecosistemi marini oltre i limiti di sicurezza.

Un rischio enorme. Spiegano i biologi marini che l’acidificazione mette in pericolo soprattutto gli organismi che costruiscono conchiglie e scheletri calcarei, come pteropodi, molluschi e coralli. I minuscoli pteropodi, fondamentali per la catena alimentare marina, mostrano già segni di erosione dei gusci, con conseguenze a cascata su pesci, uccelli marini e, infine, sulla pesca globale. Non a caso, i coralli tropicali e quelli di acque fredde sono tra i più colpiti, insieme alla fauna marina artica, dove le conseguenza si manifestano più rapidamente.

Gli altri limiti planetari superati?

I limiti planetari già superati nel 2024, oltre all’acidificazione degli oceani, sono:

  • Cambiamento climatico
  • Cicli biogeochimici (azoto e fosforo)
  • Integrità della biosfera
  • Uso del suolo
  • Nuovi inquinanti chimici
  • Utilizzo insostenibile di acqua dolce

A questo punto gli unici due limiti non ancora superati sono: l’inquinamento atmosferico da aerosol e la riduzione dello strato di ozono (quest’ultimo a rischio fino a tempi recenti).

Una fotografia, insomma, poco rassicurante. Il rapporto evidenzia come, nel 2024, il riscaldamento globale abbia raggiunto livelli mai registrati prima: la temperatura media globale si è attestata, infatti, a +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, il punto limite fissato dagli Accordi di Parigi per evitare cambiamenti climatici pericolosi. L’aumento medio di temperatura ha portato a ondate di calore eccezionali, scioglimento accelerato dei ghiacci polari e aumento del livello dei mari.

I rischi immediati a cui andiamo incontro

Insomma, dati allarmanti che spiegano la rottura dell’equilibrio ecologico e della capacità di resilienza del pianeta. Gli scienziati sottolineano i rischi al ricorso sempre più frequente dei fenomeni estremi, come alluvioni e siccità frequenti, avanzata inarrestabile delle desertificazione, crisi agricolo e di accesso alle fonti alimentari, comprese le migrazioni ambientali con annesse crisi sociali.

Come è certificato dal Rapporto, ma che sarebbe possibile vedere anche a occhi nudi, uno dei rischi principali e temuti tocca da vicino la resilienza ambientale, che sotto la portata dei cambiamenti in corso non è più in grado di funzionare, esponendo sempre di più e sempre peggio i territori a emergenza ambientali scarsamente affrontabili. Resilienza minata profondamente dalla distruzione degli habitat, dall’inquinamento diffuso, dalla riduzione della capacità depurativa degli ecosistemi, etc.

Le soluzioni possibili?

In questo quadro abbastanza desolante, il rapporto suggerisce azioni immediate su scala globale, tra cui:

  • Riduzione immediata delle emissioni di gas serra tramite transizione energetica verso fonti rinnovabili.
  • Riforestazione massiccia e protezione delle foreste esistenti.
  • Promozione dell’agricoltura sostenibile e rigenerativa.
  • Gestione razionale delle risorse idriche e stop alla cementificazione del suolo.
  • Riduzione dell’impronta plastica e chimica attraverso normative stringenti.
  • Sviluppo e diffusione di tecnologie verdi innovative (carbon capture, economie circolari).

Servono, quindi, azioni politiche di ampio respiro, capaci di affrontare la portata dell’emergenza seguendo le indicazioni della scienza, accompagnando i paesi verso una rapida decarbonizzazione, da implementare garantendo allo stesso tempo i principi di equità e giustizia.

La Relazione Quinquennale sullo Stato dell’Ambiente in Europa

L’esigenza diun cambio di rotta repentino è arrivato anche dalla contestuale pubblicazione della Relazione quinquennale sullo stato dell’ambiente in Europa a firma dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA). Relazione dove si può leggere che, nonostante negli ultimi cinque anni siano stati compiuti progressi significativi nella riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico, “sono tuttavia necessari maggiori sforzi, poiché i cambiamenti climatici e il degrado ambientale comportano gravi rischi per la prosperità economica e la competitività, la sicurezza e la qualità della vita in Europa”.

Anche in questa Relazione spicca lo stato critico delle risorse idriche europee, considerato che lo stress idrico colpisce attualmente il 30% del territorio europeo e il 34% della popolazione, mentre nell’intero continente “la biodiversità si riduce, la natura continua a subire gravi sfruttamenti e il cambiamento climatico sta mettendo a repentaglio numerosi ecosistemi”. L’Europa del Sud appare da questa prospettiva come l’area Ue più colpita. Secondo i dati dell’EEA, dal 1980 al 2023 ogni italiano ha speso in media circa 2.330 euro per far fronte a eventi catastrofici legati al cambiamento climatico

TI È PIACIUTO QUESTO ARTICOLO?
Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere aggiornamenti sulle novità e sulle storie di rigenerazione territoriale:

Ultime Notizie

Cerca nel sito