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Il biomonitoraggio come strumento di valutazione del rischio ecologico

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Silvano Focardi, esperto di ecologia di fama internazionale, coordina un progetto di biomonitoraggio dell’ecosistema del fiume Tirino, all’interno del Sito di bonifica di interesse nazionale di Bussi. Ci ha spiegato quale approccio utilizza e perché.

Valutare la qualità di un ecosistema fluviale è un’operazione complessa, in cui entrano in gioco tante variabili: per questo è necessario adottare un approccio ecotossicologico integrato. Lo spiega Silvano Focardi, uno dei padri dell’ambientalismo scientifico e coordinatore di un progetto di biomonitoraggio all’interno del Sin di Bussi sul Tirino (Pe).

Che differenza c’è tra contaminazione e inquinamento

Contaminazione e inquinamento non sono la stessa cosa: mentre la prima si riferisce alla presenza di una sostanza in una matrice – come acqua o terreno – a concentrazioni maggiori di quelle naturali, l’inquinamento implica che i contaminanti si trovino in forme o quantità tali da arrecare danno agli organismi viventi, a vari livelli della scala biologica, dal molecolare fino a livello di popolazione e comunità.

“Calando questo concetto alla caratterizzazione dei sedimenti – spiega il professor Focardi – fase fondamentale nell’analisi della qualità ambientale di un ecosistema fluviale, si evince come non sempre le analisi chimiche, qualora rilevino la presenza di contaminanti, siano sufficienti a determinarne la pericolosità, perché non forniscono informazioni sulla loro biodisponibilità, né sulla loro tossicità”.

Per comprendere il grado di inquinamento di un habitat fluviale è necessario conoscere:

  • la diffusione qualitativa e quantitativa dei contaminanti nei sedimenti;
  • le caratteristiche geochimiche dei sedimenti;
  • l’interazione tra i contaminanti e i potenziali effetti sulle comunità acquatiche e, indirettamente, sulla salute umana;
  • le informazioni sulla tossicità ed ecotossicità degli inquinanti;
  • le potenzialità del bioaccumulo, la persistenza e teratogenicità degli inquinanti.

Come si valuta il rischio ecologico

A partire dagli anni ’70, per valutare l’entità e l’impatto dei fenomeni di inquinamento si è sviluppata lapratica scientifica del biomonitoraggio, che consente di identificare i composti inquinanti, le fonti d’inquinamento, valutare lo stato di salute generale dell’ecosistema osservato, prevedere le conseguenze future sull’ambiente e gli organismi viventi.

I primi studi sul biomonitoraggio si sono avvalsi dei mitili come bioindicatori, ossia organismi o sistemi biologici che rispondono in modo misurabile ad uno stress ambientale, per la loro capacità di concentrare nei tessuti i contaminanti presenti nell’ambiente; essi, fino a poco tempo fa, sono rimasti i bioindicatori più usati. Un buon bioindicatore deve essere in grado di rispondere fisiologicamente al fenomeno del bioaccumulo, il processo per il quale le sostanze – spesso tossiche – si accumulano in un organismo vivente in concentrazioni superiori a quelle presenti nell’ambiente circostante e della biomagnificazione, ossia l’aumento della concentrazione delle sostanze tossiche lungo la catena alimentare, man mano che si passa da un livello trofico all’altro.

Lo sviluppo della metodologia del biomonitoraggio oggi ha permesso di estendere le sue capacità di analisi dell’inquinamento fino a valutare il rischio ecologico con un approccio pesato e integrato. “Per identificare le classi di inquinanti presenti in un determinato ambiente, ovvero con uno studio chimico-fisico delle matrici ambientali (acqua, aria, sedimenti) – spiega ancora Focardi – è necessario valutare gli effetti delle loro interazioni con le componenti biologiche e fornire risposte dose-dipendenti: proporzionalità delle risposte osservate rispetto ai livelli di inquinamento dell’ambiente naturale”.

Il biomonitoraggio del fiume Tirino

All’interno del Sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara, si sta attualmente studiando lo stato ecologico delle acque del Tirino attraverso un progetto di biomonitoraggio coordinato dal professor Focardi, che prevede vari step: dal monitoraggio della fauna ittica, allo studio del macrobentos, delle macrofite e delle diatomee bentoniche. 

Valutare lo stato di salute di un ecosistema complesso come un fiume e le aree ad esso connesse, “è un problema che non può essere risolto con analisi monodimensionali o che riguardano un solo livello ecologico. L’approccio ecotossicologico integrato – conclude Focardi – rappresenta a mio avviso un passo in avanti nella direzione di un biomonitoraggio multidimensionale. La sfida sta nel riuscire a trasformare le informazioni che si ricavano da questi studi in un indice sintetico, che permetta di trasferirle facilmente ai responsabili della gestione dei sistemi ecologici, affinché non restino patrimonio della sola ricerca scientifica”.

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