Sempre più territori italiani, dalle Alpi all’Appennino, stanno vivendo un ritorno spontaneo della natura. Un fenomeno che unisce biodiversità, paesaggio e nuove economie.
Nel cuore dell’Italia, tra valli remote, crinali silenziosi e campi un tempo coltivati, si sta facendo strada un fenomeno sempre più visibile: il rewilding, ovvero il ritorno spontaneo (o guidato) di un’area a uno stato ecologico più naturale. È una tendenza che si inserisce in un processo globale, ma che in Italia assume caratteristiche peculiari, legate all’abbandono agricolo, allo spopolamento delle aree interne e alla rinnovata attenzione per la biodiversità e i paesaggi naturali.
Con rewilding in Italia si intende la rinaturalizzazione, attiva o passiva, di ambienti che per secoli sono stati modellati dall’uomo, ma che oggi stanno riconquistando un equilibrio più vicino allo stato ecologico originario. Non è solo una questione ambientale: il ritorno di boschi, grandi predatori e impollinatori contribuisce anche a generare nuove economie nei territori marginali, alimentando filiere legate al turismo sostenibile, alla ricerca scientifica e alla gestione dei servizi ecosistemici.
Dalle Alpi Marittime all’Appennino centrale, dal Carso triestino fino alle foreste della Sila, il rewilding è già in atto in oltre 20 aree italiane, tra iniziative ufficiali e processi spontanei. Scopriamone di più.
Cos’è il rewilding e perché torna d’attualità

Il significato di rewilding affonda le radici nella definizione proposta da organizzazioni come Rewilding Europe e IUCN (International Union of Conservation of Nature): si tratta di un processo attraverso il quale un ambiente naturale viene riportato, in modo più o meno diretto, a uno stato ecologicamente più selvaggio e autonomo. L’obiettivo è ripristinare ecosistemi resilienti, capaci di autogestirsi, aumentare la biodiversità e garantire benefici anche per le comunità locali.
Il rewilding poggia su alcuni principi chiave che mirano a riportare gli ecosistemi a uno stato più equilibrato e autonomo. Tra gli elementi centrali troviamo:
- Il ritorno di specie animali un tempo estinte in una determinata area, grazie a progetti di reintroduzione mirata.
- Una gestione estensiva e meno invasiva dei pascoli, che favorisce la rigenerazione naturale di suoli e habitat.
- La diminuzione delle attività umane ad alto impatto, in particolare nelle zone interne e montane.
- L’incremento della capacità degli ecosistemi di assorbire CO₂, grazie all’espansione di boschi, arbusti e prati naturali.
- La prevenzione degli incendi boschivi, resa possibile da ecosistemi più stabili e diversificati.
Si distinguono due principali approcci:
- Rewilding attivo, che prevede interventi mirati come la reintroduzione di specie scomparse o la rinaturazione di fiumi, pascoli e foreste.
- Rewilding passivo, che si basa invece sull’abbandono graduale delle attività umane, lasciando che sia la natura a ricolonizzare gli spazi nel tempo.
Negli ultimi anni, il rewilding è tornato d’attualità per diverse ragioni convergenti. Lo spopolamento delle aree interne, la crisi dell’agricoltura tradizionale, soprattutto in zone marginali, e la necessità di trovare soluzioni di adattamento climatico stanno aprendo nuovi scenari in ampie porzioni del territorio italiano. Dove prima c’erano pascoli intensivi, campi coltivati o attività forestali sistematiche, oggi si fanno largo boschi secondari, specie selvatiche e nuovi equilibri ecologici.
In breve, il rewilding in Italia non è solo un ritorno della natura, ma anche un’occasione per ripensare il rapporto tra uomo, paesaggio e sviluppo sostenibile.
Central Apennines: A Story of Co-existence | Documentary by Emmanuel Rondeau | Rewilding Apennines
Dove sta succedendo in Italia
Il fenomeno è particolarmente evidente in alcune aree come l’Appennino centrale, le Alpi Liguri, il Carso triestino, le alture della Sila e molte zone ex-agricole del centro-sud. In questi territori si osserva il ritorno di grandi predatori come lupo e orso, ma anche di cervi, camosci, aquile reali, rapaci notturni e insetti impollinatori, cruciali per l’equilibrio ecologico.
Un aspetto fondamentale del rewilding della megafauna è che non si limita a un valore naturalistico: questi cambiamenti generano nuove opportunità. Crescono le esperienze di turismo naturalistico, si attivano filiere locali legate alla gestione del territorio, aumenta l’interesse della ricerca scientifica, e si rafforzano i servizi ecosistemici, come la regolazione climatica, il sequestro di carbonio o la difesa del suolo.
Tabella – Progetti e aree naturali in ricolonizzazione (2015–2024)
Area | Regione | Tipo rewilding | Specie chiave | Attori coinvolti |
Parco Gran Paradiso | Valle d’Aosta | Passivo | Lupo, stambecco | Parco, WWF, Università |
Sila Greca | Calabria | Attivo | Cinghiale, querceti | GAL, associazioni locali |
Val Tramontina | Friuli | Passivo | Aquila, cervi | Università, Comune |
Carso Triestino | Friuli-V.G. | Attivo | Orchidee, impollinatori | Lipu, Regione |
Alta Langa | Piemonte | Passivo | Lepidotteri, lupo | CNR, Rewilding Europe |
Quali benefici porta il ritorno del “selvatico”
Il rewilding, sancito anche nell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile, non è soltanto un processo ecologico, ma una strategia concreta per rigenerare territori e comunità. Il ripristino della natura porta con sé una serie di vantaggi ambientali, sociali ed economici.
Uno dei primi effetti positivi è l’aumento della biodiversità, che rende gli ecosistemi più resilienti di fronte a cambiamenti climatici e crisi ambientali. Dove tornano habitat naturali e specie selvatiche, migliorano anche i cosiddetti servizi ecosistemici: impollinazione, regolazione del ciclo dell’acqua, fertilità dei suoli e capacità di trattenere carbonio.
Ma i benefici non si fermano all’ambiente. Sempre più persone sono attratte da forme di turismo naturalistico: escursioni, birdwatching, fotografia di paesaggio e volontariato ambientale generano nuove economie locali. In parallelo, cresce l’interesse per attività di educazione ambientale, coinvolgendo scuole, famiglie e associazioni del territorio.
Il ritorno del “selvatico”, quindi, non è solo una questione ecologica, ma un’opportunità per ripensare il rapporto tra uomo e natura.
Cosa serve per accompagnare il rewilding in modo equo
Azioni chiave:
Perché il rewilding in Italia sia efficace e sostenibile nel lungo periodo, è fondamentale affiancarlo con politiche inclusive e strumenti di gestione condivisa. Ecco alcune azioni chiave:
- Monitoraggio delle specie e degli impatti. Controllare il ritorno della fauna e gli effetti sugli ecosistemi aiuta a prevenire conflitti e a guidare le scelte di gestione in modo scientifico.
- Coinvolgimento delle comunità locali. Il rewilding funziona solo se le persone che vivono nei territori coinvolti sono parte attiva del processo, attraverso dialogo, partecipazione e nuove opportunità economiche.
- Creazione di “buffer zone” e corridoi ecologici. Collegare habitat naturali attraverso aree di transizione sicure favorisce la mobilità della fauna selvatica e protegge le attività umane più sensibili.
- Valorizzazione culturale dei territori in ricolonizzazione. Raccontare la storia, le tradizioni e le trasformazioni dei luoghi dove la natura sta tornando è essenziale per rafforzare l’identità locale e creare consenso.
- Integrazione con turismo sostenibile e multifunzionalità. Le attività legate alla natura, dall’escursionismo alla ricettività green, possono coesistere con il rewilding, offrendo nuove economie ai territori marginali.
In sintesi
Il ritorno della natura non è il segno di un fallimento del territorio, ma una straordinaria opportunità: una seconda vita per i territori, capace di ricucire paesaggio, biodiversità e comunità in una nuova armonia tra esseri umani e ambiente.