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Acidificazione degli oceani: minaccia per gli ecosistemi marini

Una tartaruga nuota nell'oceano
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L’acidificazione degli oceani rappresenta una crescente preoccupazione della comunità scientifica a livello globale, con impatti significativi sugli ecosistemi marini. Questo fenomeno è il risultato dell’assorbimento di anidride carbonica (CO2) atmosferica nei mari e negli oceani, un processo innescato principalmente dalle attività umane, come la combustione di combustibili fossili e la deforestazione. Vediamo qui di seguito più nel dettaglio quali sono le sue cause, le sue pericolose conseguenze sul pianeta Terra e quali possono essere le possibili strategie per limitarne i danni.

Indice

Come aumenta il livello di acidità degli oceani?

Partiamo prima di tutto spiegando un concetto fondamentale: le nostre acque presentano un loro naturale livello di acidità. Nel caso specifico il pH naturale degli oceani è di circa 8,2.

L’anidride carbonica, al contatto con l’acqua, genera acido carbonico, un processo analogo a quanto accade durante la produzione di acqua minerale effervescente. Questo fenomeno comporta una modifica nella composizione chimica dell’acqua, con un potenziale impatto negativo a lungo termine sull’intero ecosistema marino. La valutazione dell’acidità avviene attraverso la scala del pH, che varia da zero (rappresentante una sostanza altamente acida) a 14 (rappresentante una sostanza “alcalina” e dunque non acida). Sebbene gli esperti ritengano improbabile che il pH marino possa scendere al di sotto di 7, anche variazioni minime nei livelli di acidità potrebbero avere conseguenze estremamente dannose.

Vale tra l’altro la pena sottolineare un altro aspetto interessante: Il livello di pH negli oceani ha subito variazioni significative nel corso delle ere geologiche. Durante le epoche glaciali, si è osservato un aumento di circa 0,2 unità di pH, mentre nei periodi di riscaldamento planetario si è verificata una diminuzione approssimativamente della stessa entità. Tuttavia, è cruciale specificare che tali cambiamenti si sono manifestati su scale temporali geologiche estremamente dilatate. In passato, durante queste variazioni, sono trascorsi decine di migliaia di anni, un periodo di tempo sufficientemente ampio da consentire alle creature marine di adeguarsi gradualmente a queste fluttuazioni. Cosa che, sfortunatamente, non sta accadendo attualmente.

La situazione ottimale, dunque, dovrebbe essere quella in cui il pH si mantiene più o meno costante nel corso del tempo, anche se come anticipato i livelli di acidità possono comunque aumentare o diminuire in funzione di cause del tutto naturali. Purtroppo, secondo quanto riportato dalla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences questo processo di acidificazione non era mai stato così rapido da ben 300 milioni di anni a questa parte: a provocarlo, più che l’impatto legato al cambiamento climatico, sarebbe in realtà l’emissione eccessiva di CO2 delle nostre attività quotidiane.

Gli effetti deleteri dell’acidificazione degli oceani

Le conseguenze delle nostre attività, purtroppo, si sono dimostrate molto pericolose dal punto di vista della salute dei nostri mari, i cui livelli di acidità sono andati mano a mano aumentando nel corso degli ultimi anni con una velocità impressionante.

L’acidificazione degli oceani rappresenta una minaccia diretta per gli organismi marini, e in modo particolare per quelli dotati di gusci o scheletri di carbonato di calcio. Questi organismi, noti come calcificatori, risentono dell’abbassamento del pH poiché rende più difficile la formazione e il mantenimento delle loro strutture scheletriche. Ecco su quali organismi l’acidificazione ha dimostrato di avere gli effetti più gravi.

  1. Coralli e barriere coralline: le barriere coralline, ecosistemi vitali e ricchi di biodiversità, sono particolarmente vulnerabili al fenomeno dell’acidificazione delle acque. La ridotta capacità di coralli e altri organismi marini di calcificare mette a rischio la formazione e la crescita dei coralli, con impatti negativi sulla fauna marina che dipende da questi delicatissimi habitat, che stanno via via scomparendo dai nostri fondali.
  2. Molluschi: molti molluschi, compresi alcuni tipi di bivalvi come le ostriche e le cozze, risentono dell’acidificazione degli oceani. La loro capacità di formare e mantenere i gusci è compromessa da questi processi chimici: in queste condizioni la loro stessa sopravvivenza e la catena alimentare associata sono messi in serio pericolo.
  3. Plancton: il plancton è fondamentale per la catena alimentare oceanica e rappresenta una risorsa chiave per molte specie marine, tra cui le balene. L’acidificazione degli oceani può influire sulla crescita e sulla sopravvivenza del plancton, con conseguenze a cascata a dir poco devastanti su organismi di livello superiore che rischiano di non trovare più la loro principale fonte di alimentazione.

Le soluzioni possibili per l’acidificazione degli oceani

Ecco tutto quello che è necessario sapere sul pericoloso processo di acidificazione degli oceani: scopriamo da cosa è causata.
Un delfino sott’acqua

Sono diversi gli ambiti di intervento grazie ai quali potremmo riuscire a ridurre l’aumento di acidità nei nostri mari, contribuendo così a salvaguardare la preziosissima biodiversità marina.

In primo luogo dovremmo impegnarci tutti a ridurre le emissioni di CO2, concretizzando la tanto attesa transizione verso fonti di energia rinnovabili, la promozione della riforestazione e l’adozione di pratiche agricole sostenibili. Inoltre, potrebbe rivelarsi molto utile creare delle speciali riserve marine, riducendo al contempo la pesca eccessiva e promuovendo pratiche di pesca sostenibili. Infine, oggi più che mai è importante investire nella ricerca scientifica e nell’osservazione continua degli oceani per sviluppare strategie di mitigazione dei danni dell’inquinamento dagli effetti rapidi e, si spera, anche efficaci.

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Alberto Muraro

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