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Circularity Gap Report 2024: quanto siamo lontani dagli obiettivi di economia circolare

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Il Circularity Gap Report 2024, l’analisi annuale pubblicata nel mese di gennaio da Circle Economy, in collaborazione con Deloitte, ha rilevato come il tasso di circolarità globale sia diminuito dal 9,1% del 2018 al 7,2% nel 2023. Stiamo tornando indietro. Il mondo è sempre meno in grado di rimettere in circolo materiali per creare la cosiddetta materia prima seconda e invertire la rotta distruttiva che ha intrapreso. Il report, come di consueto, offre una panoramica del sovrasfruttamento di risorse naturali e dei relativi squilibri connessi. Tra poco più di un mese sarà pubblicato quello 2025, relativo all’anno che si sta chiudendo. L’auspicio è che i dati siano migliori, ma la realtà è poco incoraggiante.

Tanta pressione sugli ecosistemi

Circularity Gap Report 2024: un mercato in Turchia
L’economia lineare pesa molto sugli ecosistemi

L’economia moderna, come sappiamo, si sostiene su pratiche lineari, le quali hanno portato a una crescita esponenziale del consumo di materiali, dell’inquinamento e della produzione di rifiuti. Questi tre aspetti, infatti, sono collegati tra loro. Solo negli ultimi 6 anni, secondo l’analisi del Circularity Gap Report, l’economia globale ha consumato 582 miliardi di tonnellate di materiali. Siamo poco distanti dai 740 miliardi consumati nell’intero XX secolo, ma qui parliamo di soli 72 mesi. Ciò esercita una pressione insostenibile sugli ecosistemi, oltre che sulla biocapacità della Terra. È molto più di quanto abbiamo bisogno per soddisfare, equamente, i bisogni sociali planetari.

Come si legge nel rapporto:

“Molte nazioni ad alto reddito sono a un punto di saturazione. Stiamo attraversando un momento unico nella storia, in cui l’aumento del consumo materiale non garantisce più aumenti certi del benessere umano. Le società più diseguali sono anche quelle più infelici. Le nazioni più ricche del mondo non possono più usare il progresso come scusa per un consumo materiale senza restrizioni. Occorre cambiare questo paradigma non più sostenibile.”

Il Circularity Gap report mette a nudo il peso del consumo dei materiali

I dati condivisi sono allarmanti. Si è quasi triplicata la quantità di analisi, dibattiti e articoli sul ruolo dell’economia circolare, nel corso degli ultimi lustri. Eppure, nonostante questo elevato tasso di sensibilizzazione, produzione e consumi non accennano a diminuire.

Fin dall’introduzione del rapporto si precisa come al migliorare del tenore di vita, misurato dall’indice di sviluppo umano (HDI), aumenti anche l’impatto ecologico della società che sta meglio. Il consumo di materiali è un valido indicatore del danno ambientale. La movimentazione e l’utilizzo di materia prima contribuiscono per il 70% alle emissioni globali di gas serra (GHG). La sua estrazione e l’utilizzo che ne vene fatto determinano oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico”.

Ma chi è responsabile della produzione di questi impatti, così pesanti? “Una minoranza sempre più ridotta di persone causa la maggior parte degli impatti ambientali, sia tra le nazioni che all’interno di esse” spiega il report. I paesi ad alto reddito sono il motore del collasso ecologico. L’Unione Europea e gli Stati Uniti, da soli, sono responsabili di oltre la metà del consumo di materiale globale. Queste due macroaree non ospitano che un decimo della popolazione terrestre. Come ricordano gli autori del dossier:

L’1% più ricco del mondo è responsabile delle medesime emissioni di carbonio dei due terzi più poveri. Nonostante abbia accumulato quasi il doppio del denaro del 99% meno benestante e sia consapevole di poter investire di più per porre rimedio alla situazione.”

Come riallinearsi agli obiettivi

Il rapporto mostra come le politiche e i quadri giuridici possano, e debbano, incentivare pratiche sostenibili e circolari. Esempi di normative di impatto nei Paesi ad alto reddito includono svariate prassi che andrebbero adottate quanto prima. Innanzitutto, si dovrebbe incentivare l’ammodernamento e il riutilizzo degli edifici, nonché dei loro componenti. Sarebbe poi bene adottare certificazioni, oltre che garanzie attendibili e verificabili, per i materiali da costruzione secondari. Definire standard per la durabilità del prodotto e rafforzare la legislazione sul diritto alla riparazione sarebbe un valido modo di allinearsi agli obiettivi di economia circolare indicati dall’Agenda Europea.

I Paesi a medio reddito, secondo il rapporto, dovrebbero dare priorità alla promozione dell’agricoltura e della produzione circolari e rigenerative, introducendo, tra le altre azioni, divieti pubblici e limiti all’inquinamento. L’imposizione di regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR) e la richiesta di una quantità minima di materiali recuperati, in fase di nuova produzione, servirebbero a forzare un certo grado di sensibilità in chi non se ne cura. Indirizzare fondi all’agricoltura rigenerativa aiuterebbe numerosi agricoltori che convertirebbero il loro operato impattante, ma non hanno i mezzi per farlo.

Una priorità assoluta per i Paesi a basso reddito dovrebbe essere l’inseguimento di forme di sviluppo sostenibile, raggiunto attraverso politiche circolari nell’edilizia e nell’agricoltura. Anche chi ha meno può giocare la sua parte. Esempi di politiche di questo tipo includono la riduzione del debito e il miglioramento dell’accesso allo sviluppo e al capitale di transizione. Altri strumenti sfruttabili sono la garanzia dei diritti dei piccoli agricoltori e l’incentivazione all’utilizzo di materiali locali, organici e secondari nelle costruzioni. Bisogna partire da un cambio di mentalità, mettendo al centro delle politiche di sviluppo la tematica ambientale.

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Mattia Mezzetti

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