In caso di incidente in mare, ora sappiamo dove la marea nera si andrà a spiaggiare. Uno studio internazionale ha analizzato i percorsi e la velocità di spostamento delle fuoriuscite di greggio nel Mare nostrum, bacino a rischio, fortemente trafficato, individuando le aree più vulnerabili. Con l’obiettivo di rafforzare preparazione e resilienza contro questi pericolosi incidenti.
Prevenire i danni alle coste e agli ecosistemi, minimizzare i rischi grazie alla conoscenza delle correnti e di come si spostano le chiazze di petrolio nel Mediterraneo. È l’obiettivo di uno studio, pubblicato sulla rivista Marine Pollution Bulletin e disponibile online, che ha analizzato le possibili traiettorie delle macchie di petrolio derivanti da sversamenti accidentali. Un lavoro coordinato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC) con il coinvolgimento dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS), realizzato utilizzando modelli di circolazione marina, un database di osservazioni di sversamenti realmente avvenuti e un’ampia gamma di simulazioni.
Lo studio è stato condotto nell’ambito del progetto NECCTON (finanziato dalla Commissione europea – Horizon Europe RIA). “Non si tratta di sapere se ci sarà uno sversamento di petrolio nel Mediterraneo, ma di capire quanto gravi saranno le conseguenze”, spiega Svitlana Liubartseva, ricercatrice del CMCC e prima autrice dello studio. Una valutazione del rischio tanto più importante in un ambiente marino molto trafficato come il mare Mediterraneo, peraltro semichiuso. Per parare al meglio il colpo, intervenendo con rapidità, ma anche per pianificare con una maggiore consapevolezza le attività di trasferimento marittimo di petrolio e la produzione di petrolio offshore.
Individuate le aree più vulnerabili del bacino Mediterraneo
“La nostra ricerca ha dimostrato che, anche senza sapere quando e dove si verificherà il prossimo grande sversamento di petrolio, è possibile prevedere le aree del Mediterraneo che risulteranno più o meno colpite. Siamo anche in grado di informare le autorità competenti sull’orario di arrivo del petrolio e sulla percentuale di petrolio depositato sulla spiaggia, in modo che possano elaborare strategie di mitigazione dei danni”, prosegue Svitlana Liubartseva in una nota del CMCC.
Secondo i modelli di circolazione marina utilizzati dai ricercatori, “le coste del mar Egeo hanno mostrato l’impatto più elevato, caratterizzato da alti indici di pericolosità costiera, tempi di arrivo brevi e percentuali significative di petrolio spiaggiato. Mentre lo Ionio, il Mediterraneo centrale e quello di levante hanno mostrato bassi indici di pericolosità, tempi di arrivo più lunghi e percentuali minori di petrolio spiaggiato, che possono essere attribuiti alle loro proprietà naturali altamente dissipative”, si legge nella ricerca. Tra le zone a maggior rischio di impatto ambientale figurano anche il Canale di Sicilia e il nord dell’Adriatico.
La metodologia: simulazioni Monte Carlo e modello MEDSLIK-II
Per prevedere le conseguenze di futuri sversamenti di petrolio nel Mediterraneo, i ricercatori hanno effettuato simulazioni Monte Carlo (simulazione di probabilità multipla, tecnica matematica utilizzata per stimare i possibili esiti di un evento incerto). Per la prima volta è stata utilizzata la tecnica Monte Carlo per calcolare gli indici di rischio di inquinamento da idrocarburi per l’intero bacino del Mediterraneo.
Mentre con il modello MEDSLIK-II, modello lagrangiano di fuoriuscita di petrolio (che descrive il fenomeno emissivo come il rilascio di una serie di particelle in continuo movimento caotico nello spazio e nel tempo) è stato condotto un campionamento virtuale di sversamenti nell’intero Mediterraneo dal 2018 al 2021. Lo scenario di campionamento è stato ricavato dalla storica fuoriuscita di petrolio dalla petroliera HAVEN, esplosa al largo della Liguria nel 1991. Il movimento delle chiazze di petrolio virtuali è stato forzato dalle correnti e dai venti forniti dal Copernicus Marine Service e da ECMWF, il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine, dal 2018 al 2021.
Le statistiche sulle fuoriuscite
L’elaborazione di oltre due milioni di statistiche sulle fuoriuscite virtuali ha fornito informazioni pratiche per le contingenze, le prospettive di produzione petrolifera offshore e la protezione degli ecosistemi. Gli indici di rischio di inquinamento da petrolio, espressi in termini probabilistici, sono stati mappati sulla superficie del mare e sulle coste. I tempi di arrivo e la percentuale di petrolio spiaggiato sono stati definiti, calcolati e rappresentati attraverso le loro distribuzioni di probabilità. Le distribuzioni degli indici di rischio di inquinamento da idrocarburi in termini probabilistici indicano quali aree marine e coste saranno più o meno colpite quando si verificherà una fuoriuscita di petrolio in futuro. Il progetto NECCTON mira a integrare gli indici di pericolosità nelle valutazioni di pressione multipla in ambiente marino e a fornire due indici di rischio di inquinamento da idrocarburi: sulla superficie del mare e sulla linea di costa.
Marea nera: i rischi della contaminazione da idrocarburi
“Gli effetti negativi delle fuoriuscite di petrolio sulla vita marina, compresi plancton, pesci, uccelli marini, tartarughe e mammiferi, possono essere devastanti e di lunga durata. Il petrolio fuoriuscito emette sostanze chimiche volatili tossiche nell’atmosfera, sporca le coste e distrugge la pesca commerciale, l’acquacoltura e i banchi di molluschi. I metalli pesanti associati al petrolio possono entrare nella catena alimentare, accumulandosi nei tessuti e avvelenando i biota. Inoltre, le fuoriuscite di petrolio possono avere gravi ripercussioni sulla salute umana”, si legge nello studio.
La ricerca sottolinea, inoltre, che un recente inventario ha messo in evidenza che l’attuale contributo antropico all’inquinamento marino da idrocarburi potrebbe essere stato sostanzialmente sottostimato e che anche l’inquinamento petrolifero cronico del Mediterraneo presenta un quadro negativo. Inoltre, proseguono gli autori dello studio, “la recente fuoriuscita di petrolio nel Mar Nero (oltre 3.000 tonnellate di olio combustibile pesante vicino allo Stretto di Kerch, a dicembre 2024) ha rivelato una carenza nelle previsioni di deriva del petrolio e una generale impreparazione delle autorità competenti.
“Il Mediterraneo è un mare semi-chiuso, densamente trafficato da navi, con moltissime attività legate al turismo e ricco di biodiversità, dove anche piccoli sversamenti possono avere effetti ambientali e sociali duraturi” spiega Donata Canu, ricercatrice dell’OGS e co-autrice dello studio. “Grazie alla modellistica avanzata, possiamo ora prevedere con maggiore precisione dove e come il petrolio si disperderà, aiutando le autorità a intervenire in modo più efficace per proteggere ecosistemi fragili e coste vulnerabili”.