La scienza svela un’arma segreta contro l’inquinamento: enzimi capaci di divorare la plastica, trasformandola nei suoi componenti originari. Una scoperta che promette di rivoluzionare il riciclo e cambiare per sempre il destino dei nostri rifiuti.
L’inquinamento da plastica è una delle sfide ambientali più pressanti del nostro tempo. Miliardi di tonnellate di rifiuti plastici, in particolare il PET (polietilene tereftalato), si accumulano ogni anno, minacciando gli ecosistemi e la nostra salute. Mentre i metodi tradizionali di riciclo non riescono a tenere il passo, la scienza ci offre una nuova prospettiva: il riciclo enzimatico del PET. Questa tecnologia sfrutta il potere di specifici enzimi mangia-plastica per scomporre la plastica nei suoi componenti originali, che possono poi essere riutilizzati. Il riciclo enzimatico dei rifiuti potrebbe rivoluzionare il modo in cui gestiamo la plastica, con una soluzione più efficiente e sostenibile. Vediamo nel dettaglio come agiscono questi enzimi e quali sono le loro applicazioni e limitazioni attuali.
Cosa sono gli enzimi mangia-plastica

Gli enzimi mangia plastica sono proteine specializzate, prodotte da microrganismi come batteri e funghi, che hanno la capacità di catalizzare la degradazione di polimeri sintetici, come la plastica. Questi enzimi agiscono rompendo i legami chimici che tengono insieme le lunghe catene polimeriche e trasformandole in molecole più piccole, chiamate monomeri. È stato osservato che alcuni di questi microrganismi si sono evoluti per sfruttare la plastica come fonte di carbonio ed energia. La scoperta di questi enzimi ha aperto la strada a un approccio radicalmente diverso dal riciclo tradizionale, che si basa su processi meccanici o termici.
Tipologie esistenti: PETase, MHETase, PHL7
La ricerca sugli enzimi che degradano il PET ha fatto progressi significativi negli ultimi anni. Il primo enzima identificato, la PETase (PET idrolasi), è stato scoperto nel 2016 in un batterio, Ideonella sakaiensis, che si nutriva di PET. I ricercatori dell’Università del Texas hanno scoperto il Fast PETase, un enzima in grado di degradare la plastica PET nei suoi monomeri di base in modo rapido ed efficiente. Sviluppato con l’aiuto di un sistema di machine learning, questo enzima è unico perché può scomporre la plastica in meno di 24 ore e a temperature inferiori ai 50 gradi Celsius, rendendolo ideale per applicazioni su larga scala industriale.
Un altro enzima, la MHETase (mono idrossietil tereftalato), è stato trovato a lavorare in sinergia con la PETase, accelerando la degradazione. Tuttavia, la ricerca non si è fermata. Nel 2023, è stato scoperto un nuovo e più efficiente enzima, il PHL7 enzyme, noto anche come enzima PHL7, che ha superato i suoi predecessori in termini di velocità ed efficacia.
Meccanismo biologico della degradazione enzimatica
Il PET è un polimero formato dalla ripetizione di unità di acido tereftalico e glicole etilenico. L’enzima si lega a specifici siti sulla superficie del polimero e idrolizza i legami esterei che uniscono le unità monomeriche. La degradazione del PET tramite enzimi, in particolare il PHL7, è un processo catalitico. L’enzima riduce l’energia di attivazione necessaria per la reazione, permettendo alla scomposizione di avvenire a temperature più basse. Il risultato finale sono i monomeri originali: acido tereftalico (TPA) e glicole etilenico (EG).
L’enzima PHL7: come funziona e cosa lo rende efficace
L’enzima PHL7 è stato sviluppato da scienziati dell’Università di Leida e della Scuola di Ingegneria dell’Università della California a Irvine, mediante tecniche di ingegneria proteica. La sua struttura molecolare è stata ottimizzata per legarsi in modo più efficiente alla superficie del PET, aumentando la velocità di degradazione. L’efficacia dell’enzima risiede nella sua capacità di agire rapidamente sul polimero, come stiamo per vedere.
Degradazione del PET in 16 ore – test su rifiuti plastici reali
L’efficacia dell’enzima nella degradazione del PET è stata dimostrata in test di laboratorio che hanno utilizzato rifiuti plastici reali. I risultati dei test hanno mostrato che l’enzima PHL7 ha degradato oltre il 90% del PET in 16 ore, trasformando la plastica in monomeri riutilizzabili. Questo tasso di conversione è superiore a quello della PETase, che impiega più tempo per raggiungere risultati simili.
Video. Timelapse: un vaso di bioplastica che torna materia prima grazie al PHL7
Il video mostra un esperimento scientifico in time-lapse in cui un vaso per piante, realizzato in plastica PBS, viene completamente degradato in 20 ore utilizzando l’enzima PHL7. Il processo scompone il vaso nei suoi componenti originali, i monomeri, dimostrando l’efficacia del riciclo enzimatico.
Stabilità enzimatica, condizioni operative e applicabilità industriale
La stabilità è un fattore cruciale per l’applicabilità industriale di qualsiasi enzima. Il PHL7 si è dimostrato stabile a temperature elevate, un vantaggio per l’implementazione su larga scala. Inoltre il processo funziona a temperature moderate, riducendo i costi energetici. A differenza del riciclo meccanico, la degradazione enzimatica non richiede la pulizia estrema dei rifiuti plastici.
Applicazioni e limiti dell’enzima nel riciclo chimico
L’ ‘enzima PHL7 è un tassello fondamentale nel riciclo chimico della plastica, un processo che riporta i polimeri ai loro monomeri originali. Questa tecnologia offre la possibilità di creare un’economia circolare per il PET, all’interno della quale la plastica può essere riciclata senza perdere qualità.
Tuttavia, ci sono sfide da superare, come la produzione su larga scala dell’enzima a costi competitivi e l’ottimizzazione del processo per trattare grandi volumi di rifiuti plastici in modo economicamente sostenibile.
Comparazione con il riciclo meccanico e termico
Il riciclo meccanico è il metodo più diffuso e consolidato. Consiste nel triturare, lavare e fondere la plastica per trasformarla in granuli o fiocchi, che possono essere riutilizzati per produrre nuovi oggetti. I principali vantaggi di questo approccio sono i costi energetici relativamente bassi e la sua maturità tecnologica. Tuttavia, ha delle limitazioni significative:
- Degrado della qualità: il processo di fusione ripetuto può degradare le proprietà del polimero, limitando il numero di volte in cui il materiale può essere riciclato e riducendone la qualità finale.
- Limiti di applicazione: non può trattare plastiche miste, contaminate da etichette, colori o altri materiali, né imballaggi multistrato. Richiede un’attenta selezione e pulizia del materiale a monte.
Il riciclo termico converte la plastica in combustibili attraverso processi come la pirolisi o la gassificazione. Questo metodo, sebbene offra un’alternativa alla discarica, non produce nuovi materiali plastici. È un processo ad alta intensità energetica e non contribuisce a creare un’economia circolare per il materiale stesso, poiché non riporta la plastica alla sua forma originale.
Il riciclo enzimatico, come dimostrato con l’enzima PHL7, offre una soluzione che supera molte delle lacune dei metodi tradizionali:
- Qualità del materiale: scompone la plastica nei suoi monomeri originali (acido tereftalico e glicole etilenico), che possono essere ripolimerizzati per produrre nuova plastica con una qualità paragonabile a quella vergine.
- Flessibilità: può trattare plastiche miste e contaminate, poiché l’enzima agisce a livello molecolare e non richiede una selezione e pulizia estreme. Questo lo rende una tecnologia complementare al riciclo meccanico.
- Basso consumo energetico: il processo avviene a temperature moderate (circa 70 °C) e richiede quindi un minor consumo energetico rispetto ai processi termici.
In sintesi, mentre il riciclo meccanico rimane la soluzione più diffusa e consolidata per la plastica omogenea, il riciclo enzimatico si propone come una tecnologia innovativa e promettente per trattare i flussi di rifiuti più complessi, chiudendo il cerchio della produzione di PET e contribuendo a un’economia circolare più efficiente.
Tabella. Riciclo: meccanico vs chimico vs enzimatico.
Caratteristica | Riciclo Meccanico | Riciclo Chimico (es. Pirolisi) | Riciclo Enzimatico (es. con enzima PHL7) |
Resa in materiali di valore | Dipende dalla purezza del flusso di rifiuti. La resa diminuisce con ogni ciclo di riciclo a causa della perdita di qualità. | Varia ampiamente, ma può raggiungere fino al 70-80% per i prodotti liquidi. Non produce monomeri. | Alta (circa il 90% o più). Restituisce i monomeri di base che mantengono la qualità del materiale vergine. |
Energia richiesta | Bassa. Richiede meno energia rispetto ad altri metodi, principalmente per la triturazione, il lavaggio e la fusione. | Alta. Richiede temperature elevate (oltre 400 °C) per la conversione termica, con conseguente elevato consumo energetico. | Bassa. Richiede temperature moderate (circa 70 °C), con un consumo energetico significativamente inferiore rispetto ai processi termici. |
Purezza della plastica di partenza | Richiede plastica pulita e separata per evitare la contaminazione del prodotto finale e il degrado del processo. | Può trattare flussi di rifiuti misti, contaminati o multistrato. | Può trattare flussi di rifiuti complessi, misti e anche plastiche sporche. |
Emissioni di CO₂ | Moderate. L’impronta di carbonio è legata principalmente al consumo di energia e al trasporto dei materiali. | Alte. L’alto consumo energetico e i processi di combustione associati possono generare emissioni significative. | Basse. Il processo a bassa temperatura e il minor consumo energetico contribuiscono a un’impronta di carbonio ridotta. |
Qualità del prodotto finale | Downcycling: il materiale riciclato è di qualità inferiore e non può essere utilizzato per applicazioni che richiedono elevata purezza, come le bottiglie per alimenti. | Converte la plastica in combustibili o oli che non sono più idonei per la produzione di nuova plastica di alta qualità. | Upcycling: i monomeri ottenuti hanno la stessa qualità del materiale vergine e possono essere riutilizzati all’infinito per produrre nuova plastica, compresi gli imballaggi per alimenti. |
Applicabilità attuale | Ampiamente utilizzato e maturo a livello commerciale. | In fase di sviluppo e implementazione commerciale. | Prevalentemente in fase di ricerca e sviluppo, ma con prototipi industriali in fase di test. |
Potenzialità future nella gestione dei rifiuti plastici
Il futuro del riciclo della plastica potrebbe essere enzimatico. La ricerca su enzimi come il PHL7 sta aprendo nuove frontiere per una gestione più sostenibile dei rifiuti, offrendo una soluzione che va oltre il semplice trattamento del PET.
Gli scienziati stanno esplorando attivamente nuovi enzimi e microrganismi capaci di degradare altri tipi di plastica che attualmente sono difficili da riciclare, come il polistirene (PS), il polipropilene (PP) e il poliuretano (PU). Queste plastiche sono ampiamente utilizzate in imballaggi, isolamento termico e componenti automobilistici, e la loro persistenza nell’ambiente rappresenta una sfida significativa.
L’ottimizzazione dei processi e la riduzione dei costi sono passi cruciali per rendere questa tecnologia applicabile su larga scala. Le ricerche si concentrano sulla possibilità di creare “cocktail” enzimatici che possano trattare miscele complesse di plastica, e di sviluppare metodi per immobilizzare gli enzimi su supporti solidi, rendendoli riutilizzabili e più efficienti. L’obiettivo a lungo termine è integrare queste bioraffinerie enzimatiche nelle attuali infrastrutture di gestione dei rifiuti, trasformando i centri di riciclo in impianti in grado di convertire i rifiuti plastici in materie prime di alto valore, riducendo drasticamente l’inquinamento e la dipendenza dalle risorse fossili. In questo modo, la tecnologia enzimatica potrebbe diventare un pilastro di un’economia circolare per la plastica.
Lo sapevi? L’enzima PHL7 non è solo una scoperta, è una rivoluzione. Con una velocità senza precedenti, è in grado di degradare oltre il 90% della plastica PET in sole 16 ore. Questo processo, a basso consumo energetico, apre la strada a una vera economia circolare, trasformando i rifiuti in risorse preziose e di alta qualità.
In sintesi
Il riciclo enzimatico non è solo una nuova tecnologia: è la promessa di un futuro in cui l’inquinamento non ha più la meglio. Con enzimi straordinari come il PHL7, stiamo assistendo alla rinascita della plastica. A differenza dei vecchi metodi che la condannano a una lenta morte, questa innovazione a basso consumo energetico le restituisce la vita e apre le porte a un mondo più pulito e sostenibile. Un futuro in cui la plastica non è più una minaccia, ma una risorsa preziosa.