L’urban farming, o agricoltura urbana, è la coltivazione di ortaggi ed erbe aromatiche in un ambiente urbano. Normalmente, questa pratica ce la immaginiamo svolta in una serra o in un campo ma può trovare posto anche tra le nostre case, nelle nostre città. Il fiber farming è parte di questo modo di coltivare.
Coltivare piante in spazio chiuso, o limitato, è una pratica ormai diffusa. La sperimentazione sulle cosiddette grow box è ben avviata ed è oggi possibile, e alla portata di tutti, realizzare rapidamente un progetto di orto urbano cittadino. A due passi da casa, con pochi e mirati accorgimenti, si potranno coltivare verdure ed erbe per tutto l’anno. A scuola, in un ristorante, all’interno di una residenzq di cura o persino dentro a un container stipato in un parcheggio; urban e fiber farming non conoscono confini. Qualsiasi luogo può divenire un tempio votato all’agricoltura a chilometri zero.
Cos’è il fiber farming e perché torna d’attualità
Possiamo tradurre l’espressione fiber farming in italiano come coltivazione di fibre. Con queste parole descriviamo una pratica agricola che riguarda la piantumazione di piante – e in alcuni casi l’allevamento di animali – al fine di produrre fibre naturali, le quali saranno poi utilizzate nell’alimentazione, dall’industria tessile e in altri settori. Si tratta di una forma di agricoltura sostenibile che mira a produrre fibre di alta qualità, in maniera sempre rispettosa dell’ambiente. Le colture preferite sono lino, canapa e cotone.
Le piante coltivate per produrre fibra tessile, non destinata all’alimentazione umana o animale, sono comunque coltivate in modo sostenibile da chi pratica green fiber farming. Evitando l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, adottando tecniche di rotazione delle colture per migliorare la fertilità del suolo e rispettando la terra in ogni fase, il fiber farming si è guadagnato di diritto la denominazione di pratica ecologica. Produrre fibre naturali è molto meno impattante dei laboriosi processi da cui originano quelle sintetiche e farlo su larga scala potrebbe rappresentare una pietra miliare nella transizione ecologica del tessile.
Le fasi del fiber farming sono svariate, dalla coltivazione alla lavorazione per ottenere le fibre, e il loro numero cambia a seconda della pianta. Tipicamente l’intero processo, dalla raccolta alla pulizia, è sostenibile e, dunque, estremamente adatto a essere perseguito in una fase storica come quella attuale nella quale l’attenzione a questi temi è piuttosto elevata. Per rendere l’intera filiera corta del tessile green occorre ora diminuire, o meglio ancora azzerare, l’impatto di pulizia, cardatura, filatura e tessitura.

Dove e come coltivare canapa, lino e ortica in città
Piante come la canapa, il lino e l’ortica crescono molto rapidamente, anche su terreno marginale, senza che vi sia alcuna necessità di ricorrere ai pesticidi. Già questo è un notevole beneficio ambientale, che rende tali colture preferibili ad altri vegetali in ottica di rigenerazione urbana produttiva. È possibile piantumare simili varietà pressoché ovunque, anche nelle grandi città. Gli ecosistemi di agricoltura urbana sono facili da mantenere e utilizzare. Semplici e accessibili, richiedono cura, dedizione e poco altro.
È necessario assicurarsi che il terreno si mantenga sempre sufficientemente umido. Ma mai inzuppato. Se il suolo è troppo arido, ortica, lino e canapa possono seccare e, conseguentemente, morire. Anche se stiamo utilizzando spazi marginali e dall’ampiezza limitata, dobbiamo tenere a mente che possono nascervi erbacce infestanti. Nel caso, vanno immediatamente rimosse. Sorvolando, si corre il rischio che competano con la coltura insediata per l’acqua e per i nutrienti.
Le filiere tessili sostenibili a partire dal basso
Il fiber farming è parte di quella filiera tessile dal basso, o bottom-up per tirare in ballo un altro anglismo, di cui oggi si parla molto in agricoltura, così come nell’industria del fashion ecologico. La denominazione descrive un approccio produttivo che enfatizzi sostenibilità, trasparenza e partecipazione diretta dei produttori locali. È dal basso poiché coinvolge le comunità produttrici, e non soltanto i proprietari di suolo e risorse, nella realizzazione di abiti e tessuti. Questo approccio riduce l’impatto ambientale e smussa il divario sociale tra i coinvolti nella produzione. Una simile filiera garantisce a lavoratori e comunità trattamenti che possono spesso definirsi equi.
Progetti di comunità e cooperative urbane
A cavallo tra il Friuli Venezia Giulia e la Carinzia è stato attivato, alcuni anni fa, il progetto No Waste, coinvolgendo anche la provincia di Belluno. Si tratta di un’iniziativa all’interno della quale collaborano Italia e Austria. I due Paesi hanno intercettato dei finanziamenti europei per valorizzare proprio la coltivazione di canapa, lino e ortica, colture piuttosto diffuse a queste latitudini.
Il nome No waste è dovuto al fatto che le piante protagoniste del progetto non producono alcun rifiuto. Una volta colte, diventano parte della lavorazione di fibre per carta, tessili o compositi. Alla stessa maniera, i semi estratti divengono utilizzabili per alimenti tradizionali e/o oli di alta qualità o, alternativamente, estratti per cosmesi.
Il progetto di comunità è partito da una semplice idea: trasformare una tipica produzione territoriale in chiave di rigenerazione di prodotti della terra e, di riflesso, degli spazi di vita della comunità che la abita. Nonostante il finanziamento europeo sia terminato (era parte della tranche 2014-2020), le tre piante sono diventate simbolo di sostenibilità ed economia circolare. Alcuni istituti scolastici coinvolti nel progetto hanno dato origine a una banca dati dedicata e a un sistema di geolocalizzazione di siti tematici i quali, oltre a essere produttivi, sono anche carichi di significato per i turisti.
In Friuli si è costituita una cooperativa urbana che porta avanti le buone pratiche messe al centro del progetto e collabora ancora oggi, a iter europeo chiuso, con l’Università di Trieste, la società austriaca Wood K plus e Certottica, Istituto Italiano per la Certificazione dei Prodotti Ottici. Queste realtà erano tutte partner nel progetto e stanno portando ancora avanti il loro impegno, sebbene con una dedizione minore. L’esperienza rappresenta un valido esempio di come sia possibile portare l’attenzione di una comunità su un prodotto locale, sostenibile e valorizzabile.

Benefici ambientali e culturali delle fibre vegetali e del fiber farming
La coltivazione di fibre tessili naturali all’interno di un ecosistema come il fiber farming presenta diversi vantaggi ambientali. Il prodotto è infatti biodegradabile e riduce l’inquinamento da microplastiche. La loro produzione può anche contribuire alla rigenerazione del suolo e alla riduzione dell’uso di acqua e pesticidi. Tra i benefici ascrivibili a fibre prodotte in questa maniera segnaliamo i principali:
- biodegradabilità. Cotone, lino e canapa, si decompongono naturalmente, in tempi non lunghi, riducendo l’accumulo di rifiuti tessili nell’ambiente. Come si è già scritto, queste fibre sono utilizzabili nell’arco del loro intero ciclo vitale ma, qualora dovessero essere disperse sul territorio, non impatterebbero sull’ambiente;
- rigenerazione del suolo. Alcune pratiche di coltivazione delle fibre naturali, come per esempio la rotazione delle colture, possono aiutare a migliorare la salute del suolo ove si esegua la piantumazione, dal momento che diversi vegetali assorbono diversi nutrienti;
- riduzione delle microplastiche. Le fibre sintetiche rilasciano numerose microplastiche durante il lavaggio, le quali finiscono negli oceani come parte del naturale percorso del ciclo delle acque e danneggiano l’ecosistema. Le fibre naturali non presentano questo problema;
- minor consumo di acqua e scarso utilizzo di pesticidi. La canapa non soffre attacchi di parassiti e ha bisogno di poca acqua per crescere in salute;
- resistenza e qualità del prodotto. Le fibre naturali sono spesso più resistenti, e di qualità più elevata, rispetto alle loro controparti sintetiche. Ciò significa che i tessuti vestiranno più a lungo;
- riduzione del numero di lavaggi. La traspirabilità di tessuti di origine naturale rende più difficile la penetrazione e l’assorbimento degli odori e dà modo all’indossatore di utilizzarli un maggior numero di volte prima di riporli in lavatrice. Questo significa minore necessità di acqua ed energia;
- termoregolazione. Le proprietà termoregolatrici dei tessuti naturali aiutano a mantenere il corpo fresco in estate e caldo in inverno, rendendoli una scelta ideale in ogni stagione.
Sequestro del carbonio e rinaturalizzazione
I prodotti del fiber farming contribuiscono al sequestro del carbonio, una delle più chiacchierate strategie contro il cambiamento climatico. Le modalità attraverso le quali queste piante assorbono CO2 sono principalmente due: mediante la fotosintesi clorofilliana e grazie ai loro componenti chimici, a iniziare dalla cellulosa, la quale è composta di carbonio e lo trattiene per rafforzarsi e svilupparsi.
In un panorama urbano, tutto ciò acquisisce un valore ancora maggiore. Automobili, riscaldamento e industrie, infatti, emettono carbonio nell’atmosfera, inquinandola. Dotarsi di organismi capaci di convertirlo in ossigeno, ripulendo l’aria che respiriamo, significa armarsi di uno strumento molto potente. A ciò leghiamo il concetto distinto, eppure attinente, di rinaturalizzazione. Questo processo può ripristinare e riqualificare aree degradate e antropizzate, come per esempio periferie o quartieri dormitorio, riportandole a uno stato più vicino a quella che era la loro condizione originaria, prima che l’uomo vi mettesse mano.
Per rinaturalizzare uno spazio si eseguono generalmente opere di eliminazione di ogni contaminazione artificiale e ripristino della vegetazione autoctona. Laddove fosse necessario, si bonificano i terreni inquinati e si creano habitat per la fauna locale.
Fiber farming e valorizzazione della biodiversità agraria
Una rigenerazione urbana innescata da fiber farming consentirà alla biodiversità agraria di riappropriarsi di spazi che l’uomo le ha tolto e ripopolare, almeno in parte, aree troppo fortemente antropizzate. Quando si parla di biodiversità si tende a mantenere il focus sulle specie animali. Eppure, anche il regno vegetale vive la stessa situazione di minaccia, dal momento che il cemento lo soffoca e lo priva di spazi vitali. Le logiche della produzione industriale, poi, portano a una eliminazione delle specie meno richieste dal mercato al fine di guadagnare suolo sul quale inserire colture maggiormente redditizie.
Ortica, canapa e lino sono specie pre-esistenti nel nostro Paese, e piuttosto diffuse in alcune zone. Insediarle non è una sottrazione di terreno a colture indigene e autoctone, bensì una diffusione di vegetali che già vivono in simbiosi con la composizione geologica del territorio.